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Mese missionario, Cardinale Filoni: “Non calano le vocazioni in terra di missione”

Intervista a tutto campo con il prefetto del dicastero missionario. Dalle vocazioni alle missioni, dalle testimonianze al mese missionario, fino alla canonizzazione di Newman

Cardinale Fernando Filoni | Il Cardinale Fernando Filoni, prefetto della Congregazione per l'Evangelizzazione dei Popoli, nella biblioteca di Propaganda Fide | Daniel Ibanez / ACI Group Cardinale Fernando Filoni | Il Cardinale Fernando Filoni, prefetto della Congregazione per l'Evangelizzazione dei Popoli, nella biblioteca di Propaganda Fide | Daniel Ibanez / ACI Group

Vero, c’è un calo di vocazioni missionarie in Occidente, e un calo di vocazioni in generale. Ma ci sono vocazioni in Paesi che sono considerati terra di missione, in Africa e in Asia. E dunque non si può parlare di crisi, sottolinea il Cardinale Fernando Filoni, prefetto della Congregazione per l’Evangelizzazione dei Popoli.

La Congregazione ha lanciato un mese missionario straordinario, che comincia oggi, per celebrare i cento anni dalla Lettera Apostolica Maximum Illud di Benedetto XV. Parlando con ACI Stampa, il cardinale parla dell’importanza della lettera apostolica, della differenza tra testimoni e missionari, ma anche del nuovo seminario di Macao e della canonizzazione del Cardinale Newman del 13 ottobre, che avviene proprio durante il mese missionario.

Eminenza, perché avete pensato a un Mese missionario straordinario?

Lo abbiamo pensato perché è nelle intenzioni del Santo Padre suscitare una maggiore attenzione sull’Evangelizzazione. Il centenario della lettera apostolica Maximum lllud ha rappresentato l’occasione ideale per riproporre l’evangelizzazione al centro della vita della Chiesa come fu fatto cento anni fa, con le caratteristiche di questo momento presente.

Perché la Maximum Illud fu così importante?

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Quando cento anni fa Benedetto XV decise di scrivere la Maximum Illud, l’evangelizzazione stava cambiando. Il Papa raccolse quello che era già presente nella vita della Chiesa e diede a tutto questo una forma ben fatta, ben espressa, ben indicativa. Benedetto XV sottolineò che l’evangelizzazione deve essere preminente rispetto ad altri calcoli ed interessi che al tempo andavano di moda. Non dimentichiamo che in tutta l’Africa del Nord e il Medio Oriente, con la fine dell’Impero Ottomano, ci si era trovati una serie di nazioni diverse, mentre l’Africa era sotto la pressione di grandi Paesi, al tempo chiamati colonialisti, che ne occupavano le terre. Anche l’America Latina aveva una situazione simile. Benedetto XV chiese di non usare gli interessi commerciali, sociali, idealistici come strumento di penetrazione del Vangelo.

Quale era la priorità?

Prima veniva l’evangelizzazione, la missionarietà, che doveva essere presente indipendentemente dagli interessi colonialistici. La Chiesa si riqualificava prendendo su di sé il mandato di Gesù, senza delegarlo ad altri. Fu una lettera importante. C’erano stati tanti istituti missionario sorti nella metà del 1800 – inizio 1900, a testimonianza che l’interesse missionario era fortissimo. Tutte le Chiese desideravano avere queste relazione con il mondo missionario, e così Benedetto XV mise insieme questa spinta e sottolineò che la priorità era proprio l’evangelizzazione, fatta dalla Chiesa e slegata da altri interessi.

Una delle caratteristiche della Maximum Illud era l’enfasi posta sulla formazione di sacerdoti locali. E questo portò poco dopo all’ordinazione dei primi vescovi cinesi da parte di Pio X…

Benedetto XV diede l’impegno di essere strumenti dell’annuncio del Vangelo che deve servire a creare nuove Chiese. C’erano, ovviamente, livelli diversi di evangelizzazione. La nomina dei primi vescovi locali faceva uscire le missioni da un contesto molto legato ai Paesi coloniali presenti in quelle aree e portava ad una maggiore autonomia e indipendenza della Chiesa nella realtà locale. Questo poteva avvenire in Cina, ma in altre realtà, come l’Africa, si dovevano creare le strutture, perché l’evangelizzazione appena cominciava. Abbiamo festeggiato recentemente il primo secolo di evangelizzazione di alcuni posti. C’erano, dunque, situazioni in cui si poteva sviluppare la Chiesa ed altre in cui questo non era possibile, e bisognava avviare il processo. Benedetto XV guardò ad entrambe le realtà, e rappresentò uno spartiacque rispetto al passato.

Come si sviluppò il lavoro?

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Guardando oggi in retrospettiva, possiamo notare come in cinquanta anni il lavoro missionario fu enorme. E, appena cinquanta anni dopo, arrivò il Concilio Vaticano II, un altro spartiacque. Il Concilio costruisce dai 50 anni precedenti e dà una prospettiva verso il futuro. Il mese missionario nasce proprio i n questo contesto, perché si tratta di rilanciare la missionarietà in contesti e luoghi diversi.

“Battezzati e inviati” è il tema di questo mese missionario, e ricalca un po’ quello che il Cardinale Bergoglio fece a Buenos Aires, con l’iniziativa “El Bautismo como obra misionera”. Ma l’idea del Battesimo non sa un po’ di proselitismo, in un periodo in cui lo stesso Papa Francesco invita a non fare proselitismo?

Il Battesimo è un cammino che si conclude. Quello di cui parliamo non è il battesimo di chi arriva e battezza, ma quello di chi è presente in un determinato luogo, crea le condizioni delle relazioni con le popolazioni. Queste relazioni sono relazioni di conoscenza, di sviluppo intellettuale e culturale con l’alfabetizzazione, di assistenza per le necessità materiali, come per esempio il lavoro nel campo educativo e sanitario. Un lavoro che crea il presupposto perché le persone facciano la domanda: “Perché fai tutto questo?” E la risposta è: “Mi spinge il Vangelo”. Quindi, la domanda: “Cosa è il Vangelo?” Da qui viene la catechesi che forma le persone. La gente che aderisce arriverà dunque al Battesimo come fase conclusiva del primo approccio. Non c’è niente se non la proposta: è questa la metodologia del Vangelo.

In cosa si caratterizza questa metodologia?

Ogni forma di accaparramento delle anime delle persone non è evangelica, né accettabile. Anche i missionari devono tenere conto delle realtà del posto. A questo proposito, Benedetto XV diceva di formare le persone in modo che fossero i primi missionari di loro stessi. Anche la missionarietà cambia: gli inviati e battezzati non sono solo i missionari, ma ogni battezzato. Perché se io amo il Battesimo, se ritengo che la mia fede è una ricchezza, io divento missionario. La fede non può essere una cosa egoisticamente da tenersi per sé. La si comunica. È il battesimo che ci abilita ad essere missionari, a testimoniare la nostra fede.

C’è più bisogno oggi di testimoni o missionari?

La testimonianza non è un pacchetto, non si può guardare alla testimonianza da un punto di vista sociologico. La testimonianza non è buona volontà. È un dono di Dio, viene dell’alto. Il testimone non sa di essere testimone, ma accettando e vivendo il Vangelo si adegua a questa realtà, che è soprannaturale. Altrimenti si tratta di una questione sociologica, che si basa su ciò che si è fatto o proposto. Il testimone non sa mai di essere testimone.

Quale è la differenza tra missionario e testimone?

Prendiamo l’esempio di Matteo Ricci in Cina. Noi lo ricordiamo come una grande figura occidentale, ma camminiamo senza una gamba, la gamba cinese, Hsu Kuang Chu. Questi era un mandarino, vice primo ministro nella corte imperiale. Kuang Chu aveva veramente accolto la fede in un modo straordinariamente bello. Quando l’imperatore gli chiese perché era diventato cristiano, lui rispose: “Sono diventato cristiano perché noi abbiamo tanta cultura, ma quello che dice il Vangelo è un dono soprannaturale, che noi non possiamo avere”. Il perdono del nemico non è umano. Perdonare non è umano. Perdonare può essere solo un dono di Dio. Hsu Kuang Chi accolse la fede e diede tutti i suoi averi ai poveri, tanto che quando morì non si poteva fare il funerale. Ma l’imperatore pagò il suo funerale. Fu così che Hsu Kuang Chi divenne testimone di riflessione e testimonianza, ma senza averne l’intenzione.

L’obiettivo del mese missionario straordinario è di avere più missionari o più testimoni?

Più missionari, perché non possiamo pensare che la missionarietà sia delegabile. Allo stesso modo, non si può essere missionari se al tempo stesso non si è testimoni. Il fascino della vocazione nasce dal fatto che si testimonia qualcosa che normalmente l’uomo non vede e non capisce. La missionarietà comincia con la testimonianza, con quello che viene fatto in nome di Dio.

Quali saranno gli appuntamenti del mese missionario?

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L’1 ottobre, Papa Francesco celebrerà i Vespri. Si tratta dell’apertura liturgica del Mese, ed è il giorno di Santa Teresa del Gesù Bambino, protettrice delle missioni. Nella nostra cappella ci sono le vesti di Santa Teresa, e chiederemo di poterle portare come simbolo di una realtà che ha amato le missioni pur rimanendo in un monastero L’8 ottobre ci sarà il Rosario missionario, che sarà in mondovisione attraverso Radio Maria. Poi ci sarà il Sinodo speciale sulla Regione Pan-Amazzonica, perché non dobbiamo dimenticare che oltre una trentina di circoscrizioni ecclesiastiche dell’Amazzonia dipendono da Propaganda Fide. Il 13 ottobre, ci sarà la canonizzazione, con santi che provengono dal mondo missionario. Infine, ci saranno tante iniziative a livello locale, che diocesi e conferenze episcopali hanno messo in cantiere. Puntiamo non tanto alla grandezza degli eventi, quanto al fatto che questo mese è chiamato a suscitare una coscienza e un interesse missionario.

Tra le canonizzazioni, ci sarà anche quella del Cardinale Newman. Quanto è importante per la Congregazione e per il mese missionario?

La canonizzazione di Newman non è stata un calcolo. Ma Newman è stato a Propaganda Fide come alunno, qui si formò, pregava nella nostra cappella, fu ordinato nella cappella di sotto. Newman era affascinato dal mondo missionario. Bisogna anche dire che la missionarietà di quel tempo e di oggi è diversa. Allora c’era il fascino dell’andare, del passare i mari. Oggi c’è lo stesso fascino, ma non a quel livello. Qualcuno potrebbe pensare così che cada un po’ di zelo missionario. Io credo che non dobbiamo fare questo tipo di statistiche. Vero, ci sono meno persone che partono dall’Occidente, ma l’opera che è stata svolta nel XIX secolo ha fatto crescere tante diocesi, tante chiese, tante congregazioni missionarie.

In che modo è cambiato il modo di fare missione?

Il primo missionario oggi è il Papa, il vescovo lo è per ogni diocesi, i sacerdoti locali sono i missionari di ogni parrocchia. Non è una questione di perdita. È piuttosto il fatto che c’è una estensione diversa rispetto al passato. Gli istituti continuano ad essere supporto delle Chiese locali, le quali assumono in prima persona l’evangelizzazione del territorio. È vero che gli istituti missionari sono diminuiti in numeri. Ma pensiamo a centinaia di migliaia di laici che prima non c’erano, di non religiosi, che pure ci sono. È questo l’aspetto di novità del Concilio, nato con il decreto conciliare Ad Gentes. Questo sottolineava proprio l’esigenza di implementare la coscienza laicale, anche in realtà scristianizzate come l’Europa stessa. Uno di questi nuovi aspetti della missionarietà laica sono le famiglie che partono missionarie. Ci sono bambini che catechizzano altri bambini. Si apre così una prospettiva che in passato non avevamo e che credo sia una delle cose più belle della realtà in generale.

A proposito di vocazioni, il grande missionario Piero Gheddo, anni fa, commentando la chiusura di una rivista missionaria, disse che il calo delle vocazioni missionarie era dovuto al fatto che si parlava troppo di sociale e poco di Dio, e dunque la vocazione missionaria non era più attraente. Lei condivide?

Tutto dipende dalla prospettiva da cui si guarda. Non sono convinto di una diminuzione di vocazioni. Sì, se parliamo di vocazioni in Occidente. Molti istituti religiosi, tuttavia, sottolineano che ci sono vocazioni in Africa e Asia, dove la realtà nuova ha creato un nuovo modo di porsi. Gli istituti missionari vogliono andare proprio in quei posti, perché lì ci sono persone, mentre in Europa cade la natalità, e manca la realtà umana per la vocazione stessa. Io non credo che nemmeno lo zelo missionario sia in caduta. Le giovani Chiese sono in fondo frutto di zelo missionario. L’Europa forse manca di una realtà più zelante in quanto a coscienza di sé. Per quanto riguarda la caduta dell’evangelizzazione rispetto all’impegno sociale, si deve dire che è difficile parlare solo di Vangelo quando ci si trova di fronte a realtà umane e sociali molto complicate. C’è, piuttosto, da camminare con queste due realtà, come faceva Gesù. Se lo vediamo solo come un fattore sociologico, allora c’è un rischio. Ma se guardiamo la realtà da un punto di vista più ampio, tutto cambia.

A proposito delle nuove Chiese missionarie, Propaganda Fide ha recentemente lanciato un nuovo seminario a Macao, alle porte della Cina. Perché?

Giovannin Paolo II aveva parlato dell’Asia come un continente per l’evangelizzazione. Così, abbiamo pensato di creare un seminario che i giovani possano frequentare. Noi offriamo la formazione, e i giovani sono al servizio delle Chiese locali. Facciamo così una forma di decentramento. Il seminario è ad experimentum per tre anni, poi vedremo e valuteremo. È un collegio, come il collegio urbano. Non andiamo a creare una scuola superiore, né andiamo a toccare le sensibilità locali. Si tratta di un seminario di formazione sacerdotale.

E perché proprio a Macao?

È un luogo che nell’Asia è stato un punto di riferimento, di arrivo e partenza per tanti missionari, come San Francesco Saverio. È un luogo dove c’è una Chiesa storica e i sacerdoti hanno ben accolto questo esperimento.

Chi è il missionario del futuro?

È una persona con una grande carica interiore, una motivazione profonda di amore a Cristo e al Vangelo, e allo stesso tempo consapevole che non è chiamato ad essere un pioniere: deve inserirsi nelle realtà locali ed essere parte delle realtà locali. Non andiamo a portare nuove culture, ci inseriamo nella realtà locale facendo germogliare elementi di bene, arricchendoli con la potenza del Vangelo. L’esempio è quello di un nostro missionario, che lavorava in una zona segregata, dove si parlava una lingua non scritta. Noi l’abbiamo messa per iscritto, ed ora questa lingua è storia: si può leggere, capire, studiare. Abbiamo tradotto buona parte del Vangelo, abbiamo messo su una liturgia che comprendono. Così, il Vangelo è diventato elemento di bene e sviluppo.