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Nagorno Karabakh, verso il genocidio culturale? Vandalizzata la chiesa di San Giovanni

A Shushi, dove già era stata colpita la chiesa del Salvatore, atti vandalici hanno rovinato la chiesa di San Giovanni. L’appello delle chiese

Chiesa di San Giovanni | La chiesa di San Giovanni a Shushi dopo la vandalizzazione del 10 novembre 2020 | Armenia to Holy See Chiesa di San Giovanni | La chiesa di San Giovanni a Shushi dopo la vandalizzazione del 10 novembre 2020 | Armenia to Holy See

Cosa sarà delle memorie storiche armene in Nagorno Karabakh? L’allarme per un “genocidio culturale” che andrebbe a cancelare trace della presenza multisecolare degli armeni nella regione è stata lanciata più volte, ed ora ha anche un avvocato d’eccezione, il Consiglio Mondiale delle Chiese. Allo stesso tempo, proseguono I danneggiamenti di edifici. Particolarmente importante il vandalism della chiesa di San Giovanni Battista lo scorso 10 novembre.

L’Ambasciata di Armenia presso la Santa Sede non ha usato mezze misure, chiedendo ai partner di condannare le azioni e ricordando che “le azioni dell’Azerbaijan mostrano una politica decennale di erosione di tutte le tracce di presenza armena nella storica terra dell’Artsakh. Per questo, l’ambasciata ha chiesto alla comunità internazionale di “condannare tale inaccettabile comportamento dell’Azerbaijan e di prendere urgentemente iniziative per prevenire tale vandalismo in futuro”.

Immediata anche la condanna dalla Sede Madre di Etchmiadzin. Ed è arrivata anche la condanna dal Consiglio delle Chiese del Medio Oriente, organismo nato a Nicosia nel 1974 con lo scopo di facilitare la convergenza con le comunità cristiane mediorientali, e cui aderiscono una trentina di chiese e comunità ecclesiali.

In una lunga dichiarazione, i membri del Consiglio lamentano che il sanguineso accordo raggiunto “non assicura alla regione una pace chiara, sostenibile e durevole”, e chiedono alla comunità internazionale di “vigilare anche sul destino di chiese e monasteri rappresentano ‘l’anima e le pietre’ di quella regione”.

Le pietre sono, ad esempio, i khachkar, le croci di pietra armene che rappresentano una straordinaria testimonianza storica e che sono sempre meno da quando la regione è sotto l’amministrazione azera: ce n’erano 10 mila nel 1920 a Nakhichevan, ne erano rimasti circa 3 mila da quando la zona fu inclusa nel patrimonio UNESCO nel 2000.

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Il Consiglio chiede di garantire prima di tutto il cessate il fuoco, e poi sottolinea le preoccupazioni per il destino e le pratiche di fede dei cittadini del Nagorno Karabakh, considerando che i manufatti “potrebbero essere distrutti e persino cancellati dalla mappa”.

Dopo l’accordo per il cessate il fuoco, mediato dalla Russia, il presidente russo Vladimir Putin ha esplicitamente chieso al presidente Azero Ilham Aliyev di preservare “la normale vita ecclesiale” nei territori che finiranno sotto il controllo azero. Tra questi, il monastero di Dadivank, nell’area di Kelbecer. Alyiev ha grantito protezione e libero accesso a tutte le chiese del Nagorno Karabakh.

Che vanta un patrimonio immenso, sempre sotto attacco. E ora si trema per la sorte di Amaras, o per la chiesa di Tzitzernavank, un raro esempio di basilica cristiana rimasta intatta dal V-VI secolo. Ma si sentono a rischio anche le molte chiese nella regione di Hadrut, risalenti al XIII secolo.

Tutto sta al modo in cui saranno condotti i negoziati. Aliyev vorrà proseguire in una opera di “azerbaijanizzazione” del territorio o preserverà la storia?

La domanda non è di poco conto, se si pensa che la regione è anche sotto la lente di Genocide Watch, un osservatorio sui genocidi fondato nel 1999 dal professore Gregory H. Stanton di Stanford, ha lanciato il grido di allarme: "Considerando la sua negazione del passato genocidio contro gli armeni, l'uso ufficiale di hate speech e l'attuale presa di mira di civili in Artsakh, Genocide Watch include l'Azerbaijan a livello 9 e 10 di pericolo, cioè a livello di sterminio e negazione".

Per quello, l'associazione ha chiesto un intervento del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, che stabilisca anche un embargo alla vendita di armi all'Azerbaijan, e che crei una forza di pace internazionale che si posizioni lungo la linea di contatto. Non solo: ha chiesto ai leader mondiali di condannare i discorsi di odio da parte degli esponenti del governo azero. 

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