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Ordine di Malta, l'emergenza covid diventa una occasione per la pace in Medio Oriente

L'ambasciatore Ronca spiega il progetto "Doctor to Doctor" per sostenere i medici che lavorano nei campi profughi

Un ospedale in Palestina  |  | www.orderofmalta.in
Un ospedale in Palestina | | www.orderofmalta.in
L'ambasciatore Stefano Ronca |  | www.orderofmalta.int
L'ambasciatore Stefano Ronca | | www.orderofmalta.int

Lo scorso aprile il governo del Sovrano Ordine di Malta insieme al think tank londinese Forward Thinking ha lanciato il progetto "Doctor to Doctor", che consente il collegamento su una piattaforma virtuale di esperti sanitari per condividere le conoscenze e promuovere una migliore comprensione di best practices, protocolli e strategie da adottare per contenere l'infezione da Coronavirus tra la popolazione. Il progetto è operativo soprattutto in Medio Oriente.

A Stefano Ronca Ambasciatore Straordinario e Plenipotenziario dell’ Ordine di Malta in Italia abbiamo chiesto qual è la situazione dei profughi in Medio Oriente, come si gestiscono le misure sanitarie di contenimento in situazioni limite, quando si vive in campi etc?

I campi profughi servono per dare protezione a chi è in fuga dai conflitti armati o da calamità naturali. La protezione, che dovrebbe essere temporanea, diventa in realtà permanente per molti rifugiati. I campi ben gestiti hanno servizi di base e soprattutto garantiscono situazioni igieniche accettabili come la presenza di latrine e l’accesso all’acqua potabile. Ma è chiaro che in contesti come questi la velocità di diffusione di malattie trasmissibili rischia di essere molto più elevata, dato il numero di persone per metro quadrato. E questo a prescindere dall’attuale pandemia. Perciò è ancora più urgente prestare attenzione alle condizioni sanitarie, a partire dalla possibilità di lavarsi spesso le mani durante la giornata. Si tratta anche di una questione di educazione all’igiene. Uno dei fronti su cui l’Ordine di Malta è impegnato in numerosi paesi africani, per esempio, è quello delle campagne di informazione e sensibilizzazione sui comportamenti appropriati per ridurre le possibilità di contagio tra le persone. 

Il progetto Doctor to Doctor sta funzionando? Chi risponde? In quali paesi si sta attuando?

Il progetto Doctor to Doctor è una novità importante perché introduce la possibilità di preparare meglio i paesi a gestire un’epidemia Covid-19. Si rivolge dunque in particolare a paesi che, a causa di povere infrastrutture sociosanitarie, crisi politiche o per gli effetti di guerre, non sono preparati a gestire una crisi sanitaria. Grazie alle tecnologie che permettono di raggiungere nello stesso momento persone localizzate in luoghi diversi, l’Ordine di Malta ha sviluppato un programma di scambio di “best practices” connettendo scienziati, epidemiologi e virologi nonché esperti di crisi nazionali europei con le autorità sanitarie ed i medici dei paesi del Medio Oriente. Siamo partiti dalla Palestina fino ad arrivare allo Yemen nei giorni scorsi. Ogni paese rappresenta particolarità diverse. Lo Yemen per esempio è un paese martoriato da 5 anni di guerra civile e minacciato da malattie mortali come il colera. È chiaro che le procedure di prevenzione del contagio, come il distanziamento sociale e la quarantena, sono difficilmente applicabili in contesti di guerra, dove le condizioni di vita sono già estremamente precarie, o in contesti ad alta densità di popolazione come la Striscia di Gaza. Nonostante questo, dobbiamo e possiamo fare qualcosa: non possiamo abbandonare queste popolazioni al loro destino. Il prossimo incontro online sarà con esperti sanitari del governo giordano: uno dei paesi con il maggior numero di profughi al mondo.

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Concretamente quali sono le attività dell’Ordine di Malta? Ci sono gli Ospedali ma ci sono anche attività di supporto speciale per affrontare Covid- 19?

L’Ordine di Malta ha attivato sin dall’inizio della pandemia le sue agenzie di soccorso e i suoi corpi di volontariato fornendo sostegno ai sistemi sanitari nazionali. Non è la prima volta che ci troviamo ad affrontare emergenze analoghe, penso all’Ebola ma anche alla lebbra, una malattia dimenticata ma che continua a fare vittime in molti paesi poveri. In Italia il Corpo Italiano di Soccorso ha partecipato all’allestimento di due ospedali (a Milano e a Civitanova Marche) per pazienti Covid 19, ed ha attivato i suoi gruppi locali per portare cibo e beni di prima necessità alle persone in isolamento. Medici dell’Ordine di Malta prestano anche servizio a bordo della nave ospedale ancorata nel porto di Genova e squadre sanitarie effettuano il triage in diversi presidi nazionali. Ma parlare solo dell’Italia è riduttivo: lo sforzo dell’Ordine di Malta è stato ed è tutt’ora globale. In Germania gli 11 ospedali gestiti dall’Ordine, che sono inseriti nel sistema sanitario nazionale - uno dei quali specializzato in malattie respiratorie - sono stati attrezzati per poter fronteggiare la crisi sanitaria e hanno in cura molti pazienti. Molti progetti dell’Ordine di Malta e della sua agenzia di soccorso internazionale, il Malteser International, sono stati immediatamente modificati per far fronte alla gestione ed al contenimento del Covid 19. Appena scoppiata la pandemia, la prima cosa che ha fatto l’Ordine di Malta è stata quella di mettere in sicurezza da un punto di vista sanitario i propri progetti, che così, salvo alcune eccezioni, non sono stati interrotti. In molti paesi africani e asiatici dove l’Ordine è presente con il suo corpo di soccorso, le sue associazioni e le sue ambasciate, i programmi WASH (water, sanitation e hygiene) sono stati intensificati. In molti paesi colpiti dalla pandemia, l’Ordine di Malta ha attivato dei numeri di emergenza per dare sostegno psicologico professionale alle persone che si trovano in difficoltà, o per effetto del contagio o per l’isolamento prolungato che può causare depressione e stati emotivi alterati.

Cosa potrebbe fare la comunità internazionale soprattutto per popolazioni come quella di Betlemme o altri luoghi rimasti isolati?

L’accesso ai tamponi per effettuare i test e ai dispositivi di protezione personale è la prima grande urgenza. Parliamo di paesi, come appunto la Palestina, dove il sistema sanitario è già di per sé molto fragile, figuriamoci in una situazione di emergenza come questa. In assenza di misure di contenimento, la situazione potrebbe precipitare velocemente. Tramite la nostra rappresentanza diplomatica, siamo in costante contatto con le autorità palestinesi e il nostro ospedale della maternità di Betlemme, dover per fortuna non sono stati registrati casi di Covid, ha trasformato una delle sale parto in un reparto isolato destinato a malati di Covid 19, qualora si rendesse necessario. A seguito del lockdown nella regione il materiale sanitario e le medicine scarseggiano, il sangue scarseggia: siamo molto preoccupati che la situazione possa peggiorare.

 La crisi covid può essere però una opportunità per la pace e la collaborazione tra diversi stati in Medio Oriente?

Assolutamente. Il progetto Doctors to Doctors oltre a mettere in contatto esperti scientifici per promuovere la conoscenza del virus e delle terapie più recenti, rappresenta anche un’opportunità per creare ponti. L’emergenza sanitaria non conosce frontiere o confini, non fa distinzioni e colpisce tutti egualmente. In questo momento storico il nemico è uno solo per tutti. Per questo il nostro progetto può costituire un’opportunità per aprire un dialogo tra Paesi storicamente contrapposti, come quelli dell’area del Golfo. A tale proposito l’Iran è un Paese che è stato particolarmente colpito dal virus Covid 19. In generale gli analisti ritengono che le emergenze sanitarie nelle aree di tensione o di guerra contribuiscano ad accrescere la conflittualità fra i contendenti. Noi non crediamo che ciò debba necessariamente accadere. L’Arabia Saudita, ad esempio, ha messo in atto il 9 Aprile un cessate il fuoco unilaterale in Yemen e lo ha successivamente rinnovato. La motivazione di Riad per aver preso tale decisione è quella di consentire una concentrazione degli sforzi contro la diffusione della pandemia di coronavirus. Qualcuno ha asserito che la decisione della tregua sia ispirata da ragioni non soltanto di umanità verso la popolazione locale. Che piuttosto siano i sauditi ad essere stanchi della guerra, per di più in una fase di forte riduzione delle risorse dovute al crollo del prezzo del petrolio e che numerosi esponenti della loro stessa leadership siano stati colpiti dal virus. In realtà quello che conta è che i sauditi abbiano attuato un cessate il fuoco unilaterale. Sarebbe un errore non cogliere l’occasione per incoraggiarli al dialogo con Teheran e ad unire le proprie forze con quelle dei tradizionali avversari contro il nuovo nemico comune: il Covid 19. Un dialogo che può iniziare proprio dalla cooperazione medico-scientifica, settore in cui l’Ordine di Malta può svolgere un ruolo di mediazione importante. 

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