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Paolo VI: “Un Pontificato che ha aperto nuove strade”

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Paolo VI nel suo Pontificato ha aperto tante nuove strade”. Lo sottolinea don Angelo Maffeis, presidente del Centro Internazionale di Studi e Documentazione dell’Istituto Paolo VI.

Stabilito a pochi passi dalla casa dove Paolo VI è nato e cresciuto, il centro – racconta don Maffeis – viene pensato “all’indomani della morte di Paolo VI per iniziativa dei bresciani, i quali interrogandosi su quale monumento si poteva dedicare a questo Papa bresciano, hanno pensato di realizzare un centro di studi capace di raccogliere tutta la documentazione riguardante la sua figura per poi diffonderla e farla conoscere”.

Parlando con ACI Stampa, nelle mani il carteggio generale della vita di Papa Montini, don Angelo Maffeis ha raccontato le sue radici, il suo vissuto e l’importanza del suo Pontificato alla vigilia della sua canonizzazione.

Paolo VI verrà canonizzato domenica 14 ottobre all’interno del contesto del Sinodo dei Vescovi dedicato ai giovani.

Quale legame c’è tra Papa Montini e i giovani?

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Paolo VI nel suo pontificato ha aperto tante “nuove strade”, e tra queste c’è proprio la Giornata Mondiale della Gioventù. Sicuramente questo è stato uno dei tratti peculiari del pontificato di Giovanni Paolo II, ma l’iniziativa di dedicare una giornata ai giovani fu un’idea di Paolo VI, con gli incontri che si tenevano a Roma alla fine degli 60’ in occasione della Domenica delle Palme. Una sensibilità, quella di Paolo VI verso i giovani, coltivata fin da suoi primi anni. Quando frequentava il liceo qui a Brescia, pubblicò una rivista intitolata “La Fionda”, allo scopo di “lanciare dei sassi” per stimolare la discussione, la riflessione su temi d’attualità. Poi All’inizio del suo servizio in Segreteria di Stato, il giovane Giovanni Battista Montini affiancherà al suo lavoro d’ufficio, la cura pastorale degli studenti universitari della Federazione Universitaria Cattolica Italiana. Questo sarà il suo lavoro dal 1924 fino 1933. E in questo decennio dedicato agli studenti universitari, lui si è occupato soprattutto della loro formazione cristiana. Il messaggio che spesso rivolgeva ai giovani era: “State studiando, vi preparate attraverso lo studio universitario alla vita, e la dimensione religiosa è parte integrante della vostra formazione.

Qual è secondo lei l'eredità lasciata da Paolo VI alla Chiesa?

Senza alcun dubbio il suo pontificato è legato fondamentalmente all’eredità del Concilio Vaticano II che egli raccoglie da Papa Giovanni XXIII, e che poi porterà a compimento. Paolo VI ha vissuto la prima parte del suo pontificato nel portare a termine i lavori del Concilio, mentre gli anni successivi del suo ministero sono stati occupati principalmente dalla realizzazione di quanto il Concilio Vaticano II aveva indicato. Pensiamo soprattutto all’ambito delle riforme istituzionali della Chiesa - come per esempio la riforma liturgica – ma tutti gli aspetti dell’attività del pontificato di Paolo VI hanno segnato in profondità lo sviluppo della Chiesa nei decenni successivi.

Giovanni Battista Montini vedeva l’arte come un “mezzo” per arrivare in qualche modo a Dio. Potrebbe spiegarci il suo rapporto con l’arte?

Paolo VI ha sempre cercato di trovare “nuovi linguaggi” con i quali la Chiesa poteva entrare in dialogo con il mondo. In particolare questo tema ritorna nella prima enciclica del suo pontificato, “Ecclesiam Suam”. E proprio nell’ultima parte di questo documento lui vede il dialogo come “forma” della missione della Chiesa. Un dialogo, non solo come un espediente tattico per entrare in relazione con le persone, ma nasce - dice Paolo VI - dal “Colloquium Salutis”, ossia, dal dialogo della Salvezza, cioè, da questo dialogo che Dio stesso intraprende con l’umanità. E questa parola che Dio rivolge all’umanità contiene in sé anche l'indicazione per la Chiesa su come entrare in relazione. La Chiesa si fa dialogo, si fa conversazione, si fa un soggetto che porta nella circolazione nella parola umana la parola del Vangelo. E io credo che la sensibilità di Paolo VI verso l’arte nasca proprio da queste considerazioni, perché egli stesso vedeva nella creazione artistica uno dei luoghi dell'esperienza umana, il domandarsi degli esseri umani sul loro destino, della loro esistenza. Nella creazione artistica Paolo VI intuiva questa apertura verso la dimensione trascendente della vita. Allora in questa prospettiva si comprende anche questo sforzo di riaprire un dialogo, di fare dell’arte non semplicemente una realtà strumentale per la decorazione della Chiesa, o per il linguaggio liturgico, ma di fare spazio a questa esperienza spirituale che nell’espressione artistica trova la sua manifestazione.

 

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Paolo VI ha vissuto anche momenti difficili durante il suo pontificato. Tra questi c’è la pubblicazione della contesta enciclica “Humanae Vitae”. Potrebbe riassumerci quel periodo?

Quest’anno è il 50.mo anniversario del 68’ ed è interessante rileggere le riflessioni che Paolo VI fece durante il suo pontificato. Certamente l’enciclica “Humanae Vitae” è quella che ha fatto più soffrire Montini. La preparazione di questo documento è stata molto lunga e anche tormentata. Decide di riservare a sé il giudizio sulla questione della paternità e maternità responsabile. Paolo VI in questa enciclica, da un lato cerca di ribadire le convinzioni della Tradizione della Chiesa, sulla necessità che i rapporti tra l’uomo e la donna siano aperti alla generazione; al tempo stesso vuole far valere il matrimonio e la famiglia come proponeva il Concilio Vaticano II. Credo che una delle difficoltà della redazione dell’“Humanae Vitae” - di cui oggi abbiamo una conoscenza più precisa proprio per l’apertura degli archivi e della documentazione che è stata messa a disposizione – sia stato questo sforzo nel ribadire l’insegnamento della Chiesa, l’apertura alla generazione, e al tempo stesso di valorizzare il contesto familiare. Forse Paolo VI già nel 1968, l’anno della pubblicazione di questa enciclica, intuisce che il contesto della generazione degli esseri umani deve essere difeso da un’invadenza della tecnica che alla fin fine toglie la sua dimensione umana.

Infine, ci potrebbe parlare del miracolo che ha portato Paolo VI alla canonizzazione?

È stato un miracolo legato proprio alla dimensione della generazione. Una bambina, figlia di una coppia di sposi di Verona, durante la sua ultima fase della gravidanza era considerata senza possibilità di sopravvivere. La mamma ha invocato l'intercessione di Paolo VI, e la bambina, nonostante le previsioni erano del tutto sfavorevoli, è nata sana e oggi è una ragazza che ha partecipato anche a diversi incontri di “testimonial” con la sua vitalità, con la sua vita. Un Messaggio questo, rivolto all’umanità e del valore della generazione della vita umana.