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Papa Francesco a Budapest: "Come Gesù, apriamo le porte"

Nell'omelia della Messa celebrata a Budapest Papa Francesco invita "ad essere porte sempre più aperte: facilitatori della grazia di Dio"

Papa Francesco a Budapest - Daniel Ibanez ACI Group |  | Papa Francesco a Budapest - Daniel Ibanez ACI Group
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La Messa del Papa a Budapest - Daniel Ibanez ACI Group |  | La Messa del Papa a Budapest - Daniel Ibanez ACI Group
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L’ultimo giorno del viaggio apostolico in Ungheria di Papa Francesco si apre con la celebrazione della Messa in Piazza Kossuth Lajos, a Budapest.  

“Un bravo pastore – ha detto il Papa nell’omelia - dona la vita per le sue pecore. Così Gesù, come un pastore che va in cerca del suo gregge, è venuto a cercarci mentre eravamo perduti; come un pastore, è venuto a strapparci dalla morte, ci ha fatti entrare nell’ovile del Padre, facendoci diventare suoi figli”.

Gesù – ha osservato – come prima azione “chiama le sue pecore; all’origine c’è la chiamata di Dio, l’abbondanza della sua misericordia che vuole salvarci dal peccato e dalla morte, per donarci la vita in abbondanza e la gioia senza fine. Gesù è venuto come buon Pastore dell’umanità per chiamarci e riportarci a casa. Allora noi, facendo memoria grata, possiamo ricordare il suo amore per noi, per noi che eravamo lontani da Lui”.

Ancora oggi – ha detto ancora il Pontefice – Gesù “ci chiama. Viene come buon Pastore e ci chiama per nome, per raccoglierci in unità nel suo ovile e renderci familiari con il Padre e tra di noi. Sentiamo la gioia di essere popolo santo di Dio: tutti noi nasciamo dalla sua chiamata; è Lui che ci ha convocati e per questo siamo suo popolo, suo gregge, sua Chiesa. Ci ha radunati qui affinché, pur essendo tra noi diversi e appartenendo a comunità differenti, la grandezza del suo amore ci riunisca tutti in un unico abbraccio. È bello trovarci insieme, questa è cattolicità: tutti noi, chiamati per nome dal buon Pastore, siamo chiamati ad accogliere e diffondere il suo amore, a rendere il suo ovile inclusivo e mai escludente”.

Nostro computo è “coltivare relazioni di fraternità e di collaborazione, senza dividerci tra noi, senza considerare la nostra comunità come un ambiente riservato, senza farci prendere dalla preoccupazione di difendere ciascuno il proprio spazio, ma aprendoci all’amore vicendevole”.

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La seconda azione del buon Pastore – ha proseguito il Papa nell’omelia – è quella di condurre fuori le sue pecore. “Siamo inviati nel mondo affinché, con coraggio e senza paura, diventiamo annunciatori della Buona Notizia, testimoni dell’Amore che ci ha rigenerati”.

Gesù – ha ricordato Papa Francesco - è la porta che si è spalancata per farci entrare nella comunione del Padre e sperimentare la sua misericordia; ma una porta aperta serve, oltre che per entrare, anche per uscire dal luogo in cui ci si trova. E allora, dopo averci ricondotti nell’abbraccio di Dio e nell’ovile della Chiesa, Gesù è la porta che ci fa uscire verso il mondo: Egli ci spinge ad andare incontro ai fratelli. Tutti, nessuno escluso, siamo chiamati a questo, a uscire dalle nostre comodità e ad avere il coraggio di raggiungere ogni periferia che ha bisogno della luce del Vangelo”.

Essere in uscita – ha ricordato - significa per ciascuno di noi diventare, come Gesù, una porta aperta. È triste e fa male vedere porte chiuse: le porte chiuse del nostro egoismo verso chi ci cammina accanto ogni giorno; le porte chiuse del nostro individualismo in una società che rischia di atrofizzarsi nella solitudine; le porte chiuse della nostra indifferenza nei confronti di chi è nella sofferenza e nella povertà; le porte chiuse verso chi è straniero, diverso, migrante, povero. E perfino le porte chiuse delle nostre comunità ecclesiali: chiuse tra di noi, chiuse verso il mondo, chiuse verso chi non è in regola, chiuse verso chi anela al perdono di Dio. Per favore: apriamo le porte”.

Diventiamo – ha auspicato – “come Gesù: una porta aperta, una porta che non viene mai sbattuta in faccia a nessuno, una porta che permette a tutti di entrare a sperimentare la bellezza dell’amore e del perdono del Signore. Ripeto questo soprattutto a me stesso, ai fratelli Vescovi e sacerdoti: a noi pastori”.

Il pastore – ha ammonito Papa Francesco – “non approfitta del suo ruolo, non opprime il gregge che gli è affidato, non ruba lo spazio ai fratelli laici, non esercita un’autorità rigida. Incoraggiamoci ad essere porte sempre più aperte: facilitatori della grazia di Dio. Lo dico anche ai fratelli e alle sorelle laici, ai catechisti, agli operatori pastorali, a chi ha responsabilità politiche e sociali, a coloro che semplicemente portano avanti la loro vita quotidiana: siate porte aperte. Lasciamo entrare nel cuore il Signore della vita, la sua Parola che consola e guarisce, per poi uscire fuori ed essere noi stessi porte aperte nella società. Essere aperti e inclusivi gli uni verso gli altri, per aiutare l’Ungheria a crescere nella fraternità, via della pace”.