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Papa Francesco a Venezia, il Patriarca Moraglia: "Avvenimento epocale che segna tutti noi"

Una visita breve ma intensa, uno dei momenti più toccanti sicuramente l’incontro tra Francesco e le detenute della Giudecca ci dice in questa intervista il Patriarca di Venezia Monsignor Francesco Moraglia.

Il Patriarca di Venezia, Monsignor Francesco Moraglia |  | Daniel Ibanez CNA Il Patriarca di Venezia, Monsignor Francesco Moraglia | | Daniel Ibanez CNA

La visita al carcere femminile della Giudecca, l’incontro con gli artisti al Padiglione della Biennale, l’abbraccio con i giovani, la Messa in Piazza San Marco e l’atto di venerazione presso le spoglie dell’Evangelista. Sono i flash della visita di ieri del Papa a Venezia. Breve ma intensa, uno dei momenti più toccanti sicuramente l’incontro tra Francesco e le detenute della Giudecca ci dice in questa intervista il Patriarca di Venezia Monsignor Francesco Moraglia.

Lì c’è un felice sintesi tra quello che è il disagio, la sofferenza, il recupero, come tematica personale, certamente della persona che il Papa saluti personalmente le 80 ospiti del carcere, allo stesso tempo è anche un messaggio alla società: queste persone che hanno sbagliato devono essere aiutate a recuperare, bisogna avere il coraggio di scommettere su di loro non minimizzando la pena ma anche dando un volto umano alla pena. Che il Papa venga a Venezia ed inizi con questo gesto è per queste donne e in generale per i detenuti, un messaggio non solo di speranza ma anche di concretezza in cui si sentono considerate, guardate negli occhi e stimolate a fare un percorso in cui non si sentano sole e c’è tutta la società.

Il Papa dall’inizio del pontificato batte sul tasto degli ultimi, la cultura dello scarto. E il tema della Biennale riprende l’accezione dello straniero…

Il grande tema che il Papa sottolinea è proprio la cultura dello scarto come qualcosa che va superata insieme, non solo da parte di qualche specialista, ma insieme con uno sguardo differente. Venezia poi è la città dell’accoglienza perché storicamente lo è stato e continua ad esserlo. Mi sembra molto importante il messaggio dell’accoglienza e del chinarsi su situazioni difficili a partire dal messaggio del bello, dell’arte. Venezia ha fatto di queste manifestazioni, di questi incontri, di queste iniziative culturali il suo modo di essere oggi città. E quindi anche questa apertura a queste arti liberali ed inserire un momento così drammatico come il recupero di una persona inserendo le tematica del bello e chiamando anche queste persone per quanto possibile e concesso dalla situazione penitenziaria che stanno vivendo ad essere protagoniste, ad accompagnare anche i visitatori credo che sia una integrazione non solo auspicata o desiderata, ma realizzata.

Il legame che unisce il Papa, Venezia ed i veneziani è molto particolare e molto speciale.

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Venezia è stata storicamente una città che si metteva di fronte a Roma, partendo dal presupposto che era una città mondiale. Adesso Venezia è la realtà ecclesiale che guarda al Papa con molta simpatia, con molta vicinanza, con molto desiderio di esprimere in questa stagione della Chiesa quel cammino sinodale che il Papa ci chiede e che la chiesa che è in Venezia cerca di portare avanti ascoltando di volta in volta non solo non solo le parole, ma anche i gesti che il Papa pone in essere e che molte volte sono più significativi di tanti discorsi e di tanti documenti.

Come ripartirà il Patriarcato di Venezia dopo questa visita, in vista del cammino sinodale che del prossimo imminente Giubileo?

Io credo che un avvenimento epocale come la visita del Papa sia un evento che segna prima di tutto la città, ma anche profondamente la Chiesa. Il gesto del carcere, l’incontro con i giovani, la Messa in piazza San Marco, la visita all’Evangelista con l’icona della Madonna mediatrice della pace: sono 70 anni che non esce dalla Basilica della Salute – la Basilica mariana per eccellenza, così cara a tutti i veneziani – esce dopo 70 anni e la sua presenza in piazza vuole accompagnare ciò che risuona di più in questo periodo sulle labbra del Papa e cioè la parola pace. Maria mediatrice di pace, perché di fronte a questa icona si risolse una guerra durata decenni tra i veneziani e l’isola di Candia.

Venezia torna a scoprirsi ponte tra Oriente ed Occidente.

Sì. E questo credo che sia molto importante. Venezia porta nella sua storia, porta nei suoi monumenti, porta nella Basilica di San Marco una idea di oriente collocata in occidente. E quindi questa possibilità di abitare dimensioni diverse, mondi diversi  se per il passato è stato così e ha avuto una  realizzazione così felice nella Basilica di San Marco che non rimane solo un museo ma è una realtà vivente, vuol dire che la vocazione di Venezia deve essere ancora quella di unire Oriente ed Occidente, ricordando anche che Venezia è sede storicamente ma anche attualmente di comunità che avevano visioni differenti dal punto di vista culturale e fedi religiose differenti… La grande presenza della comunità ebraica, la comunità luterana, gli armeni giunti qui perché perseguitati e che qui hanno trovato un luogo dove recuperare una vita serena, ecco questa è la storia di Venezia e questo credo sia e debba essere il futuro di Venezia.

Lei ha incontrato recentemente il Papa a Roma per la visita ad limina, il Papa è venuto a Venezia, come ne beneficerà il suo ministero episcopale?

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Tra gli incontri della visita ad limina quello che ci ha toccato di più è stato quello con il Papa, non solo perché era il Papa ma anche per il modo in cui ha condotto questo incontro. Era stata preventivata un’ora, è durato due ore: io sono rimasto colpito dal ricordo che ha degli incontri avuti precedentemente. L’incontro a Venezia assume una valenza differente e credo sia una iniezione di ecclesialità, non solo per il vescovo ma anche per i nostri giovani, per chi partecipa alla Messa in piazza o per chi non ha partecipato ma è collegato con tutti i mezzi possibili. La vitalità che si è respirata nella preparazione è diventata qualcosa che ha aiutato la Chiesa veneziana a riscoprire come l’incontro con il Signore avvenga in termini comunitari ed ecclesiologici, dove Pietro e il Successore di Pietro diventano quelle figure che ci aiutano e ci garantiscono che il nostro sguardo non è disperso ma sta guardando verso il Signore.

Giovani e fede, un binomio che si sta sfilacciando. L’incontro con i giovani alla Salute cosa porterà?

La fede è l’insieme di tanti elementi anche personali, la fede deve essere percorsa anche attraverso degli eventi di incontro. Il Vangelo in fin dei conti ci dice che la fede degli Apostoli nasce da degli incontri, quindi io sono convinto che questo incontro – e il Papa ha manifestato di voler stare in mezzo ai giovani e girare in mezzo a loro – questo vederlo, questo sentirlo, aiuti veramente a riscoprire la fede non come delle affermazioni sentite dire ma come un incontro soprattutto attraverso il carisma, il dono che ha il Santo Padre in quanto Papa e in quanto rappresenta un moto molto vicino ai ragazzi, quello che Papa Francesco realizza nei suoi incontri, nei suoi discorsi, nei suoi gesti, con loro ed anche non solo con loro.

Un richiamo, insomma, alla concretezza della fede?

La concretezza della fede. Cioè la fede come atto personale e comunitario che accade oggi, che vedo, che sento, che tocco, non misurandolo e verificandolo sperimentalmente ma esistenzialmente e quindi in modo ancora più forte da comunicare agli altri.