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Papa Francesco alla Curia, “Siamo in pericolo, insidiati dal demonio educato”

Nel consueto discorso annuale di auguri alla Curia Romana, Papa Francesco affronta il tema della conversione. Il pericolo del demonio educato. La necessità di far partire la pace a partire da se stessi

Papa Francesco, Curia Romana | Il cardinale Re, decano del Collegio dei Cardinali, saluta Papa Francesco in occasione degli auguri di Natale alla Curia  | Vatican Media / You Tube Papa Francesco, Curia Romana | Il cardinale Re, decano del Collegio dei Cardinali, saluta Papa Francesco in occasione degli auguri di Natale alla Curia | Vatican Media / You Tube

Il pericolo più grande, per gli uomini di Chiesa che lavorano in Curia, è quello del “demonio educato, che non viene facendo rumore, ma portando fiori”. Ed è per questo – si giustifica Papa Francesco, scusandosi – che a volte dice “cose che possono suonare dure e forti”, ma non perché “non creda nel valore della dolcezza e della tenerezza, ma perché è bene riservare le carezze agli affatica e agli oppressi e trovare il coraggio di affliggere i consolati”, perché – spiegava don Tonino Bello, citato dal Papa – “a volte la loro consolazione è solo l’inganno del demonio e non un dono dello Spirito Santo.

Nel consueto scambio di auguri con la Curia Romana, Papa Francesco sviluppa un discorso che quasi mira a giustificare la durezza che ha manifestato in passato, anche di fronte agli stessi curiali, quando definì le malattie della Curia e poi gli stessi antidoti, e poi anche altri giudizi taglienti. È, quell

a di Papa Francesco, una riflessione sul senso della conversione, che porta poi ad una riflessione più ampia sulla pace. Una pace che nasce dalla misericordia, che significa “accettare che l’altro possa avere i suoi limiti”. E allora, nota Papa Francesco, è “giusto ammettere che persone e istituzioni, proprio perché sono umane, sono anche limitate”, e che “una Chiesa pura per i puri è solo la riproposizione dell’eresia catara”. Mentre il perdono è “concedere sempre un’altra possibilità, cioè capire che si diventa santi per tentativi”.

La riflessione di Papa Francesco parte un dato di fatto: “L’umiltà del figlio di Dio che viene nella nostra condizione umana è per noi scuola di adesione alla realtà. Così come Egli sceglie la povertà, che non è semplicemente assenza di beni, ma essenzialità, allo stesso modo ognuno di noi è chiamato a ritornare all’essenziale della propria vita, per buttare via tutto ciò che è superfluo e che può diventare impedimento nel cammino di santità, e questo cammino di santità non va negoziato”.

Si deve, però, avere memoria del bene, partendo dalla gratitudine per l’incontro con il bene che viene da Dio, guardando alle cose buone e non solo le cadute. E allora, nonostante le molte cose accadute, si deve dire “grazie al Signore per tutti i benefici che ci ha concesso”, auspicando che tra i benefici “venga anche la nostra conversione”.

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Conversione – dice il Papa – significa “imparare sempre di più a prendere sul serio il messaggio del Vangelo e tentare di metterlo in pratica nella nostra vita”. Non basta “prendere distanza dal male, ma mettere in pratica tutto il bene possibile”.

Una grande occasione di conversione, continua Papa Francesco, è stata il Concilio Vaticano II, e questa conversione è definita nel “tentativo di comprendere meglio il Vangelo, di renderlo attuale, vivo e operante in questo momento storico”.

Per Papa Francesco, il percorso di conversione è in atto, e parte di questo processo è l’attuale riflessione sulla sinodalità della Chiesa.

Il rischio opposto, invece, è quello del fissismo, ovvero “la convinzione nascosta di non avere bisogno di nessuna comprensione ulteriore del Vangelo”, volendo “cristallizzare il messaggio di Gesù in un'unica forma valida sempre”.

Papa Francesco però mette in guardia: la conversione “non solo ci fa accorgere del male per farci scegliere nuovamente il bene”, ma “spinge il male ad evolversi, a diventare sempre più insidioso, a mascherarsi in maniera nuova affinché facciamo fatica a riconoscerlo”.

Per il Papa, il primo problema è il “confidare troppo in noi stessi, nelle nostre strategie, nei nostri programmi”, mentre “alcune cadute, anche come Chiesa, sono un grande richiamo a rimettere cristo al centro”.

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Ammonisce Papa Francesco: “È troppo poco denunciare il male, anche quello che serpeggia in mezzo a noi. Ciò che si deve fare è decidere una conversione davanti ad esso. La semplice denuncia può darci l’illusione di aver risolto il problema, ma in realtà quello che conta è operare dei cambiamenti che ci mettano nella condizione di non lasciarci più imprigionare dalle logiche del male, che molto spesso sono logiche mondane”.

Per questo, si deve praticare la virtù della vigilanza, perché c’è una prima conversione che “riporta un certo ordine”, quando il male, riconosciuto, si allontana. Ma “è da ingenui pensare che rimanga lontano per lungo tempo. In realtà, dopo un po’ si ripresenta a noi sotto una nuova veste. Se prima appariva rozzo e violento, ora invece si comporta in maniera più elegante ed educata. Allora abbiamo ancora una volta bisogno di riconoscerlo e smascherarlo”.

Sono quelli che Papa Francesco chiama “demoni educati”, che “solo la pratica quotidiana dell’esame di coscienza può far sì che ce ne rendiamo conto”, e "in questo si vede l'importanza dell'esame di coscienza". E fa l’esempio delle monache di Port Royal del XVII secolo, riformatrici e poi diventate l’icona della resistenza giansenista, che “avevano scacciato il demonio, ma questo era tornato sette volte più forte e, sotto la veste dell’austerità e del rigore, aveva portato rigidità e presunzione di essere migliori degli altri”. Perché "il demonio torna. Sempre torna. Travestito, ma torna".

Lo stesso Gesù, dice Papa Francesco, si rivolge in diverse parabole “a ben pensanti, a scribi e farisei, con l’intento di portare alla luce l’inganno di sentirsi giusti e disprezzare gli altri”.

E il Papa, ricordando la parabola della pecorella smarrita o del figliol prodigo, sottolinea che “a tutti noi sarà successo di perderci come quella pecorella o di allontanarci da Dio come il figlio minore. Sono peccati che ci hanno umiliato, e proprio per questo, per grazia di Dio, siamo riusciti ad affrontarli a viso scoperto”. Ma il pericolo viene anche dall’interno, perché "si può essere infelici" anche rispettando tutte le norme, come il figlio maggiore nella parabola del figliol prodigo. 

Oggi, però, ci si deve ricordare che “formalmente la nostra vita attuale è in casa, tra le mura dell’istituzione, a servizio della Santa Sede, nel cuore stesso del corpo ecclesiale; e proprio per questo potremmo cadere nella tentazione di pensare di essere al sicuro, di essere migliori, di non doverci più convertire”.

Ed è qui che entrano in scena di demoni educati, perché "il tentatore torna sempre". Ed è qui che è necessaria anche la pace del cuore.

“Mai come in questo momento – afferma Papa Francesco - sentiamo un grande desiderio di pace. Penso alla martoriata Ucraina, ma anche a tanti conflitti che sono in atto in diverse parti del mondo. La guerra e la violenza sono sempre un fallimento. La religione non deve prestarsi ad alimentare conflitti”.

Il Papa ribadisce, come ha già fatto tante volte, che “il Vangelo è sempre Vangelo di pace, e in nome di nessun Dio si può dichiarare ‘santa’ una guerra. Dove regnano morte, divisione, conflitto, dolore innocente, lì noi possiamo solo riconoscere Gesù crocifisso. E in questo momento è proprio a chi più soffre che vorrei si rivolga il nostro pensiero”.

Ma, aggiunge Papa Francesco, “la cultura della pace non la si costruisce solo tra i popoli e tra le nazioni. Essa comincia nel cuore di ciascuno di noi. Mentre soffriamo per l’imperversare di guerre e violenze, possiamo e dobbiamo dare il nostro contributo alla pace cercando di estirpare dal nostro cuore ogni radice di odio e risentimento nei confronti dei fratelli e delle sorelle che vivono accanto a noi”.

Papa Francesco sottolinea che “se è vero che vogliamo che il clamore della guerra cessi lasciando posto alla pace, allora ognuno inizi da sé stesso”, con benevolenza, ovvero scegliendo “sempre la modalità del bene per rapportarci tra noi”,

Perché, dice il Papa, “non esiste solo la violenza delle armi, esiste la violenza verbale, la violenza psicologica, la violenza dell’abuso di potere, la violenza nascosta delle chiacchere, che fanno tanto male e distruggono tanto”.

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E così, vanno deposte tutte le armi, e “ciascuno non approfitti della propria posizione e del proprio ruolo per mortificare l’altro”, ricordandoci appunto dei limiti di tutti, anche delle istituzioni (che sono fatte da uomini) e concedendo sempre un’altra possibilità con il perdono, come fa Dio con ciascuno di noi.

“Tra di noi – conclude Papa Francesco - deve essere così. Ogni guerra per essere estinta ha bisogno di perdono, altrimenti la giustizia diventa vendetta, e l’amore viene riconosciuto solo come una forma di debolezza”.

Eppure, “Dio si è fatto bambino, e questo bambino, diventato grande, si è lasciato inchiodare sulla croce. Non c’è nulla di più debole di un uomo crocifisso, eppure in quella debolezza si è manifestata l’onnipotenza di Dio. Nel perdono opera sempre l’onnipotenza di Dio”.