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Papa Francesco: "La vita si gioca con la coerenza di avere un nome"

Il Papa ha celebrato la Messa per la Gendarmeria Vaticana in occasione della Festa di San Michele Arcangelo

Papa Francesco accompagnato dal comandante della Gendarmeria, Giani |  | LUSA Press Agency Papa Francesco accompagnato dal comandante della Gendarmeria, Giani | | LUSA Press Agency

“Noi facciamo il nostro destino, noi camminiamo il nostro cammino e il nostro cammino tante volte lo facciamo noi. A volte interviene il Signore, dà la grazia il Signore, ma i responsabili del nostro cammino siamo noi. Il Signore ci dà la gratuità della grazia, ci aiuta ad andare sempre nella sua presenza ma il nostro cammino, la responsabilità del nostro cammino è nostra”. Così ieri Papa Francesco nell’omelia della Messa celebrata per il Corpo della Gendarmeria Vaticana, in occasione della Festa di San Michele Arcangelo, patrono e protettore della Polizia di Stato Italiana e del Corpo della Gendarmeria Vaticana.

Commentando l’episodio del povero Lazzaro e del ricco epulone, Papa Francesco osserva che “ambedue fanno la loro esistenza, ognuno nella scelta che ha fatto della vita. Uno riuscì ad avere un nome, a farsi un nome, ad essere chiamato per nome, con un sostantivo; l’altro, il ricco, non sappiamo come si chiama, soltanto l’aggettivo, un ricco: non è riuscito a far crescere il nome, la dignità davanti a Dio. La vita si gioca: la coerenza di avere un nome o l’incoerenza che ci porta a non avere un nome”.

“Nel testo evangelico, per ben cinque volte si dice il nome del povero. Per cinque volte, un’esagerazione, ma perché Gesù fa questo? - si chiede il Papa -  Perché come dice la preghiera: Signore, tu chiami per nome i tuoi poveri, mentre non ha nome il ricco epulone. È questa la storia di questo Vangelo, la storia di due percorsi di vita: uno che è riuscito a portare avanti il proprio nome; l’altro che, preoccupato di sé stesso, dell’egoismo, è incapace di far crescere la sua persona, la propria dignità. Non ha nome”.

“Tutta la nostra vita è un po’ un percorso per consolidare, per rendere forte il nostro nome con l’onestà della vita, con il cammino che il Signore ci va indicando, e per questo dobbiamo aiutarci l’un l’altro”. E così - sottolinea il Pontefice - anche la Gendarmeria deve custodire chi è in Vaticano: “ Voi siete uomini che lavorate per la dignità di ognuno di noi perché ognuno di noi abbia un nome e porti avanti il proprio nome, il nome che il Signore vuole che portiamo. E quando voi fate qualche misura disciplinare è propriamente per fermare questa orgia dell’anonimato che è la più brutta delle orge umane: non accettare un nome e voler tornare nel buio dell’anonimato”.

“La Gendarmeria - conclude Francesco - è la custodia dei nomi, di tutti i nostri nomi. Per aiutare la disciplina dello Stato della Città del Vaticano, che ognuno dei suoi abitanti abbia un nome. E per questo vi ringrazio tanto”.

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