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Papa Francesco, quel legame tra Paolo VI, Romero e i cinque santi della carità

Papa Francesco, messa di canonizzazione 14 ottobre  | Papa Francesco, all'inizio della Messa di canonizzazione, incensa le reliquie dei sette nuovi santi proclamati. Tra loro, Paolo VI e l'arcivescovo Romero, piazza San Pietro, 14 ottobre 2018 | Daniel Ibanez / ACI Group
Papa Francesco, messa di canonizzazione 14 ottobre | Papa Francesco, all'inizio della Messa di canonizzazione, incensa le reliquie dei sette nuovi santi proclamati. Tra loro, Paolo VI e l'arcivescovo Romero, piazza San Pietro, 14 ottobre 2018 | Daniel Ibanez / ACI Group
Papa Francesco, canonizzazioni 14 ottobre 2018 | Veduta d'insieme di piazza San Pietro durante la Messa di canonizzazione del 14 ottobre 2018 | Daniel Ibanez / ACI Group
Papa Francesco, canonizzazioni 14 ottobre 2018 | Veduta d'insieme di piazza San Pietro durante la Messa di canonizzazione del 14 ottobre 2018 | Daniel Ibanez / ACI Group
Papa Francesco, canonizzazioni 14 ottobre 2018 | Gli arazzi dei sette santi canonizzati il 14 ottobre 2018 | Daniel Ibanez / ACI Group
Papa Francesco, canonizzazioni 14 ottobre 2018 | Gli arazzi dei sette santi canonizzati il 14 ottobre 2018 | Daniel Ibanez / ACI Group

Paolo VI è il Papa che fu apostolo delle genti come l’apostolo da cui ha preso il nome, traghettando la Chiesa anche nella fatica e tra le controversie. L’arcivescovo Romero è stato in grado di lasciare le sicurezze del mondo, persino la sicurezza della vita. E grande è stato anche l’esempio di Nunzio Sulprizio, Francesco Spinelli, don Vincenzo Romano, Katarina Kasper e Nazaria Ignacia. Ne tratteggia brevemente i profili Papa Francesco, nell’omelia della Messa di canonizzazione che arriva al culmine del Sinodo dei giovani.

Dalla mattina, prestissimo, sono arrivati i pellegrini. Non solo per Paolo VI, sicuramente il più conosciuto tra i santi. In molti arrivano da Napoli, da cui veniva Nunzio Sulprizio, il giovane che morì a nemmeno 19 anni e di cui si diffuse la fama di santità, ma da cui proveniva anche don Vincenzo Romano, primo parroco santo, che anticipò il Concilio Vaticano II con le missioni cittadine e con la Messa “spiegata” in volgare: tra l’altro, entrambi furono beatificati da Paolo VI. Poi ci sono le suore della Congregazione di Nazaria Ignacia, fondatrice delle Missionaria Crociate della Chiesa, che vengono dalla Bolivia e che la celebrano come la prima santa boliviana, sebbene fosse spagnola di origine. Ci sono le Congregazioni fondate da Francesco Spinelli, e quelle di Maria Katarina Kasper.

E il Vangelo proclamato è quello del giovane ricco, che non trova il coraggio di seguire Gesù. Gesù, prima di chiedergli di seguirlo, “fissatolo, lo amò”, “miserando atque eligendo”. Un passo caro a Papa Francesco, che ne ha fatto il suo motto episcopale.

Papa Francesco inizia l’omelia dalla Seconda Lettura, in cui si proclama che “la Parola di Dio è viva, efficace e tagliente”. Chiosa il Papa: “La Parola di Dio non è solo un insieme di verità o un edificante racconto spirituale. No. È parola viva, che tocca la vita, che la trasforma”.

È il Vangelo il centro dell’omelia. Papa Francesco nota che non c’è il nome dell’uomo, quasi “a suggerire che possa rappresentare ciascuno di noi”. Un uomo che chiede “la vita in pienezza”, ma lo fa come “un bene da ottenere, da conquistare con le sue forze”, e proprio per questo ha osservato tutti i comandamenti ed è disposto anche ad osservarne altri.

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Gesù però “cambia prospettiva”, propone al giovane “una storia d’amore” in luogo del linguaggio di “domanda e offerta” del giovane”, di passare “dall’osservanza delle leggi al dono di sé, dal fare per sé all’essere con lui”.

La proposta è forte: vendere tutti gli averi per seguire Gesù. Ed è una proposta – afferma il Papa – che Gesù fa a tutti noi. Chiede di venire, di non stare fermi, perché “non basta non fare nulla di male per essere di Gesù”; e chiede di seguirlo, vale a dire di non andargli dietro solo “quando ti va, ma di cercarlo ogni giorno”, senza accontentarsi di “osservare i precetti e fare un po’ di elemosina”, ma piuttosto di trovare “la forza di donarti”, scoprendo in Gesù “il Dio che ti ama sempre”.

Gesù invita anche il ricco a vendere quello che ha e darlo ai poveri, senza fare “teorie su povertà e ricchezza”, ma andando “diretto alla vita”, chiedendo di “lasciare quello che appesantisce il cuore”, perché “non si può seguire veramente Gesù quando si è zavorrati dalle cose”.

Papa Francesco sottolinea che “se il cuore è affollato di beni, non ci sarà spazio per il Signore”, e per questo “la ricchezza è pericolosa, rende difficile persino di salvarsi”, e non per la severità d Dio, ma perché – ricorda il Papa – “il nostro troppo avere, il nostro troppo volere ci soffocano il cuore e ci rendono incapaci di amare”.

Insomma, “Dove si mettono al centro i soldi, non c’è posto per Dio”, e per questo Gesù è “radicale”, “dà tutto e chiede tutto, dà un amore totale e chiede un cuore indiviso”.

A questa chiamata – dice Papa Francesco – non possiamo “rispondere solo con l’osservanza di qualche precetto” o “qualche ritaglio di tempo”, specialmente a Gesù che ha dato la vita per noi, e ci “offre la vita eterna”, anche perché Gesù “non si accontenta di una percentuale di amore”, vuole “o tutto o niente”.

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Il Papa invita a chiedersi se ci accontentiamo di qualche precetto o se invece “seguiamo Gesù da innamorati, veramente disposti a lasciare qualcosa per lui”, e allarga lo sguardo alla Chiesa in cammino: “siamo una Chiesa che soltanto predica buoni precetti o una Chiesa-sposa, che per il suo Signore si lancia nell’amore? Lo seguiamo davvero o ritorniamo sui passi del mondo, come quel tale? Insomma, ci basta Gesù o cerchiamo tante sicurezze del mondo?”

Papa Francesco invita tutti a chiedere “la grazia di saper lasciare per amore del Signore”, per evitare di ammalarci di “autocompiacimento”, di adagiarsi nella “monotonia della vita cristiana senza slancio”, dove “un po’ di narcisismo copre la tristezza di rimanere incompiuti”.

Altrimenti, rammenta il Papa, siamo come il tale che “pur avendo incontrato Gesù e ricevuto il suo sguardo d’amore, se ne andò via triste”, sentimento che “prova l’amore incompiuto”, è il segno di “un cuore tiepido”. Così, con il Vangelo di oggi, “Gesù oggi ci invita a ritornare alle sorgenti della gioia, che sono l’incontro con Lui, la scelta coraggiosa di rischiare per seguirlo, il gusto di lasciare qualcosa per abbracciare la sua via. I santi hanno percorso questo cammino”.

È quello che hanno fatto i santi canonizzati oggi. Paolo VI, come l’apostolo da cui ha preso il nome, “ha speso la vita per il Vangelo di Cristo, valicando nuovi confini e facendosi suo testimone nell’annuncio e nel dialogo, profeta di una Chiesa estroversa che guarda ai lontani e si prende cura dei poveri”, e “anche nella fatica e in mezzo alle incomprensioni, ha testimoniato in modo appassionato la bellezza e la gioia di seguire Gesù totalmente”.

Oggi Paolo VI esorta tutti a vivere la “vocazione universale alla santità”, ed è bello – dice il Papa – che insieme a lui ci sia l’arcivescovo Romero, che “ha lasciato le sicurezze del mondo, persino la propria incolumità, per dare la vita secondo il Vangelo, vicino ai poveri e alla sua gente, col cuore calamitato da Gesù e dai fratelli”, e lo stesso si può dire “di Francesco Spinelli, di Vincenzo Romano, di Maria Caterina Kasper, di Nazaria Ignazia di Santa Teresa di Gesù e anche del nostro ragazzo napoletano Nunzio Sulprizio, santo giovane, coraggioso, umile che ha saputo incontrare Gesù nella sofferenza, nel silenzio e nell'offerta di se stesso”. 

Sono santi - conclude Papa Francesco - che “in diversi contesti, hanno tradotto con la vita la Parola di oggi, senza tiepidezza, senza calcoli, con l’ardore di rischiare e di lasciare”.