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Perché è importante conoscere la Sacrosantum Concilium ?

Il professor Giuseppe Falanga illustra la attualità della costituzione conciliare

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“Il sacro Concilio si propone di far crescere ogni giorno più la vita cristiana tra i fedeli; di meglio adattare alle esigenze del nostro tempo quelle istituzioni che sono soggette a mutamenti; di favorire ciò che può contribuire all'unione di tutti i credenti in Cristo; di rinvigorire ciò che giova a chiamare tutti nel seno della Chiesa. Ritiene quindi di doversi occupare in modo speciale anche della riforma e della promozione della liturgia”: così è scritto nel proemio della costituzione conciliare sulla Sacra Liturgia ‘Sacrosanctum Concilium’, adottata con 2158 voti a favore e solo 19 contrari e promulgata da papa san Paolo VI il 4 dicembre 1963.

Ed in occasione del 59^ anniversario della promulgazione di questa Costituzione liturgica giovedì 1 dicembre è organizzato dal Pontificio Istituto Liturgico, in collaborazione con il Centro Azione Liturgica, il Centro Liturgico Vincenziano, l’Associazione Professori e Cultori di Liturgia, le Pie Discepole del Divin Maestro e l’Ufficio Liturgico del Vicariato di Roma la giornata di studio ‘I modi di presenza di Cristo nella liturgia: Sacrosanctum Concilium’.

Al consigliere del Centro Azione Liturgica (CAL), prof. Giuseppe Falanga, teologo e docente di Liturgia alla Pontificia Università della Santa Croce in Roma, la cui ultima pubblicazione si intitola ‘Schola Dominici Servitii. Il contributo del CAL al movimento e al rinnovamento liturgico in Italia’, chiediamo di spiegarci quali sono i modi di presenza di Cristo nella liturgia: Risponderei richiamando – come un’icona – l’immagine evangelica di Marta, la quale, in occasione della visita di Gesù a seguito della morte di Lazzaro, va dalla sorella Maria e le dice: ‘Il Maestro è qui e ti chiama’ (Gv 11,28). La liturgia, in quanto ‘memoriale’, fa sì che il Risorto sia ancora qui presente e ci chiami per nome e ci inviti a riconoscerlo nel suo Corpo-Parola e nel suo Corpo-Pane; ovviamente senza dimenticare l’altro suo Corpo, che è quello ecclesiale, soprattutto nei fratelli bisognosi. Anche il nostro atteggiamento dev’essere lo stesso di Maria: ‘Udito questo, ella si alzò subito e andò da lui’ (Gv 11,29). Bene si è espresso sant’Ambrogio quando scrive: ‘Io trovo te nei tuoi misteri’, realmente presente anche nella povertà dei segni, dal momento che il Signore ha voluto piantare la sua tenda in mezzo a noi per farsi trovare da chiunque lo cerchi con cuore sincero”.

Quale fu la novità della costituzione conciliare ‘Sacrosanctum Concilium’?

La prima è il fatto stesso che ci sia stata una costituzione dedicata alla sacra liturgia, primo frutto del Concilio Vaticano II. Pur con la sua carica di novità (si pensi, ad esempio, al significato di “mistero pasquale” o al valore della “partecipazione” e al concetto di “celebrare”), essa non ha voluto una “nuova liturgia”, come alcuni l’hanno definita, ma una nuova crescita dell’albero secolare della Chiesa fedele alla tradizione. L’impressione globale, mi pare, non può che essere positiva, anche se le realtà umane sono sempre perfettibili. E la liturgia è ‘opus Dei’ nei suoi contenuti salvifici ma, nelle sue forme esteriori, è ‘opus hominis’. Perciò, forse, è ancora prematuro azzardare un bilancio dell’opera intrapresa, i cui frutti maturi si potranno cogliere soltanto tra qualche generazione.

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In questa costituzione c’è anche un paragrafo per l’uso del latino e delle lingue nazionali nella liturgia: quali cambiamenti ha introdotto?

Si è voluto riportare le celebrazioni liturgiche alla ‘nobile semplicità, brevità e chiarezza’ tipica dei primi secoli. I riti si erano via via incrostati e appesantiti con gesti e segni sempre più incomprensibili. Anche l’uso della lingua latina, diffusa in tutta la Chiesa e apprezzata come elemento aggregante e comunionale, in realtà non corrispondeva più alla sua vocazione, anzi era motivo di frattura e di distanza tra ‘fede celebrata’ dal clero e ‘fede vissuta’ dal popolo. Pure culturalmente la Chiesa si era bloccata in un fissismo linguistico sterile, mentre le lingue volgari (comprensibili a un crescente numero di persone) invadevano non solo la sfera del parlato, ma anche il linguaggio della scienza, dell’arte, della letteratura e della tecnica. I padri conciliari, dunque, decisero di accogliere le lingue nazionali che, a fianco di quella latina, favorissero la comprensione e la partecipazione di tutti”.

Quale valore pedagogico ha la liturgia?

“Papa Benedetto XVI, nel numero 2 dell’enciclica ‘Spe salvi’, ha scritto che ‘il Vangelo non è soltanto una comunicazione di cose che si possono sapere (informativa), ma è una comunicazione che produce fatti e cambia la vita (performativa)’. Per cui, la liturgia (celebrazione della nostra fede) ha un valore ben più che pedagogico, ma performativo. Non per fare un gioco di parole, ma per dire quanto si compie nella celebrazione liturgica, possiamo affermare che noi, attraverso il linguaggio performativo della liturgia, non solo veniamo ‘in-formati’ (cioè evangelizzati), ma soprattutto ‘ri-formati’ (cioè formati di nuovo), ‘tras-formati’ nel Corpo di Cristo che è la Chiesa, e finalmente ‘con-formati’ a Cristo Signore”.

In quale modo educare il popolo allo spirito liturgico?

“Educare è, a mio avviso,– la parola d’ordine anche per la liturgia in questo momento. A tale scopo papa Francesco, lo scorso mese di giugno, ci ha donato una lettera apostolica bellissima, ‘Desiderio desideravi’, in cui cita più volte il grande Romano Guardini. Un punto importante per il papa è quello di educare alla comprensione dei simboli. E il modo di farlo ‘è certamente quello di curare l’arte del celebrare’, che ‘non può essere ridotta alla sola osservanza di un apparato rubricale e non può nemmeno essere pensata come una fantasiosa, a volte selvaggia, creatività senza regole. Il rito è per se stesso norma e la norma non è mai fine a se stessa, ma sempre a servizio della realtà più alta che vuole custodire’ (n. 48). L’intenzione di Francesco è di superare l’estetismo della formalità liturgica, ma anche la sciatteria di molte celebrazioni e riscoprire il significato profondo della Celebrazione eucaristica che è emerso dal Concilio. Il papa non ha voluto dare nuove norme, ma aiutare a scoprire la centralità e la bellezza della celebrazione liturgica nella vita della Chiesa e nell’evangelizzazione”.

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