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Poesia e santità nei versi di Clemente Rebora

“Se anela quaggiù è poesia ma santità soltanto il canto compie”

Clemente Rebora |  | pubblico dominio Clemente Rebora | | pubblico dominio

Padre Clemente Maria  Rebora spirò al mondo il 1 novembre 1957. La sua esistenza di poeta trascorse, feconda ed attraversata da moltissime istanze, che lo portarono dall'ideale laico della bontà a quello divino della santità.

Proveniente da una buona famiglia di tradizioni mazziniane, fin da giovane, sente il richiamo della partecipazione e del farsi fratello fra i fratelli, frutto di un solidarismo laico.

Nel 1910 si laurea in Lettere, discutendo una tesi avente ad oggetto: “Gian Domenico Romagnosi ed il pensiero del Risorgimento”. Relatore è il professor Gioacchino Volpe.

Fu autore di diverse raccolte, tra cui i Frammenti lirici (1913) per le edizioni de la Voce di Giuseppe Prezzolini, i Canti anonimi (1922) ed infine i Canti dell'infermità (1956).

La poesia è stata sempre la sua realtà, nelle pieghe dell'esistere.

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I suo versi sentono il richiamo alla poetica del Leopardi.

Parte degli studiosi sono concordi nel ritenere che i Frammenti lirici abbiano influenzato, anche, autori come Eugenio Montale, per i suoi Ossi di seppia (1925).

Fu professore di italianistica, in diversi Istituti ed amò il mondo dell'insegnamento, con la volontà di donarsi, ai ragazzi, per portarli al desiderio di un mondo migliore.

Ufficiale, durante la Prima guerra mondiale, una non nota “mania dell'eterno”, gli fu diagnosticata, come pensiero dominante, da un medico di Reggio Emilia, dopo aver riportato una ferita da obice, alla tempia, durante il conflitto.

In quei mesi di trincea, il poeta è ricordato per esser stato vicino ai soldati e dedito all'ascolto di ogni sofferenza.

Del periodo successivo è la traduzione di diverse opere della letteratura russa, tutt'ora, ripubblicate.

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Convertito al Cristo, dal 1929, ascese i sentieri della religione, per varcare quelli della gioia dell'incontro con il Padre.

La sensibilità maturata, tramite un percorso fra la ricerca personale e la cultura furono la base per scendere nel cuore dell'uomo e portarvi la felicità dell'incontro con quella fede, che trasfigura ogni cosa.

Chi conobbe padre Clemente Maria Rebora lo ricorda, dopo la sua entrata nell'Istituto della Carità, come un uomo nuovo, completamente, rinnovato dalla parola del vangelo.

Seguendo il beato Antonio Rosmini, nella nuova famiglia religiosa, scelse di vivere la Carità come anelito e la Provvidenza, come mezzo del suo essere.

“Dalla perfetta Regola ordinato-scrive nel Curriculum vitae- l'ossa slogate trovaron lor posto: scoprì l'intelligenza il primo dono: come luce per l'occhio operò il Verbo, quasi aria al respiro il Suo perdono”.

Fu un religioso devoto e pio: solo la bontà, sempre pronta alle esigenze di coloro che incontrava sul suo cammino.

Il sorriso e l'accoglienza erano il modo di porsi nell'incontro con l'altro.

Fu un autentico padre, donando quanto possedeva, ai tanti, che ne chiedevano l'intercessione o la carità. Si privava di tutto pur di assecondare le molte richieste.

Visse, con altissima partecipazione, la fede, leggendo nei segni del quotidiano, la mano di Dio che guida il cammino, alle volte, difficile dell'esistere.

Condivise un sacerdozio, esemplare e generosissimo, reso vivo dall'esser parte della Passione del Cristo e della Madonna addolorata, venerata nella spiritualità rosminina.

Seguì i giovani, amministrò i Sacramenti, predicò ritiri ed insegnò nelle scuole dell'Istituto della Carità, pur di far regnare il vangelo nella società.

Poche parole, dense di molta interiorità, filtrano dai suoi consigli spirituali, ai fedeli.

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La conversione gli fece abbandonare il mondo culturale, la musica e la poesia, seppur ripresa poco tempo prima di morire, con diverse liriche religiose, pur di trovare la verità della croce.

Fu un vero apostolo e con la parole e l'esempio, riportò molti cuori alla fede ed alla bontà.

Visse di Dio e per Dio lasciando la terra per il cielo, nella contemplazione dell'Assoluto, cercato ed amato nel corso dei propri giorni.