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Prima Predica di Quaresima, il tema è “rinnovare la novità”

Padre Raniero Cantalamessa comincia il ciclo di prediche della Quaresima. “La storia della Chiesa non si è arrestata con il Vaticano II”

Cardinale Cantalamessa | Il Cardinale Raniero Cantalamessa durante una predica  | Vatican News Cardinale Cantalamessa | Il Cardinale Raniero Cantalamessa durante una predica | Vatican News

La storia della Chiesa “non si è arrestata con il Concilio Vaticano II”, e dunque non si deve “fare di esso quello che si è tentato di fare con il Concilio di Trento, e cioè una linea di arrivo e un traguardo inamovibile”. Il Cardinale Raniero Cantalamessa, predicatore della Casa Pontificia, lo sottolinea nella prima predica di Quaresima.

È l’ultimo giorno per gli esercizi spirituali di Quaresima della Curia, che il Papa quest’anno ha voluto che ognuno tenesse in privato (quindi né nel consueto ritiro ad Ariccia, né nella forma precedente di un incontro nella cappella Redemptoris Mater). Il tema della prima predica è “Ipsa novitas innovanda est,” ovvero “Rinnovare la novità”, con l’idea di imparare ad apprendere come ascoltare la voce nello Spirito e guardare al futuro.

“La storia della Chiesa di fine Ottocento e inizio Novecento – esordisce il Cardinale Cantalamessa - ci ha lasciato una lezione amara che non dovremmo dimenticare per non ripetere l’errore che la provocò. Parlo del ritardo (anzi del rifiuto) di prendere atto dei cambiamenti avvenuti nella società, e della crisi del Modernismo che ne fu la conseguenza”.

Fu un danno, dice, sia per la Chiesa che per “i cosiddetti modernisti”, perché la mancanza di dialogo “portò a posizioni sempre più estreme e per finire chiaramente ereticali”, e privò la Chiesa di “enormi energie” provocando “lacerazioni e sofferenze”.

E fu il Concilio che cercò di “recuperare il tempo perduto”, operando un rinnovamento secondo il metodo di “camminare nella storia, a fianco dell’umanità, cercando di discernere i segni dei tempi”.

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Il tema, dunque, è quello del rinnovarsi continuamente. Canatalamessa segue la lezione di Origine, del neo dottore della Chiesa Sant’Ireneo, e sottolinea che “non solo la società non si è fermata al tempo del Vaticano II, ma ha subito una accelerazione vertiginosa. I mutamenti che un tempo avvenivano in un secolo o due, oggi avvengono in un decennio”.

È il “bisogno di conversione”, che sposta il problema “non nella novità, ma nel modo di affrontarla”, perché “ogni novità “può affrontare la strada del mondo o quella di Dio, o la via della morte o la via della vita”. E il mezzo infallibile per scegliere la via della vita, dice il predicatore della Casa Pontificia, è “la certezza che Gesù ha lasciato agli apostoli prima di lasciarli”, e cioè l’assistenza dello Spirito Santo che “guiderà a tutta la verità”.

Il Cardinale Cantalamessa sottolinea che l’obiettivo delle cinque prediche di Quaresima è proprio “incoraggiarci a mettere lo Spirito Santo nel cuore di tutta la vita della Chiesa, e, in particolare, in questo momento, nel cuore dei lavori sinodali”.

L’obiettivo, spiega ancora Cantalamessa, è “mostrare, in altre parole, come lo Spirito Santo guidò gli apostoli e la comunità cristiana a muovere i primi passi nella storia”, notando che gli stessi Atti degli Apostoli mettono in luce come la Chiesa dei primi anni è condotta “passo passo” dallo Spirito.

E la Chiesa nascente, infatti, non vive “un cammino rettilineo e senza intoppi”, ha le sue crisi come quella della “ammissione dei gentili della Chiesa” che viene risolta proprio guardando allo Spirito Santo.

C’è, insomma, bisogno “di riportare alla luce, sempre di nuovo, il paradigma di ogni scelta ecclesiale. Non ci vuole molto sforzo infatti per scorgere l’analogia che c’è tra l’apertura che allora si operò nei confronti dei gentili, con quella che oggi si impone nei confronti dei laici, in particolare delle donne, e di altre categorie di persone”.

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Il principio è quello di “non porre impedimento a Dio”, come realizza San Pietro, in un momento in cui ci si trova di fronte “alla riscoperta della natura non solo gerarchica, ma anche carismatica della Chiesa”.

Per il Cardinale Cantalamessa, c’è bisogno di fare un passo avanti ricordando che “non tutto si risolve con le decisioni prese in un sinodo, o con un decreto”, ma che c’è piuttosto “la necessità di tradurre nella pratica tali decisioni, la cosiddetta “recezione” dei dogmi. E per questo occorrono tempo, pazienza, dialogo, tolleranza; a volte anche il compromesso”.

Compromesso che, quando è fatto dallo Spirito Santo, non è “un cedimento, o uno sconto fatto sulla verità, ma è carità e obbedienza alle situazioni”.

Cantalamessa ricorda il ruolo di mediatore che Pietro compie tra Giacomo e Paolo, sottolineando che è il ruolo dei suoi successori, e notando che “davanti agli eventi e alle realtà politiche, sociali ed ecclesiali, noi siamo portati a schierarci subito da una parte e demonizzare quella avversa, a desiderare il trionfo della nostra scelta su quella degli avversari”.

Se non è proibito avere preferenze, non si deve “mai, però, pretendere che Dio si schieri dalla nostra parte contro l’avversario. E neppure dovremmo chiederlo a chi ci governa”.

Così Pietro non è “ipocrita”, ma si adatta alla situazioni e sceglie “quello che, in una certa situazione, favorisce il bene superiore della comunione”.

Il Cardinale Cantalamessa sottolinea che proprio questa mediazione è cruciale. Viene dal synkatabasis, ovvero la condiscendenza di Dio nella Bibbia, una begninità che è diversa dalla bontà. Il modello è San Francesco di Sales, modello eccelso di benignità, il cui esempio ci porta a diventare “tutti, in questo senso, ‘salesiani’: condiscendenti e tolleranti, meno arroccati sulle nostre personali certezze. Consapevoli di quante volte abbiamo dovuto riconoscere dentro di noi di esserci sbagliati sul conto di una persona o di una situazione, e di quante volte abbiamo dovuto adattarci anche noi alle situazioni”.

Vero che ci sono persone con cui si deve essere intransigenti con gli altri, ma il proposito della Quaresima deve essere di essere “severi con noi stessi longanimi con gli altri”, perché “quando mi accorgo che sto mettendo sotto accusa qualcuno dentro di me, devo stare attento a non schierarmi subito dalla mia parte. Devo smettere di passare e ripassare le mie ragioni come chi mastica gomma, e cercare di mettermi invece nei panni dell’altro per capire le sue ragioni e quello che anch’egli potrebbe dire a me”.