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S. Ambrogio, Delpini: "La speranza non è un’ingenuità consolatoria"

Ieri sera l'Arcivescovo di Milano, Mons. Mario Delpini, ha tenuto il tradizionale Discorso alla Città

Mons. Mario Delpini, Arcivescovo metropolita di Milano |  | Arcidiocesi di Milano Mons. Mario Delpini, Arcivescovo metropolita di Milano | | Arcidiocesi di Milano

Ieri sera l'Arcivescovo di Milano, Mons. Mario Delpini, ha tenuto il tradizionale Discorso alla Città per la festa patronale di Sant'Ambrogio.

"Voglio fare l’elogio della politica che si esprime nella democrazia rappresentativa, il sistema costituzionale in cui viviamo, esito di un doloroso travaglio, della tragedia della guerra, dell’oppressione della dittatura, della sapienza dei legislatori. Voglio fare l’elogio della democrazia rappresentativa che convoca tutte le componenti della società a costituire un noi radunato da un senso di appartenenza e di legittima pluralità per praticare il realismo della speranza, per costruire la giustizia e la pace", ha detto l'Arcivescovo.

"Voglio fare l’elogio della politica - ha proseguito Mons. Delpini - che, volendo rappresentare tutti, si prende cura di chi è più fragile e bisognoso e disponendo di risorse limitate considera in primo luogo i servizi più necessari e coloro che non hanno risorse: i disabili gravi, gli anziani soli, le famiglie in povertà".

La speranza - secondo l'Arcivescovo - non è "un’ingenuità consolatoria, è piuttosto la risposta alla promessa che chiama a desiderare la vita, la vita buona, la vita nella pace, la vita dono di Dio. Il realismo della speranza ama sostare in preghiera e in silenzio, resiste alla tentazione della superficialità e della fretta, percorre la via della sincerità, evita le maschere, il conformismo, la viltà. Il realismo della speranza convince a costruire rapporti che non si limitino al dare e all’avere, al vendere e al comprare, ma diventino alleanze, interesse per il bene reciproco, rispetto per tutti gli ambienti, onore per tutte le culture".

Infine un riferimento alla guerra. "La storia che viviamo - ha concluso - sembra offrire ragioni per scoraggiare aspettative di pace, l’avidità e la menzogna muovono all’aggressività, scatenano guerre, seminano odio e distruzione. Non possiamo lasciarci rubare la speranza: crediamo alla promessa della vocazione alla fraternità di tutti gli abitanti del pianeta. Non possiamo rinunciare al realismo: percorriamo e incoraggiamo a percorrere le vie della diplomazia, della preghiera, della reazione popolare alla guerra, agli affari sporchi che la guerra favorisce. Non possiamo rinunciare alla ragionevolezza che convince dell’assurdità della guerra e scuote dall’assuefazione. Non possiamo rinunciare al desiderio dell’incontro, della conoscenza, dell’amicizia tra i popoli, consapevoli che gli altri ci sono necessari".

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