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Santa Sede: combattere il reclutamento via Internet con l’educazione e la famiglia

Consiglio di Sicurezza | Consiglio di Sicurezza, Nazioni Unite, New York | da it.wikipedia.org Consiglio di Sicurezza | Consiglio di Sicurezza, Nazioni Unite, New York | da it.wikipedia.org

La Santa Sede si interroga sul perché i giovani si facciano reclutare via Internet per darsi all’estremismo violento, ed elabora una risposta basata sull’educazione, ma anche sull’applicazione di politiche adeguate che sappiano integrare i giovani immigrati nelle comunità che li ospitano. Le proposte della Santa Sede sono contenute in un discorso del 23 aprile scorso che l’arcivescovo Bernardito Auza, Osservatore Permanente della Santa Sede presso le Nazioni Unite a New York, ha tenuto in un dibattito promosso al Consiglio di Sicurezza sul “ruolo della gioventù nel contrastare l’estremismo violento e promuovere la pace.”

Non è la prima volta che la Santa Sede affronta problemi legati alle nuove comunicazioni di massa. In un documento del 2002, “Etica in Internet,” il Pontificio Consiglio per le Comunicazioni Sociali concludeva che  “il carattere transnazionale e di collegamento di Internet e il suo ruolo nella globalizzazione richiedono una cooperazione internazionale per stabilire modelli e meccanismi volti alla promozione e la tutela del bene comune internazionale.”

È un tema che si ritrova anche nelle parole dell’Arcivescovo Auza al Palazzo di Vetro. Sotto la presidenza di turno della Giordania, l’arcivescovo mette in luce la positività dei mezzi di comunicazione di massa, ma sottolinea anche come “sfortunatamente, questi grandi avanzamenti tecnologici possono anche essere manipolati per diffondere messaggi di odio e violenza.”

L’osservatore permanente mette in luce come il fenomeno dei giovani che rispondono al reclutamento “di quanti li incitano a impegnarsi in un estremismo violento si sviluppa all’interno di un contesto di disillusione e opportunità mancate, di crisi di identità socio-culturale e mancata integrazione, di alienazione e insoddisfazione, di rottura del rapporto tra generazioni e disfacimento delle famiglie.”

Per questo – sottolinea l’Arcivescovo Auza – un passo fondamentale è proprio quello di “lavorare e supportare” la famiglia nei suoi sforzi di educare bambini e giovani “nei valori del dialogo e del rispetto per gli altri, per renderli meglio equipaggiati per resistere a ciò che sembra a prima vista una chiamata attraente verso una ‘causa più grande’ e una ‘avventura’ con i gruppi estremisti.”

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Il nunzio mette in luce come ci sono, sì, i governi che tendono ad “evitare una conversazione costruttiva sulla questione del radicalismo,” e che questo può essere “controproducente,” mentre sarebbe meglio “stimolare un dibattito pubblico,” cosa che “può incoraggiare i giovani a ventilare le loro frustrazioni prima che soccombano ad ideologie estremiste,” e aiutare gli Stati a fare “politiche adeguate.”

Ci vuole dunque un dialogo, che può portare – afferma l’Arcivescovo Auza – “alla formulazione di politiche governative” in cui tutti possano riconoscersi, offrendo così ai giovani “contro-narrative convincenti alla propaganda estremista.”

Il rappresentante della Santa Sede auspica anche “una politica pubblica bilanciata,” in grado di facilitare “una integrazione solida degli immigranti nelle società come cittadini,” e per questo c’è bisogno di “politici che scoraggino le percezioni razziste o xenofobe.”

Ma è importante anche il ruolo delle religioni, e infatti – mette in luce l’Arcivescovo Auza – “le politiche e l’educazione che cercano di minimizzare o eliminare le componenti di fede” possono lasciare “i giovani disorientati, alienati, marginalizzati, esclusi e proni al messaggio dei gruppi estremisti,” dato che non c’è dubbio che molta della propaganda dei gruppi estremisti include distorti valori religiosi e socio culturali.”

Poi c’è il problema della disoccupazione, che rende i giovani ancora più vulnerabili alla propaganda dei reclutatori, e anche le ineguaglianze economiche e la marginalizzazione ed esclusione dallo sviluppo possono creare “minacce alla pace internazionale e alla sicurezza.”

“Così, raggiungere la giustizia sociale è la chiave per contrastare il fenomeno dei giovani a unirsi a organizzazioni terroristiche,” afferma l’Arcivescovo Auza. Insomma, conclude, “nella nostra battaglia contro le ideologie estremiste e nei nostri sforzi di promuovere una cultura di pace, i giovani sono una risorsa preziosa. Possiamo contrastare i reclutatori estremisti promuovendo voci che sono fidate e rispettate tra i pari, nelle stesse piattaforme che usano per reclutare nuovi membri, come i social media.”

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