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Sarajevo, il Papa e il suo confessore francescano dell'Erzegovina

La statua di Giovanni Paolo II davanti alla cattedrale di Sarajevo  | La statua di Giovanni Paolo II davanti alla cattedrale di Sarajevo  | www.radiosarajevo.ba La statua di Giovanni Paolo II davanti alla cattedrale di Sarajevo | La statua di Giovanni Paolo II davanti alla cattedrale di Sarajevo | www.radiosarajevo.ba

Sarajevo è una città con due nomi. Quello antico, cristiano legato alla sede vescovile Vrhbosna, e quello che gli è stato dato durante la dominazione ottomana, Saraj, “sede del governo”, che poi divenne Sarajevo per intendere tutta la città. Già in questi due nomi è segnato il destino di una città, che ha sofferto la fatica di essere multietnica e multi religiosa. Nel 1997 Giovanni Paolo II pellegrino nella città “simbolo della sofferenza di tutta l’ Europa in questo secolo” chiedeva proprio all’ Europa se fosse stata “testimone responsabile” della sofferenza di Sarajevo, ed esprimeva un auspicio: “Che Sarajevo diventi per tutta l’ Europa un modello di convivenza e di pacifica fra popoli di etnie e di religioni diverse.”

Quasi vent’anni dopo, la strada è ancora in salita.

Padre Tomislav Mrkonjić docente di Storia della Chiesa e Latino al Seraphicum, in un articolo su Bonaventura Informa, ricorda le parole di Papa Francesco, che sabato prossimo 6 giugno sarà a Sarajevo, ad un giovane sacerdote che aveva appena ordinato: “È vero che il tuo popolo ha sofferto molto?” Stjepan Brčina si è trovato così testimone di un popolo e della sua sofferenza. Lui giovane sacerdote nativo di Drijenča in Bosnia. Ma c’è di più. Il Papa che viene dalla “fine del mondo” il giorno dopo la sua elezione al soglio pontificio incontrando il cardinale Vinko Puljić, il neoeletto papa gli confidò di sapere che il cardinale viene dalla “Chiesa che soffre”.  L’arcivescovo di Sarajevo racconta: “Il Papa sa “che il popolo qui ha sofferto molto e che soffre ancora” e “conosce molto bene la nostra situazione”.

La spiegazione è forse, ricorda Padre Mrkonjić, che a “Buenos Aires aveva come confessori un francescano appartenente proprio alla Provincia francescana di Erzegovina e un suo confratello gesuita proveniente dalla Croazia. Papa Francesco rimane quindi fedele alla sua primaria missione annunciata da lui stesso dalla loggia di San Pietro subito dopo l’elezione. Vale a dire: conoscere di persona le sofferenze dei fedeli “nelle periferie”, essere vicino, incoraggiare e aiutare quelli che si trovano in varie difficoltà, quelli che sono poveri non solo materialmente, ma piuttosto poveri perché schiacciati dal dominio dei potenti, della politica ingiusta, del male che dilaga sempre di più e che sembra dominare tutti i popoli.”

In effetti la piccola e coraggiosa Chiesa Cattolica in Bosnia ed Erzegovina con i suoi fedeli ha bisogno di nuove speranze. “Perché - prosegue Padre Mrkonjić - dalla caduta della Bosnia sotto il dominio ottomano nel 1463 maggio 2015 fino all’occupazione austro-ungarica nel 1878 la percentuale della loro presenza è scesa dall’85% al 18%; durante il domino austriaco, fino al 1918 e nella prima Jugoslavia, fino al 1931, la percentuale è salita al 24%. Da quell’anno si nota la continua discesa: nella seconda Jugoslavia, nel 1981 i cattolici erano 18,40% e nel 1991 il 17,40%. L’ultima guerra (1991-1995) ha segnato un’ulteriore diminuzione sino al 13%. Nel 1991 il numero dei cattolici era 812.256, mentre alla fine del 2014 solo 420.294, vale a dire 48,25% di meno. Non solo durante il dominio ottomano, ma anche nel corso della seconda guerra mondiale e durante l’ultima guerra dal 1991 al 1995 molti fedeli cattolici, sacerdoti, religiosi e religiose sono stati perseguitati, seviziati e diversi uccisi solo perché cattolici.”

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Chiesa di martiri e di beati,  “sono in corso vari processi di beatificazione, mentre le cinque suore Figlie della Divina Carità (due croate, due slovene e una austriaca) uccise dai cetnici a Goražde nel dicembre 1941, sono state proclamate beate il 24 settembre 2011 a Sarajevo dal Cardinale Angelo Amato, prefetto della Congregazione per le Cause dei santi.”

E la situazione politica non è certo un aiuto. Dopo Dayton la piccola nazione è divisa in due e guidata da tre presidenti. Un vero guazzabuglio. “La Bosnia ed Erzegovina- scrive il francescano-  è divisa in due entità politiche, la Federazione croatomusulmana e la Repubblica serba, i cattolici sono organizzati ecclesiasticamente nelle tre diocesi: Sarajevo, Banja Luka e Mostar-Trebinje. Mentre nella diocesi di Mostar, dove si trova il santuario della Madonna di Međugorje, i cattolici sono bene organizzati e danno segni di una certa ripresa, nelle altre due, specialmente nella diocesi di Banja Luka la situazione peggiora continuamente così che il vescovo suole paragonare la propria diocesi a “un ospizio per gli anziani” destinati a scomparire presto. Anche nell’arcidiocesi di Vrhbosna – Sarajevo la ripresa è quasi inesistente e in tutte e due le diocesi molte delle iniziative, attività parrocchiali e in genere cattoliche, vengono ostacolate e spesso semplicemente soppresse. La situazione tuttavia a livello locale, specialmente in alcuni paesi della campagna non è così negativa. Si notano dei casi di aiuto e di comune iniziativa tra tutte e tre le confessioni, cattolici, ortodossi e musulmani.”

Da qui, da queste piccole luci riparte la speranza per Sarajevo. La visita del Papa è molto attesa anche dal governo oltre che naturalmente dalla Chiesa. Si spera in un rilancio del processo di pace, del dialogo interreligioso, e anche in un segno positivo per fare entrare la nazione nella UE.

Giovanni Paolo II nel 2003 tornò in Bosnia- Erzegovina per beatificare Ivan Merz, giovane vissuto all’epoca della Grande Guerra e fondatore dell’ Azione Cattolica nel suo paese. A Banja Luka il Papa slavo pronunciò parole di fuoco:

“Da questa città, segnata nel corso della storia da tanta sofferenza e tanto sangue, imploro il Signore Onnipotente affinché abbia misericordia per le colpe commesse contro l’uomo, la sua dignità e la sua libertà anche da figli della Chiesa cattolica e infonda in tutti il desiderio del reciproco perdono. Soltanto in un clima di vera riconciliazione, la memoria di tante vittime innocenti e il loro sacrificio non saranno vani, ci incoraggeranno a costruire rapporti nuovi di fraternità e di comprensione.”

Ed aggiunse anche: “ Il futuro di queste contrade dipende anche da voi! Non cercate altrove una vita più comoda, non fuggite le vostre responsabilità aspettando che altri risolvano i problemi, ma ponete risolutamente rimedio al male con la forza del bene.”

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Francesco cammina sulla orme del santo Papa polacco, sarà messaggero di pace, ascolterà la voce di un popolo che ha sofferto, di una Chiesa che soffre e che attende da lui una nuova speranza.