Advertisement

Situazione in Medio Oriente, la Santa Sede: "Stop alla proliferazione delle armi"

ONU di New York | Il Palazzo di Vetro, sede delle Nazioni Unite a New York  | UN ONU di New York | Il Palazzo di Vetro, sede delle Nazioni Unite a New York | UN

Non c’è solo l’appello a un rinnovato ruolo delle religioni nella pace, diventato uno dei temi centrali della diplomazia della Santa Sede – un intervento simile era stato fatto a Ginevra, nemmeno sette giorni fa. L’Osservatore Permanente della Santa Sede a New York, l’arcivescovo Bernardito Auza, ha ribadito anche l’appello di Papa Francesco nel fermare la proliferazione delle armi e ha puntato il dito sulle armi sempre più sofisticate che vittimizzano le popolazioni.

L’offensiva diplomatica della Santa Sede per la pace nel conflitto israelo-palestinese sembra giocarsi sull’asse tra New York e Ginevra, ovvero tra due importanti sedi ONU in cui la Santa Sede è molto attiva. A Ginevra, l’arcivescovo Ivan Jurkovic, Osservatore Permanente, ha sottolienato il 29 giugno a un dibattito ad hoc sul tema del conflitto israelo palestinese che la risoluzione 181 delle Nazioni Unite sulla ripartizione della Palestina “resta realizzata solo a metà”, che “la soluzione dei due Stati è quella da sempre indicata dalla Santa Sede”, che Palestina e Israele devono fare i loro passi avanti per arrivare alla pace.

Gli stessi temi, quasi con le stesse parole, sono ripresi a New York dall’Arcivescovo Auza, che parla invece il 12 luglio a un dibattito del Consiglio di Sicurezza delle nazioni Unite. “La pace duratura resterà un sogno distante e la sicurezza diventerà una illusione se Israele e la Palestina non accettano di vivere fianco a fianco, riconciliati e sovrani, con confini mutualmente riconosciuto e accettati”.

L’invito è a creare subito di due Stati, anche sperando che un Israele pacificato possa essere di esempio alla Regione. E in fatti l’arcivescovo Auza parla anche della situazione in Siria, che “continua ad essere una delle indicibili sofferenze per il popolo siriano ucciso, forzato a sopravvivere sotto le bombe o a scappare ad aree meno in conflitto”.

La delegazione della Santa Sede chiede di puntare l’attenzione sulla persecuzione dei cristiani – anche in questo caso, da Ginevra lo scorso anno c’è stato un impegno diplomatico che ha portato al primo documento internazionale in cui questa persecuzione era esplicitamente menzionata – e chiede alle religioni di fare la loro parte. È la cosiddetta “track two diplomacy”, diventato uno dei cuori del Pontificato: ne ha parlato l’arcivescovo Jurkovic il 29 giugno, e la Santa Sede la mette in atto concretamente con le iniziative del Pontificio Consiglio per il Dialogo Interreligioso – l’ultima è la ripaertura del dialogo con l’Islam sunnita, con gli incontri all’università al Azhar al Cairo.

Advertisement

L’arcivescovo Auza lo dice chiaramente: “Le religioni e i credenti, in particolare, devono mostrarsi degni del posto che abitano e aiutare nel processo di pacificazione della regione. Devono mettere fine ad ogni forma di odio reciproco che può dare adito all’idea dello scontro di civiltà. Più la religione è manipolata per giustificare atti di terrore e violenza, più i leader religiosi devono impegnarsi nello sforzo globale di sconfiggere la violenza che tenta i sabotare la fede per scopi antitetici alla natura stessa della fede”.

Ma c’è il tema delle armi, che torna prepotente. Papa Francesco ne ha parlato nel videomessaggio per l’iniziativa della Caritas in Siria, e l’osservatore della Santa Sede a New York riprende il tema. “Non ci si può che lamentare della doppiezza data dal fatto che quanti sono impegnati in colloqui di pace poi forniscono allo stesso tempo armi a quanti uccidono, da ogni parte del conflitto”, dice. La richiesta della Santa Sede è di “limitare la fornitura di armi” e di “monitorare il loro uso”, e soprattutto di “fermare la fornitura illegale di armi ad attori non statali, i quali sono ultimamente diventati responsabili di crimini contro l’umanità e altre forme di atrocità di massa”.

Infine, l’appello per una guerra più umana, perché sono i civili quelli a rimanere vittima di armi sempre più sofisticate. “Gli assassini da remoto portano a considerazioni etiche e legali che meritano considerazione, e magari si tratta una sfida per la legge umanitaria internazionale”, dice l’arcivescovo Auza. In pratica, la morte viene disumanizzata. E così disumanizzata sembra un fatto lontano, mentre in realtà uccide le persone, spesso civili. Un fatto inaccettabile per la Santa Sede.