Roma , venerdì, 13. giugno, 2025 12:30 (ACI Stampa).
“Di segni di speranza hanno bisogno anche coloro che in sé stessi la rappresentano: i giovani. Essi, purtroppo, vedono spesso crollare i loro sogni. Non possiamo deluderli: sul loro entusiasmo si fonda l’avvenire. E’ bello vederli sprigionare energie, ad esempio quando si rimboccano le maniche e si impegnano volontariamente nelle situazioni di calamità e di disagio sociale. Ma è triste vedere giovani privi di speranza; d’altronde, quando il futuro è incerto e impermeabile ai sogni, quando lo studio non offre sbocchi e la mancanza di un lavoro o di un’occupazione sufficientemente stabile rischiano di azzerare i desideri, è inevitabile che il presente sia vissuto nella malinconia e nella noia”. Da questo passo della bolla di indizione del giubileo, ‘Spes non confundit’, iniziamo un dialogo sulla pastorale giovanile con l’educatore e pedagogista, dottor Simone Fichera, formato in teologia presso l’università lateranense e componente del team ‘AGO Formazione’.
Fichera, subito, ci dice: “Il tempo in cui siamo immersi, il presente in cui ha da incarnarsi la nostra Chiesa, è costituito di fragilità nuove. Non che il passato non fosse in sé irto di ispidi ostacoli da superare, ma si tratta probabilmente di fatiche simili in contesti nuovi. Basti pensare alla fatica di ingresso nelle posizioni quadro da parte dei giovani, o banalmente alla preponderanza del mondo virtuale nella vita comune di qualsiasi giovane. Viviamo un tempo in cui la speranza resta sconosciuta perché infondata, infondabile. La speranza non è un vezzo da sognatori, ma una virtù che ha bisogno di mani e sguardi capaci di promesse e questo siamo chiamati a fare come Chiesa, specie in questo anno giubilare”.
La pastorale della Chiesa è capace di fornire segni di speranza?
“Probabilmente in questo momento no. Spesso la pastorale sembra raggomitolata dentro il ‘già conosciuto’, il ‘si è sempre fatto così’, è incapace di stare nei contesti in cui la vita scorre davvero, non ristagna. Non si sporge verso fuori, chiede piuttosto ai giovani di entrare nello schema. I giovani cristiani, purtroppo, è facile distinguerli dalla massa, non per la luminosità del fervore, quanto più per la capacità di stare negli schemi che l’oratorio o la parrocchia chiede. E chi sa starci, di solito, è a rischio ristagno”.