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Venerdì Santo "La Croce ha sconfitto il male"

Il Papa durante la celebrazione della Passione |  | ©M. MIGLIORATO/CPP Il Papa durante la celebrazione della Passione | | ©M. MIGLIORATO/CPP

L’immagine del Papa prostrato dinanzi alla Croce ha aperto la celebrazione della Passione del Signore nella Basilica di San Pietro.

Come ogni Venerdì Santo, al termine della lettura del Passio, l’omelia è stata affidata a Padre Raniero Cantalamessa, Predicatore della Casa Pontificia.

L’immagine di Gesù flagellato, coronato di spine, deriso e crocifisso è l’Ecce Homo per antonomasia. Ma – ha osservato il Frate francescano – “quanti Ecce homo nel mondo! Quanti prigionieri che si trovano nelle stesse condizioni di Gesú nel pretorio di Pilato: soli, ammanettati, torturati, in balia di militari rozzi e pieni di odio, che si abbandonano a ogni sorta di crudeltà fisica e psicologica, divertendosi a veder soffrire. Non bisogna dormire, non bisogna lasciarli soli! L’esclamazione Ecce homo! non si applica solo alle vittime, ma anche ai carnefici. Vuole dire: ecco di che cosa è capace l’uomo! Con timore e tremore, diciamo pure: ecco di che cosa siamo capaci noi uomini! Altro che la marcia inarrestabile dell’homo sapiens sapiens, l’uomo che, secondo qualcuno, doveva nascere dalla morte di  Dio e prenderne il posto”.

Il pensiero di Padre Cantalamessa si è esteso all’attualità, facendo riferimento alle persecuzioni contro i cristiani: “non si può ignorare che in molti paesi essi sono le vittime designate e più frequenti. Gesù disse un giorno ai suoi discepoli: Viene l'ora in cui chiunque vi ucciderà crederà di rendere onore a  Dio. Mai forse queste parole hanno trovato, nella storia, un compimento così puntuale come oggi. E’ di ieri la notizia del massacro di giovani universitari, 147, in Kenya massacrati dalla furia jihadista…”. C’è il rischio concreto che, nel silenzio generale, tutti noi diventiamo un nuovo Pilato, colui che di fronte alla strage si lava le mani e guarda da un’altra parte. “C’è stato qualcuno – ha spiegato il religioso - che ha avuto il coraggio di denunciare, da laico, la inquietante indifferenza delle istituzioni mondiali e dell’opinione pubblica di fronte a tutto ciò, ricordando a che cosa una tale indifferenza ha portato nel passato”.

Tuttavia oggi, Venerdì Santo, non è l’ora della denuncia, ma del perdono. Come Cristo in croce ha perdonato i suoi aguzzini: “i crocifissori di Cristo sono stati perdonati da Dio, certo, non senza essersi prima, in qualche modo, ravveduti, e sono con lui in paradiso, a testimoniare per l’eternità fin dove è stato capace di spingersi la misericordia di  Dio”.

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Con questo gesto – ha proseguito P. Cantalamessa – Gesù ci parla direttamente “con la sua generosità infinita” dicendo: “Io sono morto per potervi dare ciò che vi chiedo. Non vi ho dato solo il comando di perdonare e neppure soltanto un esempio eroico di perdono; con la mia morte vi ho procurato la grazia che vi rende capaci di perdonare. Io non ho lasciato al mondo solo un insegnamento sulla misericordia, come hanno fatto tanti altri. Io sono anche  Dio e ho fatto scaturire per voi dalla mia morte fiumi di misericordia. Da essi potete attingere a piene mani nell’anno giubilare della misericordia che vi sta davanti”.

Attraverso la Croce “la vittoria definitiva del bene sul male, che si manifesterà alla fine dei tempi, è già avvenuta, di diritto e di fatto. Da quel giorno il male è perdente; tanto più perdente, quanto più sembra trionfare. È già giudicato e condannato in ultima istanza, con una sentenza inappellabile. Gesù ha vinto la violenza non opponendo ad essa una violenza più grande, ma subendola e mettendone a nudo tutta l’ingiustizia e l’inutilità”.

Oggi assistiamo a violenze brutali e “noi cristiani reagiamo inorriditi all’idea che si possa uccidere in nome di Dio. Il genuino pensiero di Dio è espresso dal comandamento non uccidere, più che dalle eccezioni fatte ad esso nella Legge”. Secondo P. Cantalamessa  “il vero discorso della montagna che ha cambiato il mondo non è però quello che Gesù pronunciò un giorno su una collina della Galilea, ma quello che proclama ora, silenziosamente, dalla croce. Sul Calvario egli pronuncia un definitivo no alla violenza, opponendo ad essa, non semplicemente la non-violenza, ma, di più, il perdono, la mitezza e l’amore. Se ci sarà ancora violenza, essa non potrà più, neppure remotamente, richiamarsi a Dio e ammantarsi della sua autorità. Farlo significa far regredire l’idea di Dio a stadi primitivi e grossolani, superati dalla coscienza religiosa e civile dell’umanità”.

Per questo – ha concluso il Predicatore della Casa Pontificia – “i veri martiri di Cristo non muoiono con i pugni chiusi, ma con le mani giunte. Ne abbiamo avuto tanti esempi recenti. È lui che ai 21 cristiani copti uccisi dall’ISIS in Libia il 22 Febbraio scorso, ha dato la forza di morire sotto i colpi, mormorando il nome di Gesú”.