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Verso il Ratzinger Schuelerkreis. “Per Benedetto XVI, la teologia è evangelizzazione”

Parla padre Stephan Horn, che di Ratzinger è stato assistente a Ratisbona. Gli inizi dello Schuelerkreis. La creazione di una famiglia teologica. Le sfide future

Benedetto XVI, Stephan Horn | Padre Stephan Horn con Benedetto XVI, in una foto di qualche anno fa | BenedettoXVIBlog - goo.gl/5BSCTm Benedetto XVI, Stephan Horn | Padre Stephan Horn con Benedetto XVI, in una foto di qualche anno fa | BenedettoXVIBlog - goo.gl/5BSCTm

Chi è Benedetto XVI? È un professore che vive la teologia come una forma di evangelizzazione, che sa parlare al cuore delle persone e che è attento a ciascuno dei suoi studenti. La descrizione è fatta da padre Stephan Horn, salvatoriano, che di Joseph Ratzinger fu assistente ai tempi di Ratisbona e che poi ha coordinato gli incontri del Ratzinger Schuelerkreis, il circolo di ex studenti che si ritrova quest’anno a Roma, il 26 – 27 settembre, in una forma nuova che rende i giovani del Nuovo Schuelerkreis più protagonisti, ma con un tema che più ratzingeriano non si può: “La questione di Dio nelle sfide attuali”. Un tema – rivela padre Horn – che Benedetto XVI aveva scelto un paio di anni fa, riservandosi però di scegliere gli ottimi relatori. Poi, complice la mancanza di tempo, si era virato su temi più sicuri. Oggi, si torna a parlare di Dio, secondo i desideri del maestro che probabilmente non riusciranno a vedere quest’anno. Un maestro che ha ispirato un lavoro che va avanti ormai da quattro decenni. E padre Horn li ripercorre, passo dopo passo.

Cosa la colpì del professore Ratzinger?

Quando lui venne ad insegnare a Ratisbona, io avrei dovuto partire per Monaco per ottenere l’abilitazione. Il mio professore, però, mi disse che Ratzinger era una persona molto intelligente e molto buona. Andai da lui, che mi ricevette cordialmente. Il mio relatore di dottorato era il professore Michael Schmaus, che aveva idee contrapposte a quelle di Ratzinger. Nonostante questo, Ratzinger mi ha accettato senza difficoltà. Per il mio dottorato avevo fatto una ricerca su “Concilio di Trento. Fede e salvezza”, e abbiamo parlato di quello. Fu in quel momento che mi chiese se conoscevo Paul Hacker, indologo, protestante che poi era divenuto cattolico, un suo amico. Io avevo letto di Hacker, e abbiamo discusso un po’ e trovato una sintonia. Abbiamo ricordato insieme questo nostro primo incontro solo quaranta anni dopo. Ho capito in quel momento che era una grande figura. Fu un incontro veramente gentile, bello e scientifico.

Cosa colpiva di Benedetto XVI quando insegnava?

All’inizio del suo primo semestre a Ratisbona, il professor Ratzinger delineò per esempio uno scenario della situazione della cristologia negli ultimi decenni, spiegando tesi e contro tesi. Era affascinante e interessante. Parlava senza quasi vedere gli appunti. E quella lezione non è stata solamente una lezione di tipo scientifica. Ratzinger voleva toccare il cuore degli studenti. Ha saputo di averli conquistati, perché mentre parlava scese un grande silenzio. Successe anche a Bonn, all’inizio della sua carriera da insegnante. Era molto giovane, quasi dell’età degli studenti, ma quando arrivò in cattedra ci fu un grande silenzio.

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Ripensando a queste lezioni dopo quaranta anni, sono arrivato alla conclusione che quelle lezioni erano state, per Benedetto XVI, anche un modo di indirizzare le persone verso Cristo. Era uno sforzo catechetico. La teologia diventava evangelizzazione, veramente.

E come nasce lo Schuelerkreis?

Nasce in maniera insolita. Già nella università di Tubinga, dove Ratzinger aveva insegnato in precedenza si erano riuniti gruppi di studenti (i suoi dottorandi), i quali vistavano con lui professori prestigiosi come Karl Barth e Hans Urs Balthasar.

Noi da Ratisbona, nella primavera del 1977, avevamo invitato anche Karl Rahner, e abbiamo discusso a lungo, in maniera viva, della sua Cristologia.

Sollecitati anche da un giornalista tedesco che volveva fare un servizio in cui parlassero gli ex allievi di Ratzinger, abbiamo espanso la rete di ex studenti, includendo nello Schuelerkreis anche gli ex studenti di dottorato di Benedetto XVI provenienti dalle università di Bonn, Munster e Tuebinga, dove aveva insegnato. E ci siamo strutturati: andavamo in monasteri, case di educazione, invitando uno o due professori ogni anno per discutere di un tema.

Gli incontri sono continuati anche dopo il trasferimento del Papa a Roma…

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La prima difficoltà nella storia dei nostri incontri) c’è stata già all’inizio degli Anni Novanta, quando, per ragioni di salute, Benedetto XVI non poté partecipare. Per un po’ di tempo, lo Schuelerkreis si è riunito senza Benedetto XVI, guidato da Christoph Schoenborn, che poi sarebbe diventato arcivescovo di Vienna e Cardinale. Poi, abbiamo cominciato ad organizzare gli incontri a Regensburg, non lontani dalla casa in cui Ratzinger passava le vacanze a studiare e a scrivere, così che lui potesse venire.

Ma non vi siete fermati nemmeno quando Benedetto XVI è stato eletto Papa…

C’erano sette di noi presenti all’annuncio della creazione a Papa di Benedetto XVI. Siamo poi andati all’incontro con i tedeschi, specialmente della Baviera, da dove il Papa proveniva, e lì ci siamo messi in fila per il baciamano. Quando è arrivato il nostro turno, Benedetto XVI mi ha parlato nell’orecchio e ha detto: “Forse possiamo trovarci una volta a Castel Gandolfo?”. Mi indicò anche la località giusta a Castel Gandolfo per poter fare al meglio lezione.

In quasi quaranta anni di Schuelerkreis, c’è un incontro che le è rimasto più impresso?

Forse il più commovente è stato quello a margine della presentazione del primo volume del Gesù di Nazareth. Avevamo invitato a seguire la presentazione de amici protestanti di Tubingen: Martin Hengel e Peter Stuhlmacher. Si è trattato di una conferenza veramente profonda, mentre il professor Hengel aveva voluto anche parlare privatamente con Ratzinger, per discutere con lui la sua angoscia per lo stato dell’Europa.

Poi, è nel mio cuore la conferenza sulla creazione: avevamo avuto un dibattito molto elevato e fu Benedetto XVI a consigliarci di scrivere gli atti di tutto in un libro.

Altra conferenza interessante è stata quella dell’allora vescovo Koch, che ha discusso della vera ermeneutica del Concilio Vaticano II. Oggi il vescovo Koch è cardinale, presidente del Pontificio Consiglio per la Promozione dell’Unità dei Cristiani e responsabile del Nuovo Schuelerkreis.

Ma chi è realmente BenedettoXVI?

È un professore, ma anche un uomo di Chiesa, non è banalmente un uomo di Chiesa, ma vive pienamente nella fede. La sua teologia è molto sensibile agli sviluppi, ma bisogna anche saper guardare avanti, vedere come si sviluppano i dibattiti. È un teologo, ma anche un uomo umile, timido. Sa comprendere le nuove situazioni le sa accettare. Per poter trovare le soluzioni adeguate per la fede e la rgaione. Noi eravamo i suoi studenti, ma non solo. Lui sapeva imparare da noi, valorizzare le nostre ricerche.

La questione di Dio è un tema profondamente ratzingeriano. Come mai?

Anche questo incontro è stato preparato da Ratzinger, che aveva scelto il tema già due anni fa. È vero, che lui ha parlato sempre di Dio e il grande timore che Dio non è presente nella nostra società. Questo è il lavoro della Chiesa, di dare al nostro tempo di nuovo di Dio, la fede di Dio per la ragione e per la fede. La ricerca di Dio e la fede in Lui è, per Benedetto XVI, di una importanza fondamentale per l'etica nella societa.”

Quale è l’eredità di Benedetto XVI?

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Credo che il volume “Introduzione al cristianesimo” e i tre libri su Gesù di Nazareth rappresentano forse la summa della sua vita intellettuale e spirituale. Da una parte, la ricerca di Cristo nella fede come è confessata nel simbolo apostolico. Dall’altra, la ricerca sul Gesù storico, per rispondere alla grande sfida della teologia di oggi di riunire il Gesu di Nazareth descritto nei Vangeli col Cristo della fede visto nei primi concili. Descrive dunque una cristologia fondata sui Vangeli non solo con una ermeneitoca critica, ma con una visione più ampia, “canonica”. Da qui nasce anche lo studio dei Padri del primo Millennio: Benedetto VI voleva studiare la fede cattolica nel suo insieme, guardando al primo posto a ciò che tutti hanno in comune. Non era chiuso a prendere ciò che è vero e fecondo dei teologi protestanti e ortodossi, anzi, direi il contrario. Si può dire che la sua è una teologia cattolica in senso ampio, non ristretta ad un manipolo di teologi. E, guardando alla sua esperienza alla nostra esperienza con lui potrei dire che Joseph Ratzinger - Benedetto XVI ha sempre cercato di vivere come ha creduto e pensato. Ci ha lasciato come tesoro una teologia molto ampia basata sulle Sante Scrittuere e sui padri di chiesa e i grandi teologi e dunque una teologia ecclesiale che cerca di rispondere alle sfide del tempo.