Resta da vedere se il processo sulla gestione dei fondi della Segreteria di Stato proseguirà sui binari prestabiliti da Papa Francesco oppure deraglierà sul peso delle sentenze sfavorevoli di Londra – dove si è appellato uno degli imputati, Raffaele Mincione, ricevendo una risposta in chiaroscuro dalla Corte che però ha messo la Segreteria di Stato in una posizione difficile –, dei vari altri fronti aperti dalla questione della finanza vaticana, e dalla volontà di Leone XIV di riformare un processo che vede, in appello, come promotore di Giustizia lo stesso Alessandro Diddi che ha rappresentato l’accusa in primo grado, e che poi si è appellato lui stesso alla sentenza confezionata dal Tribunale Vaticano che non aveva accettato tutta la sua ricostruzione di colpevolezza.
Quello che colpisce, delle arringhe di parti civili, non sono le richieste di risarcimento danni, forse esagerate ma in linea con quello che si pensava potesse essere il prezzo del palazzo di Londra su cui la Segreteria di Stato aveva investito. Colpisce, piuttosto, la retorica che porta addirittura ad utilizzare il catechismo della Chiesa Cattolica per definire una colpevolezza, la ricostruzione dei fatti con una serie di “certezze” che però vanno ancora provate, persino – come è successo nella requisitoria – l’utilizzo di narrazioni già smentite dai testimoni.
Papa Francesco non testimonierà al processo sulla gestione dei fondi della Segreteria di Stato, e questo era prevedibile, nonostante alcuni degli imputati abbiano chiamato proprio il Papa tra i testimoni. Ma forse non ci sarà nemmeno il Cardinale Pietro Parolin, Segretario di Stato vaticano, che pure aveva dato disponibilità a venire in tribunale, perché lo stesso tribunale ha deciso che è meglio sentire prima l’arcivescovo Edgar Pena Parra, sostituto della Segreteria di Stato, e solo successivamente, e se è necessario il Segretario di Stato in persona. Non sarà più ascoltata, invece, Francesca Immacolata Chaouqui, chiamata come testimone dal Promotore di Giustizia per un secondo round di domande, questa volta sul suo coinvolgimento nella vicenda.
Papa Francesco aveva autorizzato la Segreteria di Stato a chiedere un prestito all’Istituto delle Opere di Religione per estinguere il mutuo che gravava sul palazzo su cui si era investito a Londra e prendere completamente in mano la gestione dell’immobile. Lo ha rivelato Fabrizio Tirabassi, officiale della Sezione Amministrativa della Segreteria di Stato vaticana, nella prosecuzione del suo interrogatorio nel processo vaticano che ormai è arrivato alla 25esima udienza.