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Processo Palazzo di Londra, le richieste di danni delle parti civili

Udienza 68, 69 e 70 del processo sulla gestione dei fondi della Segreteria di Stato. Le parti civili hanno chiesto i danni agli imputati. Dal 5 ottobre la parola passa alle difese

Processo Palazzo di Londra | Un momento del processo penale in Vaticano | Vatican Media / ACI Group Processo Palazzo di Londra | Un momento del processo penale in Vaticano | Vatican Media / ACI Group

Quello che colpisce, delle arringhe di parti civili, non sono le richieste di risarcimento danni, forse esagerate ma in linea con quello che si pensava potesse essere il prezzo del palazzo di Londra su cui la Segreteria di Stato aveva investito. Colpisce, piuttosto, la retorica che porta addirittura ad utilizzare il catechismo della Chiesa Cattolica per definire una colpevolezza, la ricostruzione dei fatti con una serie di “certezze” che però vanno ancora provate, persino – come è successo nella requisitoria – l’utilizzo di narrazioni già smentite dai testimoni.

Il processo vaticano per la gestione dei fondi della Segreteria di Stato ha visto le parti civili in campo nelle udienze 68, 69 e 70. Hanno parlato la Segreteria di Stato, l’Istituto per le Opere di Religione, Autorità di Supervisione e Informazione Finanziaria, l’Amministrazione del Patrimonio della Sede Apostolica, nonché l’avvocato Sammarco (lo stesso di Francesca Immacolata Chaouqui) per monsignor Alberto Perlasca, ex capo dell’amministrazione della Segreteria di Stato, costituitosi parte civile per una presunta subornazione nei suoi confronti del Cardinale Becciu.

Le richieste di risarcimento

Le richieste di risarcimento sono ingenti. L’APSA, che ha ereditato dalla Segreteria di Stato la gestione dei fondi, ha quantificato il danno patrimoniale in 270 milioni, tra 173 milioni di perdite e 97 di mancato guadagno, almeno per l’investimento sul palazzo di Londra. A queste vanno aggiunte perdite diverse per le operazioni con le società di Enrico Crasso, per la vicenda Sardegna, per la contrattazione della sedicente operatrice di intelligence Cecilia Marogna.

La Segreteria di Stato invece si è limitata a parlare di danni di immagine, con una richiesta provvisionale di 98 milioni di euro di risarcimento.

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L’ASIF, costituitasi parte civile contro l’operato degli ex vertici René Bruelhart (presidente) e Tommaso Di Ruzza (direttore) ha chiesto “la condanna degli imputati per i reati a loro ascritti e il risarcimento di tutti i danni subiti morali e non”, rimettendo al tribunale la loro quantificazione.

Infine, lo IOR ha chiesto il risarcimento dei fondi destinati dallo IOR alla Santa Sede e accantonati dalla Segreteria di Stato per 206 milioni 493 mila 665 euro, cui si aggiungono i danni morali, per i quali è stata chiesta una liquidazione equitativa, e i danni reputazionali, stabiliti da una perizia in 987 mila 494 euro.

I tre filoni del processo

Il processo si divide in tre tronconi principali. Il primo riguarda l’investimento, da parte della Segreteria di Stato, nelle quote di un palazzo di lusso a Londra. Dopo aver deciso di non dare seguito alla possibilità di partecipare ad una piattaforma petrolifere in Angola, la Segreteria di Stato diede in gestione al broker Raffaele Mincione un fondo utilizzato per comprare le quote di un palazzo da sviluppare. Poi, diede le stesse quote in gestione al broker Gianluigi Torzi, che mantenne per sé le uniche azioni con diritto di voto, e di conseguenza il controllo del palazzo. Infine, rilevò l’intero palazzo, che è stato recentemente rivenduto.

Il secondo filone si concentra sl contributo dato dalla Segreteria di Stato alla Caritas di Ozieri per lo sviluppo di un progetto della cooperativa SPES, presieduta dal fratello del Cardinale Becciu. L’accusa, nei confronti di Becciu, è quella di peculato.
Il terzo filone riguarda la sedicente esperta di geopolitica Cecilia Marogna, ingaggiata dalla Segreteria di Stato, che avrebbe utilizzato denaro a lei erogato per delle presunte operazioni di salvataggio di ostaggi (come quello della suora colombiana Cecilia Narvaez rapita in Mali) per fini personali.

Le ricostruzioni delle parti civili

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Senza entrare troppo nei dettagli, vale la pena evidenziare su cosa le parti civili convergono nella ricostruzione. Di fatto, la tesi della Segreteria di Stato è che la decisione di pensare un investimento su una piattaforma petrolifera in Angola, la cosiddetta operazione Falcon Oil, e poi di destinare i fondi per la prima volta nella storia in un hedge fund a discrezione del proprietario del fondo ha rappresentato un momento di svolta nella finanza vaticana.

“Sono stati fatti entrare i mercanti nel tempio”, ha tuonato Paola Severino, che difende la Segreteria di Stato. Mentre Giovanni Maria Flick, difensore dell’APSA, ha riferito punto per punto in che modo si sia arrivati alla decisione di investire nelle quote del palazzo di Sloane Avenue dopo aver lasciato stare l’investimento angolano.

Il fatto che Mincione avesse ampia discrezionalità sul fondo è stato un nodo per tutte le parti civili, così come il giro di affari che Mincione aveva con Gianluigi Torzi, il broker cui sarebbe poi passata la gestione dell’investimento di Londra. “Siamo passati dalla padella Mincione alla brace Torzi”, commentato l’avvocato Scaroina, nel team di Paola Severino in difesa della Segreteria di Stato vaticana.

In pratica, la Segreteria di Stato lamenta un raggiro sia nella gestione di Mincione, definita “costantemente in perdita”, sia nella decisione di passare la gestione a Torzi, avvenuta in una riunione “che potrebbe essere definita drammatica”, ma che in realtà, ricostruisce la Segreteria di Stato, era un gioco delle parti tra Torzi e Mincione per fare un passaggio di consegne che fosse vantaggioso per loro – e che coprisse anche alcune perdite, come quella dell’investimento in CARIGE di Mincione – ma non per la Segreteria di Stato.

In questa situazione, monsignor Alberto Perlasca sarebbe quello raggirato, l’unico che si rende conto che Torzi mantiene il controllo del palazzo, l’unico che poi vuole denunciare mentre si decide in un’altra direzione, cioè quella di liquidare i servizi dei broker e prendere l’intero controllo del Palazzo.

L’APSA vede anche la proposta del Cardinale Becciu di investire in una piattaforma petrolifera in Angola come l’inizio della nuova politica finanziaria che porterà solo disastri, e addirittura – è l’unico a farlo – configura un dolo nella prima decisione dell’allora sostituto, il quale, a onor del vero, scompare nel momento in cui trasferito ad altro incarico. È sempre monsignor Perlasca a gestire, monsignor Perlasca a firmare senza procura il contratto di passaggio della gestione del palazzo a Torzi, monsignor Perlasca poi a rendere testimonianze spontanee e a subire pressioni vari, e monsignor Perlasca che alla fine, da presunto super testimone (e inizialmente da indagato) ormai è quasi scomparso dalla narrativa.

Lo IOR addirittura lamenta che i fondi dall’istituto destinati al Santo Padre sono stati utilizzati per investimenti speculativi, ne chiede la restituzione, lamenta che si è messo in ridicolo il sistema finanziario vaticano puntando il dito contro gli ex vertici dell’AIF, che avrebbero agito irregolarmente consigliando alla Segreteria di Stato una operazione illecita. Per quello, non solo ci vuole risarcimento, ma anche la restituzione dei fondi dallo IOR destinati al Papa, quantificati in circa 700 milioni in 16 anni, perché poi il Papa li possa ridestinare.

L’ASIF, da parte sua, sottolinea che i suoi ex vertici abbiano agito contro il promotore di giustizia, sancendo così quella che appare essere una totale comunanza di intenti con l’ufficio dell’accusa vaticana. Non hanno segnalato le transazioni sospette quando le hanno ricevute, hanno funto da consulenti della Segreteria di Stato in palese conflitto di interessi, hanno consigliato di fare l’operazione più illecita invece di denunciare, e per questo hanno abusato del loro ufficio, almeno secondo l’ASIF.  

Più marginale la questione della parte civile Perlasca, che lamenta che Becciu avrebbe fatto pressione perché cambiasse testimonianze, coinvolgendo il suo vescovo – e ora cardinale – Oscar Cantoni. Ma lo stesso Cardinale Cantoni ha smentito, nel suo interrogatorio, alcun tipo di pressione.

Alcuni nodi critici

Fin qui, la ricostruzione delle parti civili, che hanno i loro toni e anche le loro necessarie forzature, necessarie a giustificare le richieste risarcitorie. Ci sono, però, alcuni nodi critici che vale la pena di notare.

Il primo: il Papa era a conoscenza della situazione e del negoziato. Il Papa passa a Santa Marta nelle stanza dove Torzi è stato invitato a trattare la buonuscita, il Papa invia Giuseppe Milanese a gestire il problema e a fare la trattativa, il Papa convoca Pena Parra per parlare della situazione di Londra. Quanto era consapevole Papa Francesco? E, se Papa Francesco aveva autorizzato le modalità di uscita dall’operazione di Londra, allora ci può ancora essere un reato?

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Il secondo nodo critico riguarda la costruzione delle accuse. Si è detto di Milanese, inviato dal Papa a risolvere il problema. Sia il promotore di Giustizia nella sua requisitoria che la Segreteria di Stato citano Milanese, mettono in luce che Milanese avesse interessi con Torzi, e in una delle testimonianze del processo è venuto anche fuori che la Segreteria di Stato aveva comprato dalla cooperativa OSA di Milanese 6 milioni di crediti sanitari. Perché, allora, Milanese non è stato coinvolto nel processo, se non per una testimonianza?

Il terzo nodo critico è quello degli imputati. Oltre a Milanese, compaiono spesso nelle ricostruzioni altri personaggi, a volte in combutta con Gianluigi Torzi, a volte presenti per i loro interessi. Ci sono chat in comune, scambi di informazioni, leak al momento giusto per aiutare a concludere le operazioni. Alcune delle persone menzionate sono state sentite come testimoni, ma nessuna è dalla parte degli imputati. Così, alcune possibili responsabilità che emergono dallo stesso quadro accusatorio non si rispecchiano, poi, nel processo stesso.

Il quarto nodo critico riguarda le attività dell’Autorità di Informazione Finanziaria. L’ASIF lamenta che i suoi ex dirigenti avrebbero agito fuori dai criteri del loro ufficio sin dall’inizio, per non aver informato il promotore di Giustizia della segnalazione di attività sospetta della Segreteria di Stato. L’AIF, però, è autorità di intelligence. Non segnala subito tutte le attività sospette. Fa le indagini – e infatti ha attivato diversi canali UIF di tutte le nazioni coinvolte – e poi, in caso queste fattispecie di reato si concretizzino secondo la sua valutazione, presenta un rapporto al promotore di Giustizia. La presentazione delle email inviate proprio alle UIF con le ipotesi di truffa non stanno a certificare una indagine fatta e finita, ma una indagine in corso.

C’è, insomma, una prospettiva diversa da cui vedere la situazione. La Segreteria di Stato si trova a dover risolvere un problema, l’AIF cerca di trovare per la Segreteria di Stato una soluzione che sia legale – da qui quello che viene chiamato “nulla osta”, che è un modo di sostenere che l’operazione in questione è fattibile senza problemi – e che sia efficace. È ovvio che ci sia una interlocuzione, perché l’AIF sta aiutando l’organo di governo e ponderando le situazioni possibili. È ovvio che ci sia una interlocuzione con lo studio di avvocati della Segreteria di Stato. Più che agire fuori dalle prerogative, l’AIF sembra aver agito per difendere la stabilità finanziaria della Santa Sede.

Quinto nodo critico: il ruolo dello IOR. Lo IOR destina ogni anno alla Santa Sede un contributo volontario dai profitti, che solo nell’ultimo rapporto è definito “dividendo”. Non si stanno distribuendo soldi all’azionista di riferimento. Si dà alla Santa Sede un surplus perché la Santa Sede lo possa usare a sua discrezione. Ora ne chiede la restituzione, come se poi quel denaro non sia stato già utilizzato per ripianare i bilanci o per fare altre iniziative.

La tesi dello IOR, in generale, è che lo IOR ha denunciato per evitare di finire nei guai, vedendo le operazioni altamente speculative che si stavano facendo. Lo IOR aveva ricevuto richiesta di una anticipazione di denaro alla Segreteria di Stato per risolvere alcuni debiti sul palazzo di Londra, e aveva inizialmente dato assenso alla richiesta, per poi fare incredibilmente marcia indietro. Dato che l’assenso alla richiesta non era stato immediato, perché lo IOR ha cambiato idea? E perché poi i vertici IOR hanno voluto una riunione con la Segreteria di Stato, a denuncia già fatta, per spiegare il loro punto di vista, senza però mai rivelare che avevano segnalato le operazioni al revisore generale?

Infine, la questione Becciu. L’APSA lo ritiene innocente sul caso di Cecilia Marogna, o comunque non troppo responsabile, ma poi è l’unico ente a considerare un dolo. Eppure tutte le testimonianze concordano che il Cardinale ha solo proposto l’investimento in Angola, non ha avuto altro ruolo, e poi fu decisione dell’amministrazione della Segreteria di Stato a decidere di mantenere l’impegno con Mincione, coinvolto dal consulente Enrico Crasso perché esperto di acquisizioni nel ramo petrolifero e rimasto perché si era guadagnato la fiducia di Perlasca.

A questi cinque nodi si aggiungono varie domande, che toccano anche il ruolo dell’officiale dell’amministrazione Fabrizio Tirabassi, colui per il quale è stata richiesta dal promotore di Giustizia la pena più alta. Tirabassi, però, era un esecutore, non era a capo della gestione. Quali possono essere le responsabilità?

La crisi istituzionale

Poi c’è la crisi istituzionale generata dal processo stesso. Nelle parole dello IOR, è stato “messo in ridicolo il sistema finanziario vaticano”, nelle parole dell’ASIF il problema dei vertici in abuso di ufficio è giunto persino nel rapporto sui progressi 2021 di MONEYVAL, il Comitato del Consiglio d’Europa che valuta l’aderenza agli standard internazionali antiriciclaggio dei Paesi che vi si sottopongono.

La narrativa su quel rapporto è che il rapporto è stato particolarmente positivo. Ma quel rapporto non solo era un rapporto con più luci ed ombre di quelle che si vuole dire, ma metteva in luce che c’era una crisi, ma riguardava il sistema giudiziario vaticano.

MONEYVAL metteva infatti in luce le anomalie delle indagini. “Durante le ricerche – si legge al punto 234 – un numero di apparati e documenti sono stati sequestrati, alcuni dei quali contenevano informazioni che l’Unità di Informazione Finanziaria aveva ricevuto da altre cinque controparti europee”, e che includevano più di 15 comunicazioni tra AIF e le altre UIF europee.

seguito di questa anomalia, che avrebbe messo a rischio gli scambi di intelligence, il Gruppo Egmont, che raggruppa le Unità di Informazione Finanziaria di tutto il mondo, ha sospeso l’accesso all’intranet per lo scambio di informazioni.

“Da discussioni con le autorità della Santa Sede / Stato di Città del Vaticano – si legge ancora nel rapporto – non è chiaro se le autorità giudiziarie abbiano valutato il rischio in relazione alle potenziali conseguenze internazionali per le Unità di Informazione finanziaria che potevano venire fuori da queste perquisizione”.

La crisi è rientrata solo con la firma di un protocollo tra AIF e Promotore di Giustizia per “assicurare che la confidenzialità delle informazioni ricevute dalle UIF straniere sia protetta in casi simili in futuro”.

Non solo. Il punto 257 del rapporto segnalava “come una vulnerabilità il fatto che non tutti i promotori di giustizia lavorano esclusivamente per la Santa Sede / Stato di Città del Vaticano. La valutazione ha notato che ‘non si possono escludere’ potenziali conflitti professionali e incompatibilità’. I valutatori possono comprendere la preoccupazione espressa nella valutazione”.

Interessante è che con l’ultimo cambiamento dell’ordinamento giudiziario di Papa Francesco sia caduto l’obbligo per almeno uno dei giudici del tribunale di essere full time al servizio del tribunale stesso. Che conseguenze avrà questa decisione a livello internazionale?

Vero è che la Segreteria di Stato è stata profondamente danneggiata, perdendo la gestione degli investimenti e l’autonomia, mentre lo IOR si è incredibilmente rafforzato: il Segretario di Stato non è più membro del board, tutti gli enti in Vaticano sono tenuti ad investire solo con lo IOR secondo la costituzione apostolica Praedicate Evangelium, e sembra che nessuno possa fermare questa incredibile crescita di autonomia.

Ma lo IOR è sempre un organo di Stato che ha rifiutato la richiesta di un organo di governo, che ha prima acconsentito ad un anticipazione e poi la ha cancellata – e ci sono almeno altri due casi negli ultimi anni in cui l’istituto ha aiutato a ripianare debiti: il prestito di 11 milioni alla diocesi di Terni, contabilizzato nel rapporto IOR 2014 ma precedente alla gestione De Franssu, e quindi la questione che riguarda il monastero benedettino di Dalia, nella diocesi di Porec-Pula, che risolveva un contenzioso tra l’abbazia e la vecchia proprietà del monastero. La vicenda era del 2011, l’aiuto IOR era stato ottenuto nel 2018-2019, quando era già arcivescovo Dražen Kutleša, ora arcivescovo di Zagabria. 

Perché lo IOR ha detto di no, se poi l’ultimo rapporto IOR certifica che l’istituto avesse in pancia il denaro necessario?

È un processo con più luci che ombre alla fine, che lascia poi una domanda di fondo: ma se davvero Segreteria di Stato e IOR saranno risarciti per il danno reputazionale e davvero utilizzeranno i fondi ottenuti per campagne di promozione per sistemare la narrativa, come faranno? Si faranno degli spot? Si promuoveranno degli articoli sui giornali? Oppure semplicemente il denaro andrà a rifondare un bilancio che non sembra essere più tanto florido, specialmente dopo il COVID?