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Un servizio di EWTN News

Diplomazia pontificia, la giornata di digiuno e preghiera per la pace

Il Consiglio Pan-Ucraino delle Chiese durante la visita in Vaticano nel gennaio 2023

Il 22 agosto è stata una giornata di preghiera per la pace, in Ucraina, in Terrasanta e in molti altri luoghi. Leone XIV la ha convocata al termine dell’udienza generale di mercoledì 20 agosto. La preghiera e il digiuno per la pace sono un’iniziativa che va nel solco delle tradizioni papali. Papa Francesco aveva convocato la sua prima giornata di preghiera e digiuno per la pace nel settembre 2013, poco tempo dopo la sua elezione, mentre l’ultima giornata di questo tipo avrà avuto luogo il 7 ottobre 2024, poco prima della morte di Francesco. Nel mezzo, ci sono state varie iniziative di preghiera per la pace, tra cui una per la pace in Libano nel settembre 2020, che ha visto anche una missione del Cardinale Pietro Parolin, segretario di Stato, nel Paese dei Cedri.

La preghiera per la pace è una straordinaria iniziativa di soft diplomacy della Santa Sede. Anche quando la diplomazia della Santa Sede non può usare i mezzi classici, come quello della mediazione – spesso per l’indisponibilità delle parti in causa ad essere mediate – può mobilitare in preghiera i cattolici di tutto il mondo, e questo è un segno fortissimo, anche per i non credenti, di quanto il mondo voglia la pace.

Leone XIV potrebbe aggiungere a queste iniziative anche dei “viaggi per la pace”. Si parla insistentemente, ora, di una tappa in Libano del Papa dopo il viaggio a Nicea, che dovrebbe arrivare come seconda tappa di un viaggio che potrebbe iniziare in Algeria, sulle orme di Sant’Agostino. E il viaggio in Libano sarebbe anche un segno per tutto il Medio Oriente, un sostegno al “Paese messaggio” dove le confessioni religiose si spartiscono gli incarichi più alti della nazione, e dove le religioni sono impegnate costituzionalmente a vivere per il bene comune.

Nel corso della settimana, da segnalare che la Santa Sede non ha avuto reazioni ufficiali al summit in Alaska tra il presidente Trump e il presidente Putin per parlare della situazione in Ucraina. Il Consiglio Pan-Ucraino delle Chiese, tuttavia, ha rilasciato una forte dichiarazione sulla questione.

Il cardinale Pietro Parolin, Segretario di Stato vaticano, ha terminato il suo viaggio in Burundi, dove ha celebrato i 60 anni di relazioni diplomatiche tra Bujumbura e la Santa Sede e ha ricordato il nunzio Courtney, ucciso nel 2003 dopo aver aiutato a raggiungere una pace tra i leader burundesi e i ribelli Tutu.

                                                           FOCUS UCRAINA

Dopo l’incontro Trump – Putin, la reazione del Consiglio Pan-Ucraino delle Chiese

Il presidente russo Vladimir Putin avrebbe insistito particolarmente, nell’incontro con il presidente Donald Trump, sulle garanzie di concedere alla lingua russa uno status ufficiale in Ucraina e sulla “sicurezza per le Chiese ortodosse russe”. La situazione della Chiesa ortodossa russa è stata anche rimarcata dal Metropolita Antonij, capo del Dipartimento di Relazioni Esterne del Patriarcato di Mosca, al termine del suo incontro con Leone XIV lo scorso 26 luglio, in una nota diffusa dal Patriarcato di Mosca, ma senza che ci sia stata alcuna comunicazione vaticana in merito.

Il Consiglio Pan-Ucraino delle Chiese e delle Confessioni Religiose racchiude il 95 per cento delle confessioni religiose in Ucraina, e, sin dall’inizio del conflitto, è stato eroicamente vicino alla popolazione, implementando vari progetti, tra cui alcuni finanziati dall’iniziativa di Papa Francesco “Il Papa per l’Ucraina”, colletta straordinaria lanciata nel 2017.

In una nota diffusa lo scorso 18 agosto, il Consiglio ha sottolineato che “l’Ucraina, dall’inizio della sua indipendenza, è nota nel mondo per i suoi elevati standard in materia di libertà religiosa, che sono preservati e rispettati anche in condizioni di legge marziale”.

Allo stesso tempo, il Consiglio ricorda che nell’agosto 2024 è stata adottata la legge “Per la protezione del sistema costituzionale nell’ambito dell’attività delle organizzazioni religiose” che vietava l’attività di Chiese con centri di potere all’estero in Ucraina, colpendo in particolare la Chiesa ortodossa russa.

È una legge di guerra, che può apparire ingiusta e che Papa Francesco aveva indirettamente criticato. Tuttavia, il Consiglio ha sottolineato che la decisione del Parlamento “è stata motivata dall’attività della Chiesa ortodossa russa che, partecipa direttamente alla guerra contro l’Ucraina, dichiara apertamente la propria missione di distruggere la sovranità, la cultura e l’identità nazionale ucraina, benedice l’utilizzo di armi di distruzione di massa e sostiene apertamente l’uccisione dei civili ucraini e l’occupazione illegale dei territori ucraini”.

E ancora, “il Capo della Chiesa ortodossa russa, il patriarca Kirill, proclama pubblicamente l’aggressione militare russa contro l’Ucraina come «guerra santa» promettendo agli occupanti russi che periranno in questa guerra barbarica contro l’Ucraina la «completa remissione dai peccati», con cui di fatto ha avallato l’uccisione degli ucraini, compresi cristiani di diverse confessioni e rappresentanti di varie tradizioni religiose”.

I capi delle confessioni religiose ucraine notano tra l’altro che la legge “non contiene un divieto automatico in Ucraina delle organizzazioni religiose collegate con la Chiesa ortodossa russa e facenti parte della sua struttura”. Al contrario, tale legge prevede procedure democratiche e giuridiche, attraverso cui, per il tramite di un organo statale competente, si svolgono accertamenti volti a stabilire la presenza o l’assenza di vincoli con la Chiesa ortodossa russa e, nel caso di confermata affiliazione con la Chiesa ortodossa russa della rispettiva organizzazione religiosa in Ucraina, l’adozione di ulteriori misure per eliminare le violazioni della legislazione sulla libertà di coscienza e sulle organizzazioni religiose. La decisione finale è adottata da un tribunale indipendente in piena conformità ai principi di una società democratica”.

Ancora, il Consiglio spiega che “il Servizio Statale ucraino per l’Etnopolitica e la Libertà di Coscienza (DESS) ha condotto uno studio e ha stabilito che l’unione religiosa Chiesa Ortodossa Ucraina, attraverso il suo organo centrale di amministrazione, la metropolia di Kyiv, mantiene segni di affiliazione alla Chiesa ortodossa russa come definiti dalla legge.

Relativamente a questo, il DESS ha emesso una prescrizione alla metropolia di Kyiv della Chiesa ortodossa ucraina per eliminare le violazioni della legislazione sulla libertà di coscienza e sulle organizzazioni religiose. Il 15 agosto 2025, la metropolia di Kyiv ha risposto al DESS che le richieste contenute nella Prescrizione non riguardano la Chiesa ortodossa ucraina e “non possono essere prese in considerazione ai fini dell’esecuzione”.

I religiosi ucraini denunciano che “la Federazione Russa utilizza la religione, in particolare la Chiesa ortodossa russa, come arma per raggiungere i propri obiettivi neo-imperiali in diversi Paesi”, e per questo “diversi Stati europei, richiamandosi alle risoluzioni dell’Assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa (APCE) e del Parlamento europeo, tra cui la risoluzione «Propaganda e libertà d’informazione in Europa» n. 2567 (2024) hanno introdotto misure restrittive in risposta all’attività distruttiva della Chiesa ortodossa russa”. Questo perché “di fatto, la struttura dirigente della Chiesa ortodossa russa costituisce un organo statale russo, pienamente integrato nel sistema della politica aggressiva del Cremlino”.

È in queste ragioni che va collocata, secondo il Consiglio, la difesa di Putin degli interessi della Chiesa ortodossa russa. Ma, allo stesso tempo, va sottolineato che “nei territori temporaneamente occupati dall’esercito russo in Ucraina, l’attività delle organizzazioni religiose ucraine, inclusa l’unione religiosa Chiesa ortodossa ucraina, è limitata o del tutto vietata. Lo Stato russo, così come sul proprio territorio e, ancor di più, nei territori occupati dell’Ucraina, viola e disprezza sistematicamente tutti i principi fondamentali della libertà religiosa, come attestato da numerosi report”.

Per questo, il Consiglio sostiene la legge dello Stato, chiede lo sviluppo di relazioni con altri Stati secondo principi di “reciprocità” e denuncia che “non si può permettere che all’Ucraina vengano imposti obblighi «asimmetrici» relativi allo status speciale della lingua russa, della cultura, della Chiesa ortodossa russa, della partecipazione o meno a organizzazioni internazionali e analoghi. L’Ucraina e il popolo ucraino hanno conquistato il diritto di scegliere in autonomia il proprio percorso di sviluppo e di collaborazione con i partner internazionali”.

La situazione della Chiesa Ortodossa Ucraina

Ma quale è la situazione in Ucraina? Lo scorso 6 agosto, il metropolita Onufry, primate della Chies Ortodossa Ucraina (legata a Mosca) ha inviato al DESS una lettera di risposta all’ordinanza DESS del 17 luglio che chiedeva alla Chiesa ortodossa ucraina di mostrare alcuni requisiti particolari (cinque richieste) pena lo scioglimento.

Il metropolita Onufry contesta l’ordinanza e rifiuta di ottemperare ai cinque punti. I cinque requisiti imposti dall'Ordinanza del DESS del 17 luglio erano moderati e implementavano logicamente le precedenti affermazioni del Metropolita Onufry secondo cui la Chiesa Ortodossa Unita è realmente indipendente. È molto probabile che il DESS abbia moderato i cinque requisiti nella speranza che fossero accettabili per la Chiesa Ortodossa Unita.

La lettera di Onufry non entra nel dettaglio dei cinque requisiti, li definisce semplicemente “fittizi e senza alcuna relazione con la Chiesa Ortodossa Ucraina e non possono essere applicati”. Tra i requisiti, la richiesta che la Chiesa Ortodossa Ucraina riconosca come invalide le decisioni della Chiesa Ortodossa Russa che annettono diocesi della Chiesa Ortodossa Ucraina e nominano i capi delle diocesi della Chiesa Ortodossa Ucraina.

La lettera descrive in dettaglio l'ampio aiuto umanitario e sociale fornito dalla Chiesa Ortodossa Ucraina all'Ucraina e al suo esercito e afferma che il DESS non ha preso in considerazione tale aiuto nel suo processo decisionale. Si sostiene inoltre che i procedimenti contro la Chiesa Ortodossa Ucraina violino il diritto ucraino e internazionale.

(La storia continua sotto)

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La Chiesa Ortodossa Ucraina ha comunque mostrato un cambio di tono. A maggio 2025, Onufry, alla celebrazione del suo anniversario come primate, aveva attaccato l’aggressione all’Ucraina e la giustificazione dell’attacco da parte del Patriarca Kirill. Ad agosto, invece, Onufry ha peferito anticipare la questione della risposta della lettera, non sottomettendola all’incontro dei vescovi, probabilmente per sostenere gli sforzi di pace.

Durante la sua visita ad Anchorage, il Presidente Putin ha incontrato l'Arcivescovo Alexei (Trader) di Sitka e Alaska (Chiesa Ortodossa in America). Putin ha donato all'Arcivescovo Alexei un'icona di Sant'Erman dell'Alaska e un'icona della Dormizione della Santissima Theotokos. L'Arcivescovo a sua volta ha donato al Presidente un'icona di Sant'Erman, che l'Arcivescovo aveva ricevuto dal Monte Athos. L'Arcivescovo ha dichiarato di cercare di visitare la Russia ogni anno e ha aggiunto: "Per me, così come per il mio sacerdozio, per i seminaristi, questo è sempre un grande dono. Ogni volta che si trovano lì (in Russia), dicono: ci siamo sentiti a casa...".

Leone XIV sull’Ucraina: “Cercare la strada della pace”

Il 19 agosto, Leone XIV ha terminato il suo secondo periodo di vacanza a Castel Gandolfo ed è tornato in Vaticano. All’uscita da Villa Barberini, nella sera del 19, il Papa si è soffermato a parlare con i cronisti. Ha parlato anche della situazione in Ucraina. Ha detto che “c’è speranza, ma bisogna lavorare e pregare molto. Occorre cercare veramente la strada per andare avanti, per trovare la pace”.

Il Papa ha accennato anche a colloqui “continui” con alcuni leader”.

                                                                       FOCUS AFRICA

Il Cardinale Parolin in Burundi, cosa ha fatto durante la visita

Il 18 agosto è terminato il viaggio del Cardinale Pietro Parolin, Segretario di Stato vaticano, in Burundi. Parolin è stato nel Paese africano per celebrare il Giubileo dei 60 anni di relazioni diplomatiche con Bujumbura, e nell’occasione ha anche siglato sette accordi specifici su vari temi che applicano l’accordo ratificato nel 2002 tra Burundi e Santa Sede, ha consacrato basilica minore la Basilica di Sant’Antonio da Padova a Mugera, e ha inaugurato una opera dedicata al defunto arcivescovo Michael Aidan Courtney, che fu tra i fautori dell’accordo di pace tra Bujumbura e i ribelli hutu e cadde vittima di un agguato nel 2003.

Il 13 agosto, il Cardinale Parolin è stato ricevuto da Evariste Ndayishimiye, presidente della Repubblica di Burundi, presso il Palazzo Presidenziale di Ntare Rushatsi. In un cordiale incontro a tu per tu, il Segretario di Stato della Santa Sede ha dichiarato di portare un messaggio di carità e cooperazione da parte del Santo Padre. I colloqui tra le due parti si sono concentrati anche sul rafforzamento delle relazioni con la Santa Sede, sottolineando il reciproco riconoscimento e sostegno agli sforzi volti al benessere del popolo burundese.

A seguito del faccia a faccia, ha avuto luogo un incontro allargato cui hanno partecipato i leader della Chiesa cattolica in Burundi, alcuni membri del governo e altri alti funzionari. In questo contesto, sotto il patrocinio di questi due illustri funzionari, sono stati firmati accordi specifici per l'attuazione dell'accordo quadro ratificato nel 2002 tra Burundi e Santa Sede. Sono stati infatti firmati sette accordi di cooperazione tra i ministri burundesi competenti e Mons. Bonaventure Nahimana, Presidente della Conferenza Episcopale del Burundi. Questi accordi sono "volti a migliorare i servizi per i fedeli e la popolazione in vari settori, il che offre la speranza di benefici concreti per le comunità locali in generale".

Il Cardinale Parolin ha incontrato i vescovi anche presso il Centro Interculturale Nazionale per la Pace e la Riconciliazione (CNOPR) in Burundi. Hanno concelebrato una Messa durante la quale il Segretario di Stato vaticano ha elogiato il loro coraggio nell'opera pastorale di riconciliazione in questa regione, afflitta da conflitti fratricidi negli ultimi sessant'anni. Ha anche invitato il popolo burundese a voltare le spalle alla schiavitù di questi conflitti.

La presenza del Segretario di Stato della Santa Sede ha anche offerto l'occasione per celebrare solennemente diversi eventi. A Minago, dove il Nunzio Apostolico, il Vescovo Michael Courtney, ha offerto la sua vita per la pace il 29 dicembre 2003, il Cardinale ha inaugurato un monumento in onore del defunto sabato 14 agosto, posando la prima pietra per la costruzione di un centro sanitario. Ha anche benedetto la prima pietra per la costruzione del Seminario Maggiore Michael Courtney a Ruyigi.

Il giorno seguente, nella Solennità dell'Assunzione, il Cardinale ha proclamato la Basilica di Sant'Antonio da Padova a Mugera "Chiesa del Papa affidata alla Chiesa locale". E alla vigilia del suo ritorno in Vaticano, il Cardinale Parolin ha chiuso la cerimonia commemorativa del 60° anniversario delle relazioni diplomatiche tra la Santa Sede e la Repubblica del Burundi.

La Chiesa in Burundi, attraverso il Presidente della Conferenza Episcopale, ha espresso profonda soddisfazione per la forza e la qualità di queste relazioni.

L'Arcivescovo Bonaventure Nahimana ha inoltre espresso la sua gratitudine al governo burundese per la recente decisione di istituire un'ambasciata presso la Santa Sede, "un gesto altamente significativo che dimostra la sua volontà di mettersi a disposizione dei burundesi, in questo caso sacerdoti e persone consacrate, che avranno bisogno dei suoi servizi".

L'Arcivescovo Nahimana ha affermato di aver accolto il capo della diplomazia vaticana con gratitudine e nella consapevolezza che questo dono è al tempo stesso "un onore e un segno di maturità per la Chiesa in Burundi". Ha inoltre reso omaggio alla cura pastorale del Cardinale Parolin, che si è preso cura di incontrare sacerdoti, persone consacrate e seminaristi,  “a ciascuno ha offerto consigli illuminati su come vivere la propria vocazione con speranza e fedeltà. Pastore attento al bene dei suoi fedeli, il Cardinale Parolin ha dimostrato vicinanza a "La sua presenza è segnata dalla sua paterna gentilezza e benevolenza".

Inoltre, il Vescovo Nahimana ha sottolineato la presenza del Segretario di Stato della Santa Sede tra i bambini, i giovani, gli anziani e i malati, nonché tra i suonatori di tamburo di Gishora. Questo, ha detto, "riflette gesti caratterizzati da diligenza e profondità spirituale, degni del suo ufficio". La Chiesa in Burundi, augurandogli un sicuro ritorno, lo ha rassicurato delle sue ferventi preghiere, chiedendo in cambio le sue preziose preghiere e sperando di poter un giorno accogliere la visita del Santo Padre in questo Paese dell'Africa orientale.

Nigeria, continuano gli attacchi nello Stato del Benue

Anche Leone XIV ha denunciato gli attacchi contro i cristiani in Nigeria, che continuano in maniera sempre più insistente. L’11 agosto, i banditi Fulani hanno attaccato la parrocchia cattolica di St. Paul in Aye-Twar. Tutte le attività pastorali sono state bloccate come conseguenza, e tutte le 26 parrocchie della zona sono state occupate da cecchini.

L’attacco dell’11 agosto ha desacralizzato e distrutto la chiesa parrocchiale, messo a fuoco l’ufficio del parroco e la rettoria, e saccheggiato e distrutto veicoli e altre proprietà della parrocchia.

In una dichiarazione raccolta dall’agenzia Fides, Farouk Lawal Jobe, governatore in carica dello Stato di Katsina in Nigeria, ha detto che la popolazione del suo Stato “merita di vivere in sicurezza, e non nella paura”, e ha richiesto “al presidente di diramare istruzioni appropriate a tutte le agenzie di sicurezza per porre fine in maniera risoluta agli attacchi ingiustificati contro le nostre pacifiche comunità”.

Il 19 agosto, c’è stato un altro massacro nella moschea di Unguqar Mantau, portato avanti da un gruppo di banditi come vendetta per l’uccisione di alcuni dei loro complici da parte degli abitanti del villaggio.

Nel weekend scorso, la Nigerian Air Force ha bombardato Jigawa Sawi, vicino al confine con lo Stato di Zamfara, permettendo a 62 persone rapite lo scorso 11 agosto di scappare”.

Secondo uno studio recente dell’Oxford Policy Management, tra il 2020 e il 2025 sono stati rapiti approssimativamente 330 studenti e 14 professori, mentre altri cinque professori sono stati uccisi. Un totale di 52 scuola nelle aree di Batsari, Faskari e Kankara sono state chiuse. L’insicurezza dello Stato di Katsina deriva anche al fatto che il confine con il Niger non è controllato adeguatamente, e questo permette il passaggio di islamisti, bande armate e agenti di contrabbando.

                                                           FOCUS MULTILATERALE

La Santa Sede all’Organizzazione degli Stati Americani, la questione di Haiti

Lo scorso 20 agosto, si è tenuta una sessione del Consiglio Permanente dell’Organizzazione degli Stati Americani, durante la quale è stato presentato il documento intitolato “Verso una road map per la stabilità e la pace gestita ad Haiti con appoggio regionale e internazionale”.

Nel suo intervento, monsignor Antonio Cruz Serrano, osservatore permanente della Santa Sede presso l’OAS, ha detto che la Santa Sede ha preso nota della road map che “intenderebbe rispondere alla profonda e drammatica situazione che attraversa Haiti, con dimensioni tanto sociopolitiche che umanitarie, caratterizzate in particolare da una persistente insicurezza, povertà endemica e violenza di gruppi armati”.

Una situazione che è stata affrontata anche in una dichiarazione di Leone XIV lo scorso 10 agosto, quando ha definito la situazione del popolo haitiano come “disperata”, e ha descritto le continue notizie di “assassinii e violenza di ogni tipo, tratta delle persone, esili forzate e sequestri”.

Cruz Serrano sottolinea che “di fronte alla crisi multidimensionale che vive Haiti”, la Santa Sede apprezza gli sforzi dell’OAS per “adottare con urgenza soluzioni concrete in modo da tentare di risolvere la grave crisi di sicurezza e istituzionale” di Haiti, coinvolgendo “la comunità internazionale e rilevanti attori internazionali”.

Da parte sua, la missione della Santa Sede “si permette di segnalare che la Conferenza Episcopale di Haiti ha pubblicato, lo scorso 23 luglio, una dichiarazione sull’attuale crisi di sicurezza e sul progetto preliminare di Costituzione previsto nel 2025”, mettendo in luce “preoccupazioni importanti”.

La Santa Sede, inoltre, “ribadisce la sua vicinanza al popolo haitiano e riafferma il suo appoggio costante agli sforzi per promuovere la pace e la stabilità”.

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