venerdì, dicembre 05, 2025 Donazioni
Un servizio di EWTN News

Diplomazia pontificia, la questione Terrasanta al centro

Il cardinale Pietro Parolin è in piedi tra Varsen Aghabekian, ministro degli Esteri dell'Autorità Palestinese, e Issa Kassisieh, ambasciatore della Palestina presso la Santa Sede, insieme ad altri due membri della delegazione durante un incontro tenutosi il 1° settembre in Vaticano.

È significativo che il ministro degli Esteri palestinese Varsen Aghabekian sia stata in visita in Vaticano, per un bilaterale in Segreteria di Stato, l’1 settembre, appena due giorni prima la visita del presidente israeliano Herzog al Papa. È ancora più significativo che la Sala Stampa della Santa Sede abbia voluto chiarire che non era stato il Papa a invitare il presidente di Israele, come tra l’altro è prassi: c’è, da protocollo, una serie di personalità cui non viene mai rifiutata l’udienza, e tra queste ci sono i capi di Stato, ma la Santa Sede non invita mai nessun presidente a fare una visita. Semplicemente, la Santa Sede accoglie.

Durante la settimana, è stato in Vaticano, per la sua prima visita, il nuovo presidente polacco Karel Nawrocki, che nei colloqui in Segreteria di Stato ha parlato anche dell’emergenza ucraina.

L’arcivescovo Paul Richard Gallagher, ministro vaticano per i Rapporti con gli Stati, è stato al Bled Strategic Forum in Slovenia, dove ha avuto anche un incontro con i vescovi del Paese.

Sua Beatitudine Sviatoslav Shevchuk, in occasione dell’indipendenza ucraina, ha tratteggiato il ruolo della Chiesa nella nazione.

                                                           FOCUS TERRASANTA

Il ministro degli Esteri di Palestina incontra il Cardinale Parolin

La Santa Sede sostiene la pace e deve continuare a sensibilizzare l'opinione pubblica sulla crisi umanitaria a Gaza, consentendoci di partecipare ai negoziati di pace, ha dichiarato a EWTN News Varsen Aghabekian , ministro degli Esteri dell'Autorità Palestinese, in un'intervista esclusiva.

Il 1° settembre, Aghabekian ha tenuto un incontro bilaterale in Vaticano con il Cardinale Pietro Parolin, Segretario di Stato vaticano. Durante la sua permanenza a Roma, ha anche visitato il Sovrano Militare Ordine di Malta, incontrando Riccardo Paternò di Montecupo, Gran Cancelliere dell'Ordine, e discutendo delle iniziative umanitarie dell'Ordine di Malta in Palestina.

La diplomatica di origine giordana, cristiana di origine armena, ha completato gli studi superiori negli Stati Uniti, conseguendo un master in amministrazione infermieristica presso la Purdue University e un dottorato in politica educativa e studi gestionali presso l'Università di Pittsburgh. È stata nominata Ministro degli Esteri nel marzo 2024.

In questa intervista, Aghabekian racconta il suo incontro in Vaticano, sottolinea gli sforzi della Santa Sede per la pace e si batte per negoziati di pace multilaterali per stabilire una giusta risoluzione alla guerra a Gaza, iniziata dall'organizzazione nazionalista palestinese Hamas il 7 ottobre 2023.

L'Autorità Nazionale Palestinese è attualmente guidata da Fatah, un partito politico nazionalista  e  socialdemocratico palestinese il cui presidente è Mahmoud Abbas ,  presidente dell'Autorità Nazionale Palestinese . Hamas controlla Gaza dal 2007.

Mentre Aghabekian accusa Israele di aver rifiutato la pace per 30 anni, sia Israele che gli Stati Uniti hanno proposto nel corso degli anni numerosi accordi di pace che l'Autorità Nazionale Palestinese ha respinto.

Giovedì Papa Leone XIV e i suoi principali collaboratori hanno incontrato il presidente israeliano Isaac Herzog.

Qual è stato il motivo della sua visita in Vaticano?

Questo fa parte di un viaggio più ampio. Ho visitato diversi Paesi per ottenere sostegno al riconoscimento della Palestina, e altri Paesi che hanno già riconosciuto lo Stato palestinese, come la Santa Sede. In questo caso, ho attirato l'attenzione sulla situazione sempre più catastrofica e sulla necessità di intraprendere un percorso politico in preparazione della conferenza di New York.

Chi ha incontrato nella Santa Sede?

Abbiamo incontrato il Cardinale Pietro Parolin, Segretario di Stato vaticano, e abbiamo avuto una discussione molto schietta sulla situazione a Gaza e in Cisgiordania. Abbiamo parlato delle condizioni in cui i cristiani palestinesi se ne stanno andando, del numero sempre più esiguo di cristiani, delle violazioni generali del diritto umanitario e della necessità di porre fine alla guerra a Gaza.

Qual è la situazione a Gaza?

C'è bisogno di assistenza umanitaria senza ostacoli. È anche necessario prestare attenzione alla Cisgiordania. L'espansione degli insediamenti israeliani mette a repentaglio la soluzione dei due Stati. Oggi si è discusso di tutto ciò che sta violando la soluzione dei due Stati.

Ha riscontrato che la Santa Sede sostiene la situazione palestinese? Pensa che potrebbe fare di più?

La Santa Sede è impegnata a promuovere la pace. Come cristiani, siamo costruttori di pace. Quindi, in questo senso, siamo a favore del diritto dei popoli all'autodeterminazione, e siamo contrari alle violazioni, e siamo contrari a qualsiasi violenza perpetuata da chiunque contro un altro. Quindi, in questo senso, la Santa Sede ha riconosciuto i due Stati molto tempo fa; ha riconosciuto lo Stato palestinese molto tempo fa (nel 2015), e abbiamo bisogno del sostegno della Santa Sede. Abbiamo bisogno che il Papa parli della difficile situazione dei palestinesi. Abbiamo bisogno che il Papa parli dell'importanza della pace perché la sua voce risuona bene nel mondo. Ci aspettiamo che le sue parole possano dare un senso a ciò che sta accadendo.

Quale può essere una possibile via verso la pace? La situazione sembra ormai irreversibile…

Deve essere reversibile; dobbiamo credere che sia reversibile. Ogni volta che si occupa una terra, non si rispetta il diritto internazionale. Quindi, se tutti crediamo nel diritto internazionale e nella necessità di rispettarlo, dobbiamo effettivamente rispettarlo. Cosa sta succedendo oggi? Ciò che Israele sta facendo in termini di annessione, di cancellazione di popolazioni, di sfollamento, di costruzione di insediamenti, di trasferimento della popolazione in terre occupate, è tutto qui.

Avete dati reali sulla situazione umanitaria in Israele?

(La storia continua sotto)

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Oggi apprendiamo che 2 milioni di persone a Gaza sono sfollate. Sono state sfollate non una, non due, non tre volte, ma diverse volte. Ricordiamo che il 65% della popolazione è già o è stata una popolazione rifugiata. Hanno ottenuto lo status di rifugiati nel 1947-1948, quindi sono state sfollate più di una volta. La fame è una realtà nei campi di guerra, come confermato da un rapporto delle Nazioni Unite che ha dichiarato lo stato di carestia, a indicare che questa non è solo una narrazione sul fatto che le persone stiano morendo di fame o meno.

Sappiamo quanto la guerra stia costando in termini di vite umane. Ci siamo svegliati oggi con la notizia che centinaia di persone sono state uccise nelle ultime 24 ore, tra cui 38 persone in cerca di aiuti umanitari.

E poi ci sono problemi medici, problemi sociali... E così via. In due anni di guerra, la gente non ha ricevuto cure mediche adeguate e molti non sono andati dal dentista, con conseguente sviluppo di problemi orali.

Inoltre, i bambini sono fuori dalla scuola da due anni. Che effetto ha questo sulla salute mentale? Che effetto ha sulla loro prospettiva futura vedere sangue e morte intorno a loro? La situazione è ben più che catastrofica.

Israele giustifica l'occupazione e gli attacchi con la necessità di sradicare Hamas. Cosa può fare la Palestina per distruggere Hamas?

Hamas non è solo una struttura fisica. Voglio dire, puoi uccidere persone, smantellare edifici, ma Hamas è un'ideologia, e quell'ideologia si alimenta finché non c'è giustizia. Finché i palestinesi non vedranno un futuro, non vedranno la luce alla fine del tunnel, ci saranno sempre persone che credono che la violenza possa essere una soluzione, che la violenza possa essere una via d'uscita, perché hanno visto che il campo della pace non ha portato loro nulla. Questa è la via d'uscita perché vedono che l'altro campo, il campo della pace, non ha portato loro nulla. Voglio dire, abbiamo avviato un processo di pace con Israele più di trent'anni fa, e a cosa è finito? A un'ulteriore occupazione. Tutto è venuto fuori dopo l'avvio del processo di pace. 

Quindi la gente vede che la violenza colpisce almeno in un modo o nell'altro, perché il campo della pace non sta riportando indietro la Palestina.

Qual è allora la soluzione?

L'unico modo per domare gli estremisti di tutte le parti, sia palestinesi che israeliane, è attraverso un processo di pace che rispetti i diritti della maggior parte delle parti, che affermi che esiste un futuro migliore per tutti. E che questo futuro sia regolato dal diritto internazionale e dall'ordine mondiale; qualsiasi altra cosa verrà violata.

Ritiene che la Santa Sede possa svolgere un ruolo trainante in questo processo di pace?

Sì, perché, come ho detto, le parole della Santa Sede risuonano bene nel mondo. Dobbiamo continuare a discutere di pace e di principio in questo caso. Gesù ci ha detto: "Beati gli operatori di pace". Questo è il motivo per cui dobbiamo continuare su questa strada.

Sappiamo che la maggior parte dei cattolici in Palestina sono arabi. Quale impatto possono avere questi cattolici?

I cristiani fanno parte della comunità palestinese. Le organizzazioni cristiane rappresentano il terzo datore di lavoro in Palestina, dopo l'Autorità Nazionale Palestinese e oltre. I cristiani hanno dato un contributo significativo in vari campi, tra cui sanità, istruzione, assistenza sociale e turismo.

Abbiamo assistito alla protesta del popolo israeliano contro la situazione a Gaza. Esiste una possibile connessione tra palestinesi e israeliani sulla questione della pace?

Accoglieremmo con favore qualsiasi passo in questa direzione, e ci sono, naturalmente, israeliani contrari alla guerra. Dobbiamo sentire le loro voci più spesso perché possono fare la differenza. Alcuni elettori chiedono al governo di rendere conto delle proprie azioni e possono dire la loro, ma dobbiamo vedere il consiglio scendere in piazza e avere un consiglio più in stile londinese.

La tua ambizione è che sempre più Paesi riconoscano lo Stato di Palestina?

Attualmente 149 Paesi riconoscono lo Stato di Palestina . Ci aspettiamo che altri Paesi seguano l'esempio. Alcuni di loro hanno già espresso la loro intenzione di riconoscere la Palestina incondizionatamente. Diversi Paesi hanno posto delle condizioni. Tuttavia, ci aspettiamo che altri Paesi riconoscano lo Stato di Palestina. Non conosco il numero esatto, ma più sono, meglio è.

Israele afferma di essere in guerra con Hamas, e di non essere in guerra con la Palestina. Quindi, chi siederà al tavolo della pace?

Il tavolo della pace richiederebbe la presenza di tutti. I palestinesi innanzitutto, perché l'OLP è l'unica entità che ha influenza politica sull'intero territorio palestinese. Se non ci fossero palestinesi, il processo di pace stesso verrebbe compromesso. Tuttavia, è anche necessario raggiungere accordi con tutti gli altri mediatori, poiché molti richiedono la collaborazione di altri. I palestinesi, tuttavia, saranno attori chiave, perché saranno loro ad assumersi le responsabilità il giorno dopo.

Il Papa probabilmente andrà in Libano a dicembre, dopo il viaggio in Turchia. Avete invitato il Papa a venire in Palestina?

Vorrei che il Papa visitasse la Palestina al momento opportuno. In condizioni normali, comporterebbe un notevole impegno logistico, quindi potete immaginare come sarebbe in situazioni simili. Tuttavia, nel prossimo futuro, le cose saranno più favorevoli. E, naturalmente, saremmo lieti di avere il Papa.

Visita di Herzog in Vaticano, le dichiarazioni del presidente, il comunicato della Santa Sede

Il 4 dicembre, il presidente di Israele Isaac Herzog ha fatto visita a Leone XIV. Nelle comunicazioni precedenti, il presidente israeliano aveva fatto sapere che era stato il Papa a chiedere l’incontro, ma questo è stato indirettamente smentito da una dichiarazione della Sala Stampa della Santa Sede inviata ai giornalisti, con la quale il direttore della Sala Stampa Matteo Bruni sottolineava che “è prassi della Santa Sede acconsentire a richieste di udienza rivolte al pontefice da parte di Capi di Stato e di governo, non è prassi rivolgere loro inviti”.

Dopo l’incontro, prima del comunicato della Sala Stampa della Santa Sede, il presidente Herzog ha postato su X: “Ringrazio il pontefice per l’accoglienza calorosa. Israele vuole la pace e sta facendo il possibile per restituire tutti gli ostaggi tenuti nella crudele prigionia di Hamas.

Il comunicato della Sala Stampa della Santa Sede sottolinea che, nei colloqui in Segreteria di Stato, “è stata affrontata la situazione politica e sociale del Medio Oriente, dove persistono numerosi conflitti, con particolare attenzione alla tragica situazione a Gaza. Si è auspicata una pronta ripresa dei negoziati affinché, con disponibilità e decisioni coraggiose, nonché con il sostegno della comunità internazionale, si possa ottenere la liberazione di tutti gli ostaggi, raggiungere con urgenza un cessate-il-fuoco permanente, facilitare l’ingresso sicuro degli aiuti umanitari nelle zone più colpite e garantire il pieno rispetto del diritto umanitario, come pure le legittime aspirazioni dei due popoli. Si è parlato di come garantire un futuro al popolo palestinese e della pace e stabilità della Regione, ribadendo da parte della Santa Sede la soluzione dei due Stati, come unica via d’uscita dalla guerra in corso. Non è mancato un riferimento a quanto accade in Cisgiordania e all’importante questione della Città di Gerusalemme”.

Sono questi i punti principali della diplomazia della Santa Sede su Israele. Ovviamente, la Santa Sede non ha mai mancato di condannare gli attacchi del 7 ottobre, e sin dall’inizio del conflitto ha mantenuto una sorta di equivicinanza politica. Allo stesso tempo, la situazione a Gaza, che coinvolge tra l’altro una parrocchia cattolica, non può lasciare indifferenti.

Terrasanta, la situazione della collina del Papa

In occasione della visita di Paolo VI in Terrasanta nel 1964, re Hussein di Giordania aveva donato al Papa un terreno in collina, presso Betania, a Est di Gerusalemme, dove fino a qualche tempo fa vivevano circa 300 beduini. La collina è rimasta proprietà della Santa Sede anche dopo la Guerra dei Sei Giorni, ed è considerata zona extraterritoriale vaticana.

Tuttavia, il territorio è stato eroso nel corso del tempo da Israele, che ha creato quello che il professore Matteo Luigi Napolitano ha definito, in un post su Facebook, “una sorta di insediamento silezioso” in Cisgiordania.

È parte del piano israeliano E1, che prevede migliaia di nuovi insediamenti a Est di Gerusalemme, e che implica l’insediamento di coloni israeliani a discapito degli arabi che vivono nella zona, ma anche l’esproprio della “Collina del Papa”.

Per ora, non ci sono notizie di reazioni del Papa e della Santa Sede sul tema, e non si sa se Leone XIV ne ha discusso con il presidente israeliano Herzog durante il loro incontro il 4 settembre. Tuttavia, è un tema diplomatico che va necessariamente tenuto in considerazione quando si parla dei rapporti tra i due Stati.

Parolin, “non ci sono dialoghi in Terrsanta”

Il 5 settembre, il Cardinale Pietro Parolin, Segretario di Stato vaticano, ha benedetto una statua di Pier Giorgio Frassati al Bambino Gesù. E lì, parlando con i giornalisti, ha parlato delle prospettive a Gaza e dell’impegno della Santa Sede.

Il cardinale Parolin ha sottolineato l’insistenza “perché le parti riprendano il dialogo, e attraverso il dialogo possano trovare delle soluzioni alla terribile e tragica situazione di Gaza”.

Parolin sottolinea che la voce della Santa Sede “è una voce che continua a levarsi perché l'avevamo fatto anche in precedenza. L'abbiamo fatto ieri in maniera molto decisa anche con il presidente di Israele e speriamo che questa voce unita anche alla voce della comunità internazionale, possa produrre qualche effetto”.

La parrocchia della Sacra Famiglia di Gaza, che ha dato ospitalità a centinaia di persone, ora è in una situazione critica, colpita da una richiesta di evacuazione. La preoccupazione per loro, dice il cardinale Parolin, “è alta nel senso che lì ci sono anche molte persone disabili che non possono essere trasferite altrove, quindi noi speriamo che ci sia rispetto per quelli che hanno deciso di rimanere lì e che non possono fare altrimenti. E che si ascolti questo appello a rispettarli e a proteggerli”.

Il Cardinale guarda anche all’Ucraina, e anche in quel caso “la posizione della Santa Sede è che si avvii un dialogo”.

                                                           FOCUS INTERNAZIONALE

L’arcivescovo Gallagher al Bled Strategic Forum

È “Un mondo in fuga” il tema del Bled Strategic Forum di quest’anno. Giunto alla 20esima edizione, il Forum ha visto la partecipazione dell’arcivescovo Paul Richard Gallagher, segretario vaticano per i Rapporti con gli Stati.

L’arcivescovo Gallagher è stato in Slovenia dal 31 agosto al 2 settembre, e ha avuto anche un incontro con i membri della Conferenza Episcopale Slovena.

La discussione del Bled Strategic Forum si è focalizzata sul modo in cui l’Europa e l’Unione Europea si possano impegnare per ridefinire i loro ruoli di fronte alle varie crisi geopolitiche, economiche e climatiche, nonché di fronte alle tensioni che il mondo affronta oggi.

A margine del Forum, l’arcivescovo Gallagher ha avuto anche un bilaterale con Elmedin Konaković, ministro per gli Affari Esteri di Bosnia ed Erzegovina. Secondo un post su X del ministero di Sarajevo, Gallagher e Konaković hanno discusso “la situazione politica in Bosnia Erzegovina, riaffermato le eccellenti relazioni bilaterali, e messo in luce il continuo supporto della Santa Sede alla sovranità della Bosnia Erzegovina e al suo percorso verso l’Unione Europea, nonché l’importanza del dialogo, della riconciliazione e della stabilità regionale.

Gallagher a Bled, l’intervento alla tavola rotonda

Al Bled Strategic Forum, l’arcivescovo Paul Richard Gallagher, ministro vaticano per i rapporti con gli Stati è intervenuto in una tavola rotonda sul tema “Rivitalizzare la leadership e il multilateralismo in un’epoca di conflitti e frammentazione”.

Il Bled Strategic Forum si è tenuto l’1 e 2 settembre, e il panel dell’arcivescovo Gallagher si è tenuto il 2 settembre. Nel dibattito, è stato discusso come gli sforzi politici e sociali possano ridefinire la leadership a favore della pace in modo audace, inclusivo e multilaterale, anche in un’epoca di divisioni.

L’arcivescovo Gallagher ha messo in luce le sfide che emergono dalla mancanza di consenso, gli sforzi politici necessari per ricostruirlo e ha sottolineato che la ricostruzione del consenso richiede “un pensiero fuori dagli schemi” e l’elaborazione di nuove idee, approcci e soluzioni, perché questa è urgente “ad ogni livello”, e non solo “ai vertici, come alle Nazioni Unite, o a livello nazionale, ma anche a partire dai contesti locali”.

Il “ministro degli Esteri” vaticano ha ritenuto che i leader politici possono “invertire la rotta in senso positivo” se si impegneranno in dialogo, costruzione del consenso e impegno, considerando “la crescente frammentazione e le divisioni all’interno delle istituzioni, che possono contribuire ad una mancanza di fiducia o di credibilità, compresa nei governi nazionali”.

Le democrazie, ha detto Gallagher, sono in crisi perché non riescono a garantire prosperità e sicurezza, in un mondo in cui sembra si aderisca alle regole solo se ciò comporta qualche vantaggio, mentre in passato l’ordine basato sulle regole offriva una struttura per proteggere tutti.

Il Bled Strategic Forum è stato lanciato nel 2006, ed è una piattaforma per discutere temi e sfide politiche, di sicurezza e di sviluppo che toccano l’Europa e il mondo.

                                                           FOCUS UCRAINA

Guerra in Ucraina, Sua Beatitudine Shevchuk spera nella pace

Lo scorso 24 agosto, in occasione del 34esimo anniversario dell’Indipendenza Ucraina, Sua Beatitudine Sviatoslav Shevchuk, arcivescovo maggiore della Chiesa Greco Cattolica Ucraina, ha dato una intervista ai media vaticani sottolineando il ruolo della Chiesa nella costruzione della nazione ucraina e le speranze di pace.

Il giorno dell’indipendenza ricorda la proclamazione dello Stato Ucraino il 24 agosto 1991, con un Atto che fu confermato dal referendum popolare (che ottenne quasi il 90 per cento dei voti favorevoli) il 1° dicembre 1991. L’indipendenza riportò anche la Chiesa Greco-Cattolica Ucraina fuori dalle catacombe. Fino al 1989, infatti, la Chiesa Greco-Cattolica Ucraina era costretta a vivere in clandestinità e diaspora, dopo che nel 1947, con lo pseudo-sinodo di Lviv, i sovietici la posero di fronte al dilemma esistenziale di scomparire oppure di essere assorbiti dal Patriarcato di Mosca.

Sua Beatitudine Shevchuk ha sottolineato che la Chiesa Greco-Cattolica Ucraina era stata alla base della formazione dell’identità ucraina non solo ai tempi della clandestinità, ma anche quando non esisteva un vero e proprio Stato, perché “la Chiesa era l’unica struttura sociale” che rappresentava il popolo.

Questo – ha detto Shevchuk – è successo durante la Confederazione Polacco-Lituana, durante l’Impero Austriaco, durante l’Impero Russo, durante la Seconda Repubblica di Polonia. In quelle circostanze storiche, ha detto Sua Beatitudine, “spesso la Chiesa era l’unica voce a difesa del popolo ucraino: era chiamata ad avere un ruolo che normalmente è dello Stato per ciò che riguarda i diritti dei cittadini”.

Insomma, “la Chiesa greco-cattolica ha sempre appoggiato il desiderio del popolo di formare un proprio Stato, anche e soprattutto per poter affidare le responsabilità civili, di cui si era sempre fatta carico, ad un vero governo”.

In particolare – ha detto Shevchuk – “la Chiesa ha svolto un ruolo importantissimo nella storia, soprattutto all’inizio del processo di dissoluzione dell’Unione Sovietica e agli albori dello Stato indipendente ucraino. La Chiesa ha continuato ad incarnare i fondamenti della dottrina sociale della Chiesa, secondo i quali, anche nella nuova realtà di uno Stato indipendente, rimaneva fondamentale difendere la dignità di ogni persona umana, promuovere il senso della responsabilità, il bene comune e la propria identità”.

Infine, “negli anni ‘90, la Chiesa ucraina ha svolto un ruolo fondamentale nella trasformazione della società post-sovietica, cioè da una società post-coloniale a una società democratica. Ha veramente svolto il ruolo della Mater et magistra, madre e educatrice, formatrice del proprio popolo”.

Guardando invece alla situazione di guerra, Sua Beatitudine Shevchuk ha sottolineato che, nonostante le tante lezioni già imparate dalla guerra, c’è “forse bisogno di un po’ di tempo per comprendere gli avvenimenti che, da quando è iniziata la guerra, hanno sconvolto ogni cittadino ucraino”.

Tra questi eventi, la formazione di una nuova società civile e politica, nel contesto dell’invasione che “ha mostrato l’identità del nostro popolo”, che è una “identità inclusiva” perché “oggi a sentirsi ucraini non sono soltanto coloro che appartengono alla nazione ucraina in quanto etnia, cultura, lingua, ma anche tutti quelli che difendono l’Ucraina indipendente: ebrei, musulmani di varie nazionalità, ucraini, russi, polacchi, ungheresi, greci, chiunque viva in Ucraina”.

Insomma, “mai si dice e mai si dirà in futuro: l’Ucraina per gli ucraini. Nessuno ha bisogno che qualcuno difenda i diritti delle minoranze etniche o religiose in Ucraina”.

Sua Beatitudine nota che l’identità inclusiva “incide anche sul lavoro e sul funzionamento delle Chiese cristiane in Ucraina”, su temi come l’assistenza umanitaria e il servizio sociale della Chiesa, perché “questa solidarietà, che ha avuto sempre il suo fondamento nella identità cristiana, oggi è un fenomeno che abbraccia tutti ed è veramente il segreto della resilienza ucraina e della nostra capacità di resistere a questi attacchi molto forti dal di fuori”.

Shevchuk ha notato che il Giorno dell’Indipendenza “oggi viene sentito in Ucraina proprio come il giorno dell’unità nazionale che sta portando alla nascita di un progetto sociale comune per lo sviluppo dell’Ucraina per il dopoguerra, per un’Ucraina che sicuramente sarà più forte, con un’identità più chiara, riaffermata da questa tragedia: un’identità veramente europea”.

Sua Beatitudine sottolinea anche la speranza del popolo ucraino che “finalmente questi sforzi internazionali, anche a livello più alto delle leadership mondiali, possano far fermare questa cieca e assurda guerra”, perché “per il popolo ucraino difendersi oggi è veramente questione di vita o di morte”, ma “quando alla difesa unicamente militare si aggiungono gli altri sforzi, come quelli diplomatici, ma anche economici, si diviene sempre più capaci di resistere e di difendersi”.

Inoltre, Sua Beatitudine rimarca che la pressione internazionale, in particolare quella europea, mostra che “i leader europei vedono l’Ucraina come parte del continente sotto l’aspetto culturale ed economico”, e che “l’Ucraina fa già parte del fenomeno europeo e adesso è in Ucraina che si gioca il futuro dell’Europa unita”.

I cristiani, chiosa poi Beatitudine, aggiungono agli sforzi internazionali anche la preghiera e la fede in Dio. E ringrazia “i popoli europei che capiscono sempre di più che tutto quello che succede oggi in Ucraina tocca anche le loro società, le loro Chiese, i loro progetti per un’Europa sicura, un’Europa di pace, un’Europa di cultura e sviluppo per il futuro. Vorrei anche ringraziare i cristiani europei e di tutto il mondo perché sentiamo la grande solidarietà delle Chiese locali di tutto il mondo.” Ma anche gli altri episcopati, i rappresentanti di Chiese cattoliche e protestanti, che hanno fatto avere la loro solidarietà.                                                   

                                                           FOCUS ASIA

Il cardinale Chow da Leone XIV

Non sono state diffuse informazioni sull’incontro in Vaticano tra delegazione cinese e quella della Santa Sede per discutere degli sviluppi dell’accordo sino-vaticano per la nomina dei vescovi lo scorso giugno. Sembra, tuttavia, che si sia trattato di un incontro interlocutorio, e che alla fine non ci siano stati troppi progressi.

Mentre si attende il prossimo incontro, che dovrebbe avere luogo in Cina, vale la pena di notare che il 2 settembre il Cardinale Stephen Chow, SJ, vescovo di Hong Kong ha avuto una udienza privata con Leone XIV. Lo stesso cardinale Chow aveva già fatto sapere che Leone XIV aveva visitato la Cina da priore degli agostiniani in almeno una occasione.

Il cardinale Chow ha condiviso alcune impressioni dell’incontro con il Sunday Examiner, la rivista della diocesi di Hong Kong.

“Ho potuto – ha detto – condividere con il Papa le mie vedute sulla vita della Chiesa, in particolare riguardo alla Chiesa in Cina e Hong Kong. Questo ha permesso al Papa di ottenere una cornice più ampia e una migliore comprensione dell’attuale stato delle relazioni tra Vaticano e Santa Sede”.

Sempre parlando con l’Examiner, il Cardinale ha osservato che il Papa ha mostrato una consistente apertura a comprendere di più riguardo la situazione della Chiesa in Cina, ed apprezza punti di vista differenti.

Il cardinale Chow si è detto “grato di aver potuto fornire informazioni da fonti diverse, arricchendo la sua comprensione sulla Cina. Tuttavia, il Santo Padre non è completamente ignaro della Chiesa in Cina, perché ha già raccolto notizie da diverse fonti e attraverso l’accordo sino-vaticano”.

Il vescovo di Hong Kong ha anche ricordato che il Papa ha una esperienza pregressa nella nazione, “avendo visitato la Cina una volta quando era superiore generale dell’Ordine degli Agostiniani”.

Secondo il Cardinale Chow, il Papa continuerà nella direzione intrapresa da Papa Francesco per quanto riguarda il dialogo con la Cina, di cui riconosce “l’importanza”, ma ha aggiunto che il Papa “considera una comunicazione rispettosa come priorità nell’affrontare le sfide delle relazioni sino-vaticane”.

Questa comunicazione rispettosa ha vacillato in alcuni eventi recenti: quando la Cina ha unilateralmente nominato il vescovo di Shanghai (nomina poi “sanata” da Papa Francesco), quando la Cina ha nominato un vescovo ausiliare della diocesi di Jianxi, riconosciuta solo dalla Cina, e quando sono stati eletti nuovi vescovi cinesi in sede vacante.

Il cardinale Parolin, Segretario di Stato vaticano, pur difendendo l’accordo ne ha messo in luce alcune criticità, ed ha spinto per l’apertura di un ufficio di liaison a Pechino, un ufficio pastorale che permetta di affrontare immediatamente ogni incomprensione.

Vietnam, i cattolici riprendono la bandiera nazionale

La bandiera vietnamita, il vessillo rosso con una stella gialla, divenne l’emblema di una nuova nazione il 2 settembre 1945, quando la folla riempì piazza Ba Dinh ad Hanoi per ascoltare il proclama di indipendenza da parte di Ho Chi Minh. In quello stesso giorno, nella cattedrale di San Giuseppe ad Hanoi i cattolici si univano alla celebrazione ed esponevano una grande bandiera nazionale sulla facciata della chiesa. Ma quella bandiera – racconta UCA News – che sarebbe dovuta essere segno di unità, divenne invece una fonte di tensioni. Perché per molti quella bandiera viene associata più alla dominazione ideologica che all’orgoglio patriottico, con il rimando pressoché immediato alla stella comunista.

Per questo, le Chiese spesso evitarono di esporre la bandiera nelle feste nazionali, e i cattolici cominciarono ad evitare la bandiera in luoghi di culto.

Da quando, però, nel 2023 la Santa Sede e il Vietnam hanno rafforzato le relazioni diplomatiche e la Santa Sede ha potuto stabilire un rappresentante papale residente, l’attitudine dei cattolici verso la bandiera nazionale si è alleviata, e la bandiera è diventata un simbolo patriottico, che le parrocchie nella nazione hanno ripreso a far sventolare nel giorno dell’indipendenza. È successo lo scorso 2 settembre, nei cortili delle chiese di Hanoi, Ho Chi Minh, Hue. La bandiera è stata issata insieme alle bandiere della Santa Sede.

Secondo UCA News, la rinnovata presenza della bandiera – come si è visto anche al Giubileo dei giovani di Roma quest’anno – rappresenta “una sottile riconciliazione tra fede e nazione, dopo decenni in cui i cattolici erano spesso stati dipinti come outsiders o persino rimasugli della influenza coloniale”.

Da parte sua, la Conferenza Episcopale del Vietnam ha istituzionalizzato questa connessione, designando il 2 settembre come “Giorno di preghiera per la nazione”, durante il quale le diocesi in tutto il Paese tengono messe e preghiere speciali.

Si tratta di un percorso preciso verso la riconciliazione, mentre si continua a speculare su una possibile visita papale futura.

                                                           FOCUS AFRICA

Nunziatura in Sudafrica, arriva il nuovo segretario

Lo scorso 31 agosto, monsignor Giacomo Antonicelli, nuovo segretario della Nunziatura in Sudafrica, Lesotho, Namibia, Eswatini e Botswana, è arrivato a Johannesburg. È stato accolto dal nunzio, l’arcivescovo Henryk M. Jagodziński, insieme a Monsignor Tuomo Vimpari, sottosegretario del Dicastero per i Testi Legislativi che si trovava in Sudafrica in quel momento

Antonicelli prende il posto di monsignor Dario Paviša, che è stato invece assegnato alla nunziatura di Zambia e Malawi.

Appena arrivato, monsignor Antonicelli ha fatto una visita di cortesia al Cardinale Stephen Brislin, arcivescovo di Johannesburg e presidente della Conferenza Episcopale Sudafricana.

Il gruppo si è poi recato verso la nunziatura, dove monsignor Antonicelli è stato ricevuto con calore dallo staff. Antonicelli ha già servito alla nunziatura, nell’ambito di uno stage parte della sua formazione diplomatica all’Accademia Ecclesiastica.

Sacerdote dal 20212, ha svolto diversi incarichi nella diocesi di Castellaneta, da cui proviene, fino ad essere segretario del vescovo. Antonicelli ha cominciato il suo percorso nella Pontificia Accademia Ecclesiastica nel 2016, e nel 2020 ha ottenuto il Dottorato il Diritto Canonico alla Pontificia Università Lateranense, con una tesi su “La Partecipazione dei laici nelle Attività diplomatiche della Santa Sede”.

Dal 2020 al 2024 ha servito nella nunziatura in Honduras.  

                                                           FOCUS MULTILATERALE

La Santa Sede alle Nazioni Unite a New York, la cultura per la pace

Il 2 settembre, l’arcivescovo Gabriele Caccia, Osservatore della Santa Sede presso le Nazioni Unite a New York, ha partecipato al Forum di Alto Livello sull’Implementazione del Programma  di Azione su una Cultura di Pace.

Tema del Forum era “Potenziare i giovani per una cultura di pace”. Nel suo intervento, l’arcivescovo Caccia ha riflettuto sul recente Giubileo della Gioventù a Roma, che ha visto la partecipazione di oltre un milione di persone, e ha sottolineato il potere trasformativo della fraternità e dell’amicizia nel creare un mondo dove il dialogo sostituisca la violenza.

Il nunzio ha anche espresso profonda preoccupazione sul crescente numero di giovani che si trovano in conflitti armati, o sfollati, o sono soggetti alla radicalizzazione, mettendo in luce la necessità di dare ai giovani alternative significative, supporto e opportunità.

La Santa Sede a New York, la giornata internazionale contro i test nucleari

Il 4 settembre, si è tenuto presso le Nazioni Unite di New York l’Incontro Plenario di Alto Livello per Commemorare e Promuovere la Giornata Internazionale contro i Test Nucleari.

Nel suo intervento, l’arcivescovo Gabriele Caccia, osservatore della Santa Sede presso le Nazioni Unite, ha chiesto alla comunità internazionale di riflettere sulle conseguenze morali e umanitarie dei test nucleari ad ottanta anni dal primo test.

Il nunzio ha mostrato come questi test hanno creato un danno durevole alla vita umana e alla creazione, e ha espresso profonda preoccupazione riguardo il ritorno della retorica nucleare, lo sviluppo di armi sempre più distruttive, e le crescenti spese militari globali che minacciano gli sforzi per la pace e lo sviluppo umano.

L’arcivescovo Caccia ha rifiutato la falsa nozione di sicurezza offerta dalla deterrenza nucleare, e ha chiesto un rinnovato impegno al dialogo multilaterale, all’implementazione dei trattati del disarmo, e al supporto delle comunità che ancora soffrono degli effetti dei test nucleari, chiedendo a tutte le nazioni di lavorare verso un mondo libero da armi nucleari, e radicato nella giustizia, nel dialogo e nella dignità di ogni vita umana.

                                                           FOCUS AMBASCIATORI

L’ambasciatore di Colombia presso la Santa Sede presenta le credenziali

Il 5 settembre, Iván Velásquez Gómez, ambasciatore di Colombia presso la Santa Sede, ha presentato le credenziali a Leone XIV.

Classe 1955, ha una vasta carriera nella magistratura. È stato dal 2013 al 2019 commissario della Commissione Internazionale contro l’Impunità presso l’Organizzazione delle Nazioni Unite in Guatemala. Dal 2022 al 2025 è stato anche ministro della Difesa.

 

 

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