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Un servizio di EWTN News

Diplomazia pontificia, verso il primo Urbi et Orbi di Natale di Leone XIV

Il cardinale Parolin celebra la Messa per il Giubileo della diplomazia italiana

Come sarà il primo urbi et orbi di Natale di Leone XIV? Il Papa che ha iniziato il suo ministero con “La pace sia con voi”, e chiedendo una “pace disarmata e disarmante” (parole che sono diventate il titolo del suo primo messaggio per la Giornata Mondiale della Pace) ribadirà, come hanno fatto i suoi prodecessori, l’appello di pace per tutto il mondo. E ci saranno menzioni per la situazione in Ucraina, per la situazione in Terrasanta, ma anche per quanto accade nell’America Latina tanto amata da Leone XIV. Non mancherà, probabilmente, una menzione della situazione del Caucaso.

In questi mesi, la Santa Sede ha svolto, in maniera sistematica, diverse attività di pacificazione. La liberazione dei prigionieri politici di Cuba mediata dalla Santa Sede è stato l’ultimo successo diplomatico.

Allo stesso tempo, le trattative per organizzare un tavolo di mediazione e trovare una soluzione alla guerra in Ucraina sono naufragate. La Santa Sede guarda con attenzione alla situazione in Nicaragua, a quella al confine con gli Stati Uniti, e difficilmente prenderà posizioni nette e ufficiali di fronte all’incarcerazione di Jimmy Lai che ha scandalizzato tutto il mondo.

Nel corso della settimana, va segnalata l’omelia del Cardinale Pietro Parolin, Segretario di Stato vaticano, alla messa per i diplomatici italiani che celebrava il suo Giubileo.

                                                           FOCUS GIUBILEO

La Messa del cardinale Parolin per il Giubileo dei diplomatici

Il 13 dicembre, Leone XIV ha incontrato i partecipanti del Giubileo della diplomazia italiana, ovvero coloro che, a più livelli, sono impegnati nei ranghi diplomatici italiani e che hanno deciso di avere una speciale partecipazione al Giubileo. Dopo l’incontro con il Papa in Aula Paolo VI, i diplomatici sono andati nella Basilica di San Pietro, dove hanno partecipato ad una Messa presieduta dal Cardinale Pietro Parolin, Segretario di Stato vaticano.

Il cardinale ha notato che quella dei diplomatici è una “missione tra le più delicate, che, tra successi e fallimenti, coinvolge le vostre personali esistenze”.

Ripercorrendo la liturgia del giorno, e in particolare la descrizione di Elia “profeta come un fuoco”, il Cardinale Parolin ricorda che “nella Scrittura, il fuoco non è tanto simbolo di distruzione, quanto di trasformazione”, ed è “il simbolo di una vita che si offre come riferimento in mezzo alle oscurità del tempo”, come è la vita di Elia e come è quella Giovanni Battista, che è accostato appuntato ad Elia dal Vangelo, “quasi a dire – nota il Segretario di Stato vaticano - che la storia viene rigenerata ogni volta che qualcuno lascia spazio a Dio in modo sincero, pagando anche di persona il prezzo della verità”.

Il cardinale sottolinea che “la verità non è mai neutrale”, “illumina, convince, consola, ma talvolta scuote, interroga, disturba; e tuttavia continua a essere ciò di cui il mondo ha più sete”.

Gesù parla di Elia, ricorda Parolin, scendendo dal Monte della Trasfigurazione, ricordando come anche il Figlio dell’Uomo non sarà riconosciuto come non è stato riconosciuto Elia, ricordandoci “che il bene chiede un impegno serio e che la pace, il più grande dei beni desiderati, non è mai un risultato scontato; che la speranza deve essere custodita non quando tutto è facile, ma proprio quando sembra fragile”.

Nota Parolin: “L'Incarnazione non ci sottrae ai conflitti della storia: ci insegna piuttosto a viverli con uno sguardo più libero, con la capacità di intravedere germogli di futuro anche là dove sembrerebbe impossibile. Ed è qui che la Parola di Dio di oggi incontra la vostra missione”.

Guardando ai diplomatici, il cardinale Parolin li definisce come “immersi ogni giorno nella complessità geopolitica del nostro tempo”, in posti dove gli scenari “sono mutevoli”, come la Terrasanta, “dove la comunità internazionale è chiamata ad un impegno duplice e complementare”, ma anche all’Ucraina, “dove l'uso prolungato delle armi continua a produrre distruzione e sfiducia, e dove la pace sembra talvolta un orizzonte che si allontana, proprio mentre sempre più persone ne sentono l'urgenza vitale”, ma anche in tante altre regioni del mondo come Cabo Delgado in Mozambico, dove il conflitto ha “una radice fondamentalmente religiosa e che è quasi completamente ignorato a livello internazionale”, ma anchein Repubblica Democratica del Congo, Sudan, Paesi del Sahel.

La missione data ad Elia è dunque “un appello a dire la verità senza aggressività, a custodire la dignità di ogni popolo, a mantenere aperti i canali del dialogo anche quando sembra prevalere solo il linguaggio della contrapposizione”.

Secondo il cardinale Parolin, la vocazione più alta della diplomazia è davvero “non solo negoziare, ma generare possibilità”. L’esempio è Dag Hammarskjöld. Segretario generale delle Nazioni Unite dal 1953 al 1961, il quale “seppe interpretare la propria missione con una creatività coraggiosa: difese il diritto delle nazioni più piccole, inaugurò la ‘diplomazia silenziosa’, credette nella forza del dialogo personale, nella superiorità del diritto sulla forza, nella possibilità concreta della pace”.

Era una azione “sorretta da una profonda vita spirituale - quella che nelle sue Markings definiva un continuo ‘negoziato con Dio’ - resta un esempio alto e credibile di ciò che può diventare la diplomazia quando è guidata da visione, responsabilità e ricerca sincera del bene comune.

Parolin ricorda poi che la lettura del Siracide dice che sono beati coloro che “si addormentano nell’amore”, ed è questa “la beatitudine di chi non confonde la pace con la passività, ma la costruisce con pazienza, giorno dopo giorno, sapendo che ogni gesto di bene ha un peso di eternità”.

E il Segretario di Stato auspica alla fine che tutti aspirino ad “essere principi della pace”, invocando lo Spirito Santo affinché “illumini i passi che siete chiamati a compiere nella complessità del mondo. Sostenga la vostra tenacia nei dialoghi, la vostra pazienza nei negoziati, la vostra speranza nei momenti in cui le possibilità sembrano assottigliarsi”.                                                

Parolin incontra i Parlamentari cattolici italiani

Lo scorso 16 dicembre, circa 400 politici italiani e i loro collaboratori hanno avuto un incontro in Cappella Sistina con il cardinale Pietro Parolin, Segretario di Stato vaticano. L’incontro ha visto anche la partecipazione del presidente del Senato, Ignazio La Russa, e del presidente della Camera Lorenzo Fontana, ed è stato organizzato dal parlamentare italiano Maurizio Lupi.

Nel suo discorso, piuttosto un augurio di Natale, il cardinale Parolin ha detto che il Natale non è né “una celebrazione né una commemorazione storica”, né una festa consumistica, ma piuttosto “un invito al presente” per "riscoprire le vere ragioni della fraternità e il bene sommo della pace”.

Guardando alla Cappella Sistina, il Cardinale Parolin ha detto che alcuni la hanno definita “il centro di votazione più bello del mondo”, ma è anche “uno scenario ispiratore” per un momento di “fraternità e amicizia”, ma soprattutto “di riflessione”.

Il cardinale Parolin ha detto ai politici che è difficile “dare una risposta” alla domanda sul cosa fare di fronte ad una difficile situazione internazionale”, e ha aggiunto che il Natale deve servire a rimettere Cristo al centro. 

Parolin ha citato il Cardinale Montini, che nel 1955 inviò una lettera pastorale all’arcidiocesi di Milano in cui scriveva “Tu ci sei necessario, Cristo!”

(La storia continua sotto)

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Il cardinale Parolin allora invita a sentire che “che questa presenza ci è necessaria nella vita personale, sociale, comunitaria”, va accolta, gli va fatto perché “il Natale è un evento che deve trasformarci interiormente, altrimenti il significato resta vano nonostante le celebrazioni esterne”.

Il presidente del Senato Ignazio La Russa ha espresso gratitudine alla Santa Sede che oggi più che mai pone in essere una “instancabile opera diplomatica” che è “la via maestra per credere ancora alla pace”, mentre il presidente della Camera Fontana ha chiesto al cardiale di pregare per i parlamentari perché “dietro la facciata della politica ci sono persone con fragilità, a volte in situazioni difficili a livello personale e familiare, e quindi la preghiera è un’arma eccezionale”.

Davide Rondoni, presidente del comitato per le celebrazioni dell’VIII centenario della morte di San Francesco, ha ricordato proprio San Francesco, sottolineando come secondo lui non sia un caso “il fatto che il Parlamento insieme abbia votato il ripristino della festa (il 4 ottobre, memoria di San Francesco, che torna a essere festa nazionale dal 2026 ndr). È un segno che l’unità non la fanno le idee, ma le testimonianze. Di fronte a Francesco, il Parlamento si è unito. Di fronte a una testimonianza, a un fatto”.

                                                           FOCUS ECUMENISMO

Dopo il viaggio del Papa in Turchia, parla il nunzio apostolico

L’arcivescovo Marek Solczynski, nunzio apostolico in Turchia, ha rilasciato una intervista ai media vaticani che fa traccia un bilancio del viaggio di Leone XIV nel Paese, e in particolare dell’incontro ecumenico che ha visto a Nicea (Itznik), sulle rovine della Basilica dove si è tenuto il primo concilio ecumenico della storia.

Il nunzio ha sottolineato che il viaggio di Leone XIV onorava il desiderio di Papa Francesco di andare ad Iznik, anche se poi il viaggio è stato organizzato diversamente: nel caso di Francesco, già malato e con fatica di deambulazione, si pensava ad una tappa veloce di un giorno a Nicea, mentre Leone XIV ha avuto un viaggio lungo, il primo del pontificato, i cui impegni andavano anche armonizzati.

“Il primo messaggio che potrebbe scaturire – ha detto il nunzio - è l’incontro di sensibilità, professioni di fede e apertura collaborativa tesa ad integrare i valori comuni quali, prima di tutto la pace nella regione e nel mondo”.

Solczynsky sottolinea che l’incontro di Iznik è stato “un evento di importanza storica”, cui ha fatto seguito un incontro con i leader cristiani “venuti da ogni parte del mondo per manifestare l’adesione delle proprie comunità al Simbolo della fede nicena che, come sappiamo, unisce il mondo cristiano”, e poi la visita al Fanar, la sede del Patriarcato ecumenico di Costantinopoli. Tutti momenti, dice il nunzio, che “potranno senz’altro favorire un percorso ecumenico verso la meta comune”.

Solczynsky sottolinea che “per la prima volta nella storia delle visite papali in Turchia, si è riusciti a coinvolgere molto più direttamente le diverse autorità nell’organizzazione logistica e mediatica del viaggio”, frutto del fatto che c’era una “manifestata volontà del presidente della Repubblica turca di favorire i percorsi del Papa”, e che ha portato anche per la prima volta la tv nazionale TRT a produrre e distribuire il segnale globale dell’evento, mentre le agenzie turche di informazione hanno dato una informazione capillare.

Il nunzio vede in questo impegno anche una possibilità per la Chiesa cattolica di veder riconosciuta la sua identità giuridica, con la speranza che “la narrazione sulla presenza cristiana in Turchia” possa cambiare”, anche perché era la prima volta che “è stata data al mondo un’immagine pubblica dei cristiani turchi” nella Messa alla Volkswagen Arena di Istanbul trasmessa in diretta dalla tv nazionale.

Infine, il nunzio sottolinea che, in Turchia, “occorrerebbe andare oltre il ripiegamento delle comunità basate sulle identità etniche e rituali. Questo perché ciò che ci unisce è il Mistero pasquale, come abbiamo vissuto durante la Messa papale. Oggi la Chiesa cattolica in Turchia sta diventando sempre più ‘turca’: la lingua turca è ormai la maggioritaria nelle nostre assemblee. E i nostri fedeli sono cittadini di Turchia, spesso anche turchi. Anzi, oggi tutti gli ordinari sono cittadini turchi. Anche i fedeli si sentiranno cittadini e cristiani senza essere costretti a scegliere”.

                                                           FOCUS AFRICA

Tanzania, voto e repressione. La posizione dei vescovi

In Tanzania, le elezioni del 29 ottobre hanno portato ad una catena di violenze represse con la forza e costate migliaia di vittime. La Conferenza Episcopale della Tanzania ha diramato una dichiarazione denunciando brogli elettorali, l’uso eccessivo della forza e le gravi violazioni dei diritti umani che hanno avuto luogo nel Paese, chiedendo un’indagine indipendente anche una nuova costituzione. Ma questa dichiarazione ha suscitato una dura reazione da parte della presidente tanzanese Samia Suluhu Hassan, che non solo ha respinto le accuse, ma ha anche attaccato i vescovi e gli organismi internazionali.

E così, il 9 dicembre, giorno in cui il Paese celebra l’indipendenza del Tanganyika, sono state vietate tutte le manifestazioni, mentre istituzioni e gruppi religiosi sono in tensione. L’accusa contro la presidente eletta Hassan, musulmana dell’isola di Zanzibar, è di aver truccato le elezioni, anche perché i dati elettorali la riconoscono vincitrice con il 98 per cento dei voti su 32 milioni di votanti, pari a meno della metà dei 70 milioni di popolazione. L’afflusso ai seggi elettorali è stato molto basso, e anche gli osservatori internazionali delle Nazioni Unite, dell’Unione Europea e dell’Unione Africana hanno contestato i risultati.

I vescovi della Tanzania (sono 41) ha diffuso una nota in lingua swahili lo scorso 15 novembre.

“Siamo profondamente addolorati per questa situazione e condanniamo queste brutali e disumane uccisioni dei nostri giovani e di altre persone – scrivono i vescovi -. Questo è davvero un grande male e un abominio per il nostro Dio. Tutti siamo rimasti feriti, la nazione è stata ferita e ha perso il proprio onore di fronte alla comunità internazionale”.

I vescovi della Tanzania puntano il dito sulla “mancanza di vera democrazia nell’elezioni dei governanti”, dal 2016 ad oggi, e condannano “l’uso eccessivo della forza”, la “malvagità” di aver negato ai feriti cure mediche, oltre all’impossibilità per i familiari di celebrare i funerali delle persone uccise, perché non si ritrovano i corpi.

I vescovi hanno chiesto agli alti dirigenti delle forze dell’ordine di “assumere le proprie responsabilità” e di condurre un’indagine affidata ad una Commissione indipendente. Ma soprattutto propongono di lavorare ad una nuova Costituzione che ristabilisca uno Stato di diritto, “affinché non si torni ancora all’obbrobrio ed il Paese sia guidato nella legalità”.

Da parte sua, la presidente ha reagito con durezza contro gli organismi internazionali e i vescovi, accusati di voler dirigere il Paese “fomentando la divisione e la rivolta”.

Parlando con il Sir, l’agenzia della Conferenza Episcopale Italiana, fra Paolo Boldrini, missionario dei Frati Minori Rinnovati e da 40 anni nel Paese, ha parlato di una “situazione di dittatura dichiarata” con il rischio di “scivolare in un conflitto interreligioso”, anche se “in ambito musulmano e cristiano ci sono posizioni molto diversificate”, mentre “molti gruppi musulmani, ma non tutti, si stanno scagliando contro la Chiesa cattolica come nemica della pace e fomentatrice del terrorismo. Trasformare il dibattito sociale e politico in una guerra di religione mette davvero a rischio molte vite umane, oltre alla stabilità economica del Paese”.

Il missionario nota anche che la Commissione d’Inchiesta, per indagare sui fatti post-elettorali, “non può essere realisticamente la premessa di un processo di accordo” perché “la commissione non è per niente libera”.

Riguardo alla richiesta dei vescovi di una nuova Costituzione fra Boldrini spiega che deriva “dalla necessità di limitare i poteri del presidente, che è il solo a scegliere i componenti delle commissioni e dei responsabili ai più alti livelli”. Inoltre, gode dell’immunità sia durante il suo mandato sia dopo il suo mandato, né si può ricorrere al Tribunale per indagare sull’elezione del presidente. Punti che proprio in questa situazione hanno manifestato tutta la loro pericolosità”.

                                                           FOCUS AMERICA LATINA

La Chiesa colombiana chiede all’esercito di liberazione nazionale di rispettare la vita

La Chiesa colombiana ha chiesto all’Esercito di Liberazione Nazionale (ELN) di “rispettare la vita” dopo che il gruppo armato ha chiesto una “preparazione armata” nelle regione dove opera in Colombia, inclusa a Bogotà, a causa della “minaccia imperialista” di Donald Trump, chiedendo alla popolazione di “astenersi di mobilitarsi” il 14 e 17 dicembre per “evitare di mescolarsi con la forza pubblica e per evitare di porre a rischio la sua vita”.

In 48 ore, ci sono stati una serie di attacchi terroristici nel Paese. Prima il 15 dicembre, con un attacco piena di esplosivi. Quindi, un’esplosione a Salgar, nel dipartimento di Antioquia, all’altezza dell’ingresso del municipio, fortunatamente senza vittime gravi.

Monsignor Héctor Fabio Henao, responsabile delle relazioni tra Chiesa e Stato dell’episcopato, ha chiesto così all’ELN di “rispettare la vita” dei colombiani e ha ricordato che il Natale è “un tempo in cui vivere un messaggio di pace”, ed è anche “un tempo speciale in cui si incontri la libertà di quelli che sono in carcere e per quelli che soffrono la conseguenza della fame, perché possano sentire sollievo e sentire che le realtà che prima le minacciavano si trasformino”.

Monsignor Henao ha chiesto “sincerità” non solo all’ELN, ma anche a “tutti i gruppi armati che operano in Colombia”, perché “se davvero professano la pace, allora le loro azioni devono parlare per loro”.

Il presidente colombiano Gustavo Petro ha dato ordine all’esercito di attaccare l’ELN.   

                                                           FOCUS EUROPA

Il presidente della Camera ucraina in Vaticano

Nella settimana tra l’8 e il 13 dicembre, Ruslan Stefanchuk, presidente della Verkhovna Rada dell’Ucraina, ha visitato il Vaticano per una serie di incontri bilaterali. Ne ha dato notizia, sui suoi spazi social, l’ambasciata di Ucraina presso la Santa Sede.

Stefanchuk ha avuto un incontro privato con Leone XIV. L’ambasciatore Andryi Yurash sottolinea che “la conversazione ha toccato il tema della situazione umanitaria in Ucraina, in particolare il ritorno dei bambini ucraini portati illegalmente in Russia, dei prigionieri di guerra e degli ostaggi civili”.

Stefanchuk ha “inoltre informato Sua Santità sui negoziati dell'Ucraina con i partner statunitensi ed europei in merito all'importanza di coordinare le posizioni e preservare l'unità internazionale", e ha anche ringraziato il Papa per la sua speciale attenzione all'Ucraina in "un momento di grandissima prova", sottolineando l'importante ruolo della Santa Sede nel processo di pace internazionale - "come autorità morale capace di unire le posizioni e promuovere la ricerca di soluzioni basate sul diritto internazionale e sulla dignità umana".

Stefanchuk ha avuto anche un incontro con il Cardinale Pietro Parolin, Segretario di Stato vaticano. Sempre l’ambasciatore Yurash riferisce che “il signor Stefanchuk ha ringraziato Sua Eminenza per il costante sostegno e per la guida morale della Santa Sede, in particolare nelle iniziative umanitarie per il ritorno dei bambini, dei prigionieri di guerra e dei civili”.

Da parte sua, “il Cardinale Parolin ha espresso la speranza che la guerra in Ucraina possa concludersi quanto prima e ha sottolineato che l’aggressione russa rappresenta una violazione del diritto internazionale”. Inoltre, “sono stati discussi i principi di una pace giusta e il ruolo dell’Europa nel processo di pace. Il Presidente della Verkhovna Rada ha evidenziato che il sostegno del Vaticano e il lavoro congiunto avvicinano l’Ucraina a una pace giusta”.

Europa, una risoluzione che apre all’aborto

Con l’utilizzo dello strumento di una mozione non vincolante, l’iniziativa “My Voce My Choice” ha chiesto l’accesso sicuro all’aborto in tutti i Paesi dell’Unione Europea. Non è passata, invece, una risoluzione proposta da una serie di europarlamentari di area cattolica, che metteva in luce come anche le regolamentazioni europee stabiliscano che le questioni sulla vita e su altri temi sensibili non possano essere competenza europea, ma piuttosto competenza delle legislazioni nazionali.

Vincenzo Bassi, presidente della Federazione delle Associazioni Familiari Cattoliche in Europa (FAFCE) ha sottolineato in una dichiarazione che “l’iniziativa in discussione si configura come uno strumento di pressione politica sugli Stati membri, andando ben oltre le competenze attribuite all’Unione Europea.

“L’aborto – prosegue Bassi -  non può essere qualificato come un diritto - sottolinea Bassi -. È tempo di prendere atto di una realtà preoccupante: il possibile utilizzo di fondi europei per favorire l’accesso all’aborto in tutta Europa procede oggi in una direzione diametralmente opposta rispetto allo spirito e alle finalità dell’Iniziativa dei cittadini europei ‘Uno di Noi’, sostenuta con forza dalla Fafce fin dal 2012. Si impone una seria autocritica sul livello di attenzione e di impegno dedicato alla tutela della vita”.

Il presidente Fafce aggiunge: “È inammissibile che il contribuente europeo sia chiamato a finanziare pratiche abortive, persino in quegli Stati membri nei quali l’aborto è considerato illegale. Tale situazione è anche il risultato di un diffuso disimpegno e di una crescente indifferenza verso quanto avviene nelle istituzioni europee, in particolare a Bruxelles”.

                                                           FOCUS MULTILATERALE

La Santa Sede a Ginevra, il lavoro sul Forum Globale dei Rifugiati

Il 17 dicembre, si è tenuto a Ginevra l’incontro della Revisione dei Progressi del Forum Globale dei Rifugiati. La Santa Sede è membro dell’Organizzazione Internazionale delle Migrazioni, ed è intervenuta con l’arcivescovo Ettore Balestrero, osservatore presso le organizzazioni internazionali a Ginevra.

Nel suo intervento, l’arcivescovo Balestrero ha notato che “dall’adozione del Global Compact sui rifugiati, la comunità internazionale ha fatto progressi significativi nella promozione della responsabilità condivisa e nell’espansione di percorsi per individui che hanno bisogno di protezione internazionale”.

Tuttavia, la Santa Sede chiede di riconoscere che “lo sfollamento forzato nel mondo” continua a causare moltissima sofferenza, mentre “troppe vite sono ancora scosse da violenza, conflitto e persecuzione” e per questo, oltre a “migliorare gli sforzi di protezione”, serve “cercare modi di affrontare le cause alla radici dello sfollamento forzato”, nonché garantire “il ritorno sicuro e degno dei rifugiati alle loro nazioni di origine”, e va dunque “sottolineato che quelli che desiderano tornare a casa debbano poterlo fare in maniera sicura”.

La Santa Sede dice di apprezzare gli sforzi del Secondo Forum Globale dei Rifugiati nel cercare soluzioni concrete nelle nazioni, e chiede di assicurare “la piena osservanza del principio del non-refoulment” – ovvero il principio di non rimpatriare in nazioni da dove si emigra perché si è a rischio – cosa “essenziale per allentare la pressione sulle nazioni che ospitano rifugiati”.

In vista delle tensioni globali in crescita e delle persecuzioni, è dunque cruciale che “la nostra risposta collettiva sia basata sul principio della responsabilità condivisa”, perché “nessuno Stato, in particolare quelli confinanti con le zone di conflitto, deve portare da solo il peso dello sfollamento di massa”.

Questo principio di responsabilità condivisa deve essere esteso oltre l’emergenza, per includere l’investimento in una “pace condivisa, la riconciliazione e la ricostruzione dopo i conflitti”, mentre le politiche e le azioni sono chiamate a dare priorità alla “sicurezza, protezione e trattamento umano dei rifugiati”, così come il ricongiugimento famigliare deve avere una priorità “in riconoscimento del ruolo vitale della famiglia nello sviluppo umano”.

La Santa Sede apprezza anche che diversi Stati si siano impegnati ad accrescere le loro quote di ristabilimento e di assicurare l’accesso all’educazione per i giovani rifugiati, e sottolinea “l’importanza di un network espanso di partnership che può unire i governi, le organizzazioni religiose e le società civili nel cercare e affrontare diversi impegni presi per i rifugiati”.             

La Santa Sede a New York, gli sviluppi della società dell’informazione

Il 18 dicembre, si è tenuta la revisione globale dei risultati del Summit Mondiale sulla Società Informativa presso la sede delle Nazioni Unite di New York.

L'Osservatore Permanente ha sottolineato che i progressi nelle tecnologie dell'informazione offrono opportunità per l'eliminazione della povertà, la crescita economica, lo sviluppo sociale e la sostenibilità, ma comportano anche rischi che richiedono riflessione etica e scelte responsabili. Citando Papa Leone XIV, ha osservato che, se da un lato l'intelligenza artificiale apre nuovi orizzonti alla creatività, dall'altro solleva preoccupazioni circa il suo impatto sull'apertura dell'umanità alla verità, alla bellezza e alla contemplazione.

L'Arcivescovo Caccia ha concluso esprimendo l'auspicio della Santa Sede che gli sviluppi tecnologici del prossimo decennio rimangano orientati alla dignità della persona umana e al bene comune.

                                                           FOCUS AMBASCIATORI

Un nuovo ambasciatore di Corea presso la Santa Sede

Il 19 dicembre, Hyung Sik Shin, ambasciatore di Corea presso la Santa Sede, ha presentato le sue lettere credenziali. Classe 1960, sociologo di formazione, ha cominciato la carriera diplomatica tardi.

Ha ricoperto i seguenti incarichi: Segretario Generale, presso l'Institute for Future Political Economy (2003); Direttore del Memorial Project Dept., presso la Korea Democracy Foundation (2008); Direttore dell'Education Project Dept., presso la Korea Democracy Foundation (2010); Direttore, del Planning and Public Relations Dept. presso la Korea Democracy Foundation (2011); Direttore del Planning and Coordination Dept. presso la Korea Democracy Foundation (2013); Segretario Generale dell'Asia Democracy Network (2013); Professore aggiunto presso il Department of International Area Studies della Pukyong National University (2015); Direttore, del Research Institute presso la Korea Democracy Foundation (2016); Direttore dell' Institute for Popular Sovereignty (2022).

Un nuovo ambasciatore di Cuba presso la Santa Sede

Il 20 dicembre, Leyde Ernesto Rodriguéz Hernandez, ambasciatore di Cuba presso la Santa Sede, ha presentato le sue lettere credenziali.

Laureato in relazioni internazionali, ha un passato come giornalista del Quotidiano Juventud Rebelde e come professore e direttore del Dipartimento di Relazioni Pubbliche presso l’Istituto Superiore di Relazioni Internazionali “Raúl Roa”.

Dal 2001, ha cominciato la carriera diplomatica, che lo ha portato in Congo, in Francia, e infine in Serbia e Montenegro. Nel frattempo, ha proseguito la sua carriera accademica, coordinando anche il Master in relazioni Internazionali dell’Istituto Superiore di Relazioni Internazionali Raúl Roa Garcia.

Un nuovo ambasciatore del Giappone presso la Santa Sede

Koji Abe, ambasciatore del Giappone presso la Santa Sede, ha presentato il 20 dicembre le sue lettere credenziali. Classe 1964, in carriera diplomatica dal 1987, ha lavorato nelle rappresentanze del Belgio, del Canada, di New York, della Francia e di Madagascar e dei Comori, dove è stato ambasciatore dal 2022 al 2025.

Nel corso della sua carriera ha anche servito a più riprese nel Ministero degli Affari Esteri, con vari incarichi, ed è stato Maestro delle Cerimonie della Casa Imperiale.

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