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Papa Francesco ai nuovi ambasciatori: “Potete essere una figura di speranza”

Il Papa riceve le lettere credenziali di alcuni nuovi ambasciatori. Descrive la geopolitica di un mondo in sofferenza. Guarda con ottimismo alle nuove sfide

Presentazione delle Lettere Credenziali degli Ambasciatori di Islanda, Bangladesh, Siria, Gambia, Kazakhstan |  | Vatican Media / ACI group Presentazione delle Lettere Credenziali degli Ambasciatori di Islanda, Bangladesh, Siria, Gambia, Kazakhstan | | Vatican Media / ACI group

Quello che Papa Francesco descrive è un mondo in sofferenza, colpito da crisi continue, forse incapace di reagire e questo nonostante i grandi progressi tecnici e tecnologici che si sono succeduti negli anni. Ma il Papa, allo stesso tempo, è fiducioso che la famiglia umana sarà in grado di superare le sfide del tempo. E, allo stesso tempo, tratteggia la figura dell’ambasciatore come “figura di speranza” in questi tempi difficili.

Mattinata di lettere credenziali, per Papa Francesco. Le riceve da un gruppo di ambasciatori accreditati presso la Santa Sede, ma non residenti a Roma, e cioè oggi quelli di Islanda, Bangladesh, Siria, Gambia e Kazakhstan. Come di consueto, in questi casi la consegna delle credenziali avviene in gruppo, e non attraverso colloquio singolo, e in questo caso il Papa tiene anche un breve discorso.

Il Papa non può mancare di ricordare il popolo siriano che si riprende dal terremoto ma si trova anche “tra le continue sofferenze causate dal conflitto armato”.

Papa Francesco, nel discorso, tratteggia una sorta di “geopolitica della sofferenza”, dai luoghi che vivono in conflitto come Sudan, Repubblica Democratica del Congo, Myanmar, Libano e Gerusalemme, alla crisi di Haiti, alla guerra in Ucraina che “ha portato sofferenza e morte indicibili”, fino all’aumento del flusso delle migrazioni forzate, gli effetti del cambiamento climatico e la quantità di persone che vivono ancora in povertà, cosa che fa esclamare al Papa che c’è “un crescente squilibrio nel sistema economico globale”.

Si chiede Papa Francesco: “Quando impareremo dalla storia che le vie della violenza, dell’oppressione e dell’ambizione sfrenata di conquistare terre non giovano al bene comune? Quando impareremo che investire nel benessere delle persone è sempre meglio che spendere risorse nella costruzione di armi letali?”

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E ancora: “Quando impareremo che le questioni sociali, economiche e di sicurezza sono tutte collegate? Quando impareremo che siamo un’unica famiglia umana, che può veramente prosperare solo quando tutti i suoi membri sono rispettati, curati e capaci di offrire il proprio contribuito in maniera originale?”

Solo una volta arrivati a questa consapevolezza, dice Papa Francesco, si potrà superare la “terza guerra mondiale combattuta a pezzi”, una descrizione che “sembra disturbare la nostra sensibilità, soprattutto la soddisfazione per gli straordinari progressi tecnologici e scientifici raggiunti o per i passi già compiuti per affrontare le questioni sociali e sviluppare ulteriormente il diritto internazionale”.

Ma il progresso, aggiunge, non deve farci sentire “appagati o peggio indifferenti riguardo l’attuale situazione del mondo”, e anzi si deve garantire che “tutti i nostri fratelli e sorelle possano beneficiare di queste conquiste e di questi sviluppi”.

Papa Francesco è però ottimista, e crede che “la famiglia umana sia in grado di affrontare con successo le sfide del nostro tempo”. E questo dipende anche dal servizio degli ambasciatori, una “funzione antica e nobile”, con un ruolo positivo “attestato in ogni epoca e in diversi tipi di situazioni”.

E allora, l’ambasciatore, “come uomo o donna di dialogo, costruttore di ponti, l’Ambasciatore può essere una figura di speranza. Speranza nella bontà ultima dell’umanità. Speranza che un terreno comune sia possibile perché siamo tutti parte della famiglia umana. Speranza che non sia mai detta l’ultima parola per evitare un conflitto o risolverlo pacificamente. Speranza che la pace non sia un sogno irrealizzabile”.

Papa Francesco ricorda che “pur continuando a servire fedelmente il proprio Paese d’origine, l’Ambasciatore cerca di mettere da parte le emozioni superflue e di superare le posizioni radicate per trovare soluzioni accettabili”.

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Non è “un compito facile”, perché “la voce della ragione e gli appelli alla pace spesso cadono nel vuoto. L’attuale situazione mondiale, tuttavia, non fa che sottolineare ulteriormente la necessità che gli Ambasciatori e i loro colleghi siano fautori del dialogo, paladini della speranza”.

La Santa Sede, da parte sua, apprezza il lavoro degli ambasciatori, e porta avanti il suo ruolo di “proteggere l’inviolabile dignità di ogni persona, a promuovere il bene comune e a favorire la fraternità umana tra tutti i popoli”, senza alcun interesse politico, commerciale o militare, e attraverso l’esercizio di una “neutralità positiva,” ma non una “neutralità etica”, soprattutto di fronte alle sofferenze umane.

Per questo, la Santa Sede ha “una posizione ben definita nella comunità internazionale che le permette di meglio contribuire alla risoluzione dei conflitti e di altre questioni”. E, alla luce di queste riflessioni, Papa Francesco dice ai nuovi ambasciatori di essere sicuro che “vi saranno molte opportunità per voi di collaborare con la Santa Sede su temi di interesse comune”.