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Letture. Alla scoperta dei sette cimiteri di Trieste

Il catalogo della mostra “Memorie di marmo. I sette cimiteri di Trieste” nella Sala “Attilio Selva” di Palazzo Gopcevich si presta ad una lettura tutta personale

I sette cimiteri di Trieste | Il cimitero serbo ortodosso di Trieste | Comune di Trieste I sette cimiteri di Trieste | Il cimitero serbo ortodosso di Trieste | Comune di Trieste

Poesia cimiteriale: suona un po’ macabro, ma in effetti è stata così denominata una precisa corrente letteraria nata agli inizi dell’Ottocento in Inghilterra e rapidamente diffusasi in tutta Europa. Celebrava il culto dei morti, romanticamente declinato, la meditazione sulla fine della vita e sull’al di là, collegato ad un’estetica delle tombe.

Qualcosa del genere in Italia ha assunto i toni della poesia di Foscolo, nella fattispecie nei Sepolcri. Questo movimento di idee e di slancio creativo, legato proprio ai cimiteri, è segnata da uno sviluppo straordinario dell’arte applicata, per così dire, alle tombe, alle lapidi, all’ampliamento dei luoghi di sepoltura.

Dopo gli editti napoleonici che proibivano la sepoltura dentro le chiese e nel centro delle città e dei paesi, nascono quindi le nuove e monumentali città dei morti, che sembrano unire, in un certo senso, la nostalgia degli antichi cimiteri, tra rovine e chiari di luna, e l’idea, appunto, di nuovi spazi, razionali ed esteticamente notevoli, mentre grandi artisti  si mettono a disposizione dei ricchi borghesi, dei nuovi industriali e imprenditori, commercianti e notabili vari, che non vogliono rinunciare, neanche dopo la morte, a mostrare pubblicamente la loro posizione eminente nel mondo. Del resto, tutto questo sottende alla convinzione che la memoria dei morti è irrinunciabile, e che, soprattutto, bisogna sempre fare i conti con la presenza costante della morte e con la vita che inizierà dopo.

Convinzioni oggi fortemente vacillanti.

Perché, ci si potrebbe domandare a questo punto, riflessioni ed excursus storico-artistici su un tema del genere nel pieno dell’estate, delle vacanze, dello svago?

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Per via di due fatti, sostanzialmente. Prima di tutto, perché nel caos turistico di questa stagione, in cui ogni spazio possibile è occupato, per non dire intasato, rumoroso, sfiancante, riscoprire i cimiteri delle località di vacanza, o anche nelle proprie città, passeggiare lungo viali alberati e  solitari, alla ricerca di tombe illustri o ricostruire piccole storie stilizzate in lapidi e monumenti può diventare una valida alternativa, molto più piacevole e  interessante di quanto si possa pensare.

Poi c’è la pubblicazione di un catalogo, che si presta anche ad una lettura personale, di una mostra che purtroppo sta per chiudere i battenti ma si può ancora visitare, dal titolo “Memorie di marmo. I sette cimiteri di Trieste” nella Sala “Attilio Selva” di Palazzo Gopcevich, a Trieste, appunto. Attraverso le foto  di Marino Ierman e i testi di Luca Bellocchi si va  alla scoperta di viali, statue, allegorie, mausolei e iscrizioni che riportano in vita un intero universo artistico, storico, sociale, etnografico di straordinaria importanza. I sette cimiteri della città, nella loro bellezza, unicità e diversità, rappresentano una evidente  testimonianza di una società multireligiosa, multietnica e multiculturale, caratterizzata da una spiccata convivenza tra genti diverse. C’è il cimitero militare, quello evangelico, quello cattolico, greco-ortodosso e serbo-ortodosso, ebraico, musulmano.

La nascita delle nuove necropoli triestine disegna, come nel rovescio di un tessuto,  la geografia di un luogo unico, grazie alla compresenza  di tante anime diverse  e pacificamente conviventi, nel segno del culto dei morti e della fede religiosa.  Monumenti che celebrano i successi della rampante borghesia dei secoli scorsi. Così le opere, realizzate da numerosi artisti, forestieri e locali, quali Antonio e Francesco Bosa, Luigi Ferrari e Giovanni Duprè, Francesco Pezzicar, Giovanni Mayer, Gianni Marin e Franco Asco, sino a giungere al viennese Rudolph von Weyr e al dalmata Ivan Rendić, creano una variopinta geografia artistica, tipica di questa terra di frontiera.

 Centinaia di storie che le famiglie triestine, greche, serbe, tedesche, inglesi, armene, svizzere, avrebbero da raccontare attraverso le loro imprese, attraverso le gesta dei grandi navigatori, dei commercianti e degli enormi imperi emporiali che hanno reso Trieste  una delle culle del commercio mondiale e delle assicurazioni.

Accanto alle fotografie sono esposti anche alcuni documenti tratti dagli archivi,  come la pianta che riporta la disposizione di tutti i sette cimiteri, i progetti per le arcate del Cimitero monumentale di Sant’Anna, gli scritti ottocenteschi che indicavano le possibili scelte da parte dei familiari per le cerimonie funebri. E ancora altre opere e curiosità che permettono di approfondire questa cavalcata nella storia, nei costumi, nel modo di vivere il credo religioso.  

La mostra è aperta fino al 16 luglio. Ultimi giorni, dunque, per visitarla, ma il catalogo resta e così l’ispirazione per andare a scoprire, o riscoprire, questi universi che ci vivono accanto.

Luca Bellocchi, Memorie di marmo. I sette cimiteri di Trieste, Edizioni Civici Musei Storia ed Arte, pp.168, 28 euro