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Leone XII, il costoso restauro degli affreschi e dei mosaici del Laterano

Un lavoro da mille scudi rimandato dopo il Giubileo del 1825

Interno della basilica di San Giovanni in Laterano  Antonio Sarti (disegno e incisione)  1827 |  | Quaderno del Consiglio regionale delle Marche Interno della basilica di San Giovanni in Laterano Antonio Sarti (disegno e incisione) 1827 | | Quaderno del Consiglio regionale delle Marche

In preparazione al Giubileo del 1825 Papa Leone XII, che come cardinale era stato Vicario per la Città di Roma e conosceva bene la situazione nella quale versavano molte chiese romane, volle che si procedesse a restauri e recupero per rendere la città degna dell’evento. 

Come si legge nel Quaderno dedicato al Giubileo di Leone XII del Consiglio regionale delle Marche , i lavori più impegnativi furono per la cattedrale di Roma, la Basilica del Laterano. 

Spiega Francesca Falsetti: “Dal periodico ufficiale della Chiesa il Diario di Roma del 24 dicembre 1824 si viene a conoscenza che Leone XII appena pubblicata la bolla d’indizione del giubileo (24 maggio) ‘assegnò una somma cospicua pe’ grandi risarcimenti che abbisognavano a quella Basilica, resi necessari a causa della passate vicende’”. 

Un lavoro a parte fu quello del recupero dei mosaici e degli affreschi. 

Furono il capitolo e i canonici della basilica lateranense in vista dell’anno santo a chiedere al camerlengo “di far restaurare a carico dell’erario il mosaico dell’abside maggiore e di ripulire le pitture ad affresco del transetto “lordate dalla polvere”, poiché con le rendite a loro disposizione dovevano provvedere a lavori più urgenti nella basilica”.

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Se ne occupò la Commissione di Belle Arti, che attendeva una perizia tecnica ma che invece vide arrivare la notizia per cui “a causa delle infiltrazioni d’acqua dovute alla rottura del tetto in corrispondenza del transetto, alcuni canonici lateranensi avevano pensato di imbiancare gli affreschi eseguiti dal Cavalier d’Arpino, Orazio Gentileschi, Cesare Nebbia, Giovan Battista da Novara, Paris Nogari, Pomarancio, Ciampelli ed altri”.

Si mobilità il camerlengo Pacca che chiese spiegazioni all’arciprete di San Giovanni, Giulio Maria Della Somaglia. L’arciprete rispose che la notizia era fortunatamente falsa.

Gli affreschi erano davvero eccezionali anche come significato simbolico. Come spiega, Falsetti: “ I pittori che avevano lavorato nella decorazione del transetto, erano tutti orientati prevalentemente in senso classicista, in particolare allo stile raffaellesco, anche se si richiamavano a schemi arcaici suggeriti dal movimento di ripresa paleocristiana e medievale del cardinal Cesare Baronio e Federico Borromeo. Gli stessi cardinali che invocavano un ritorno alla semplicità, al profondo spirito devoto e l’attenzione al culto dei santi e dei martiri; richiamo invocato anche da Leone XII nella bolla d’indizione del giubileo a sottolineare la continuità con la tradizione degli anni santi”. E del resto gli affreschi erano anche citati dalle guide come quella di Filippo Titi. 

C’erano poi i mosaici eseguiti da Gaddo Gaddi nel 1308, che aveva recuperato dopo un incendio l’opera di fra Jacopo da Turrita”. 

Del resto già da cardinale vicario della Genga si era occupato di quelli di santa Maria in Trastevere. E ovviamente c’è da ricordare la conservazione dell’antico mosaico dell’arco trionfale di San Paolo fuori le mura, dopo i danni causati dall’incendio del 15 luglio 1823.

Il Papa quindi concesse i circa mille scudi necessari al restauro ma per l’anno successivo. “Per le casse dello Stato Pontificio - scrive Falsetti- non era facile reperire i fondi per gli interventi che, spesso, si rilevarono più costosi di quelli previsti”.

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I lavori avvennero dopo il Giubileo e furono ispezionati da Francesco Keck, Ispettore dei Mosaici della Fabbrica di San Pietro, per il cui impegno furono corrisposti 15 scudi mensili.  Il restauro degli affreschi del transetto, invece, iniziò a luglio e terminò nell’ottobre del 1826, fu eseguito dal pittore Giuseppe Candita per una somma di 150 scudi.