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Diplomazia pontificia, il contatto con la Corea del Sud, la Palestina, la GMG

Settimana diplomaticamente intensa: una visita del ministro degli Esteri palestinese in Vaticano, e una “offensiva di pace” di Papa Francesco

Parolin, Park | Il ministro degli Esteri sud coreano Park con il Cardinale Pietro Parolin, Segreteria di Stato vaticana, 1 agosto 2023 | Vatican Media / ACI Group Parolin, Park | Il ministro degli Esteri sud coreano Park con il Cardinale Pietro Parolin, Segreteria di Stato vaticana, 1 agosto 2023 | Vatican Media / ACI Group

La Giornata Mondiale della Gioventù si celebra in Portogallo. Nel suo discorso alle autorità e al corpo diplomatico, Papa Francesco ha anche messo in luce la necessità di difendere la vita, e lo ha fatto di fronte ad un Paese cattolico dove da poco è passata una legge sull’eutanasia contestata dalle religioni. Ma il Papa parlava anche di fronte a un Paese che ha vissuto la secolarizzazione, in cui le apparizioni di Fatima sono arrivate nel periodo in cui la Massoneria stava estromettendo la Chiesa, e in cui la cultura cattolica fatica oggi a fare breccia. Il Papa parlava ad un Paese che comunque ha ottime relazioni diplomatiche con la Santa Sede, seppure si siano interrotte nel corso degli anni più volte. Ne raccontiamo la storia.

Nel corso della settimana, prima del viaggio in Portogallo, va segnalata la visita del Ministro degli Esteri coreano Park al Cardinale Parolin e quella del ministro degli Esteri palestinese al-Maliki al suo omologo, l’arcivescovo Paul Richard Gallagher.

Papa Francesco ha poi annunciato, in una intervista a Vida Nueva, che in occasione del COP 28 a Dubai (ovvero, la Conferenza delle Parti sul clima delle Nazioni Unite), il Cardinale Pietro Parolin, segretario di Stato vaticano, sta organizzando una conferenza per la pace con gli altri leader religiosi ad Abu Dhabi. Si conferma, così, quell’asse speciale con gli Emirati Arabi e con l’Islam sunnnita – sebbene poi portato sia in Iraq che in Bahrein – che il Papa ha inaugurato con la dichiarazione della Fraternità Universale del febbraio 2019.

E poi, il Papa ha confermato il prossimo viaggio del Cardinale Matteo Zuppi a Pechino, facendo sapere che ritiene che le chiavi della pace in Ucraina siano negli Stati Uniti e in Cina, e sottolineando che pensa di nominare un punto di contatto permanente che faccia da ponte tra Russia e Ucraina per la restituzione dei bambini, il grande tema della missione del Cardinale Matteo Zuppi da inviato del Papa.

                                                                      FOCUS GMG

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Santa Sede e Portogallo, relazioni secolari

C’è stato l’anticlericalismo, il triste periodo della massoneria in cui l’apparizione di Fatima arrivò come uno squarcio nel buio. E ci sono stati, però, i periodi di ottime relazioni, intervellate da interruzioni brusche a causa degli eventi storici. E, tutto sommato, Santa Sede e Portogallo hanno relazioni diplomatiche da sei secoli, un concordato ridefinito nel 2004, e una Chiesa che ha una presenza, sebbene sempre più esigua, come dimostra la difficoltà ad essere presente nel dibattito quando è stata promulgata la legge sull’eutanasia in Portogallo, una grande sconfitta.

Papa Francesco è in questi giorni in Portogallo per la Giornata Mondiale della Gioventù, ma, come di consueto, i suoi incontri nel Paese hanno riguardato anche la parte diplomatica, con un bilaterale con il presidente di circa mezzora e il discorso al corpo diplomatico, che prendeva le mosse proprio dal fatto che Lisbona fu il luogo in cui, nel 2007, fu firmato il Trattato che diede una entità giuridica all’Unione Europea.

Da quando ci sono le relazioni diplomatiche tra Portogallo e Santa Sede? Il primo nunzio apostolico fu il vescovo di Ceuta, Giusto Baldini, nominato alla fine del 1400, ma è solo dal 1527 che c’è una nunziatura apostolica permanente in Portogallo.

La nunziatura fu soppressa dal 1580 al 1640, quando il Portogallo fu annesso al Regno di Spagna, e la Santa Sede fu al tempo rappresentata da un “collettore apostolico”, che aveva l’incarico di raccogliere le tasse pontificie, mantenendo però de facto i poteri spirituali di un nunzio. Nel 1640, il Portogallo riguadagnò l’indipendenza, e nel 1670 la Santa Sede riconobbe di nuovo la piena sovranità del Portogallo e dunque ristabilì la nunziatura.

Santa Sede e Lisbona interruppero le relazioni diplomatiche nel 1728-1732, 1761 – 1769, 1834-1842 e 1910 – 1918. Tuttavia, la Santa Sede ha sempre avuto un rappresentante in Portogalo, che fosse un collettore apostolico o un incaricato di affari.

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È il segno che Portogallo e Santa Sede hanno sempre avuto rapporti molto stretti, che risalgono addirittura alla fondazione del Regno di Portogallo. Papa Alessandro III, con la bolla Manifestis Probatum del 1179, confermava ad Alfonso Henriques il titolo di re, e assegnò questo titolo anche ai successori.

Altri momenti importanti nella storia delle relazioni tra Santa Sede e Portogallo: nel 1279 don Afonso III giura sottomissione alla Santa Sede; nel 1455, la bolla Romanus Pontifex stabilisce il diritto del Portogallo sui territori non cristianizzati e istituisce il Padroado Portoghese; nel 1716 viene concessa la dignità patriarcale alla cattedrale di Lisbona; nel 1748 viene concesso al re del Portogalo il titolo di Fidelisimo; nel 1940, viene firmato il Concordato e l’accordo missionario e la Legazione portoghese presso la Santa Sede viene eretta ad ambasciata; nel 1950 l’accordo tra Portogallo e Santa Sede fa cessare di fatto il diritto di patronato portoghese in Estremo Oriente.

Il Primo Ministro portoghese incontra Papa Francesco

Tra gli incontri diplomatici di Papa Francesco durante il viaggio in Portogallo, un breve saluto in nunziatura lo scorso 3 agosto con il presidente del Consiglio portoghese Antonio Costa. Quindici minuti, durante i quali il primo ministro ha fatto tre doni al Papa: una scultura di San Francesco d'Assisi, del maestro José Franco, un pezzo di ceramica di Mafra, così come l'opera completa di Manuel Antunes, sacerdote gesuita e uno dei grandi pedagoghi del secolo XX.

Il capo del governo ha anche consegnato a Papa Francesco il libro “Santuari Mariani del Portogallo”, coordinato da José Sá Fernandes, già consigliere del Comune di Lisbona e capo del Gruppo Missionario del Governo in occasione della Giornata Mondiale della Gioventù (GMG).

Nel 2017, Papa Francesco aveva incontrato António Costa nel suo secondo giorno di visita a Fatima, presso la Casa de Nossa do Carmo. A quel tempo, il primo ministro ha offerto un reliquiario d'argento con un'immagine di Sant'Antonio.

Il cardinale Parolin sulla GMG, le aspettative del Papa

Prima del viaggio in Portogallo, il Cardinale Pietro Parolin, segretario di Stato vaticano, ha dato a Vatican News una lunga intervista sulle aspettative del Papa riguardo il viaggio, cui si è preparato “animato da grande speranza e sta incoraggiando i giovani ad avere lo stesso atteggiamento nei confronti di tutti i momenti che vivrà con loro”.

Il Segretario di Stato vaticano ricorda che la scelta di Giovanni Paolo II di celebrare una Giornata Mondiale della Gioventù è stata “indubbiamente una scelta profetica”, che “conserva anche oggi tutta la sua attualità perché vuole ribadire l’impegno della Chiesa nei confronti delle giovani generazioni”, specialmente in questo mondo “in un profondo cambiamento, che ha conosciuto l’esperienza tragica della pandemia del Covid e che vive molteplici conflitti”.

Il cardinale sottolinea che la Chiesa ha oggi “davanti a sé la grande sfida della trasmissione della fede, la trasmissione della fede al mondo in generale. E credo che in questo compito che la Chiesa ha, i giovani abbiano qualche cosa da dirci”. Perché molti non conoscono Gesù, e dunque oggi “è necessario essere creativi, è necessario trovare il coraggio e il linguaggio giusto per presentare Gesù Cristo ai giovani d’oggi, in tutta la sua freschezza, in tutta la sua attualità in modo tale che anche i giovani di questo tempo, che hanno sensibilità, stili, modi di fare diversi rispetto ai loro coetanei di un tempo, possano incontrarlo e vivano un’esperienza di fede profonda, e da questa esperienza di fede profonda nasca poi il desiderio anche di condividerla con tutti i loro coetanei”.

Il cardinale Parolin ricorda anche la tappa a Fatima, sottolinea che “Papa Francesco, che porta sempre nel suo cuore il dramma di quanti sono coinvolti nei conflitti, con questa visita al Santuario di Fatima durante la Gmg, chiede di non perderci d’animo e di perseverare nella preghiera e nella specifica preghiera del Santo Rosario”.

Il cardinale Parolin sottolinea anche che “come ha detto il Santo Padre, le Giornate Mondiali della Gioventù non sono dei ‘fuochi di artificio’, cioè momenti di entusiasmo, magari di grande entusiasmo che però restano chiusi in sé stessi: non bastano, ma devono essere integrate nella pastorale giovanile ordinaria”.

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                                               FOCUS SEGRETERIA DI STATO

Il ministro degli Esteri di Corea incontra il Cardinale Parolin

Lo scorso 1 agosto, Park Jin, ministro degli Affari Esteri della Corea del Sud, ha incontrato in Vaticano il Cardinale Pietro Parolin, segretario di Stato vaticano. L’incontro aveva luogo in occasione del 60mo delle relazioni diplomatiche tra i due Stati, cominciate l’11 dicembre 1963.

Secondo una nota del ministero degli Esteri sudcoreano, il ministro Park Jin ha ringraziato il Segretario di Stato per averlo ricevuto e ha affermato che la visita servirà per sviluppare future relazioni amichevoli e di cooperazione tra Corea del Sud e Santa Sede. Il Cardinale Parolin ha detto di apprezzare il continuo rafforzamento delle relazioni bilaterali.

Il ministro ha quindi reso noti i vari eventi che l’ambasciata della Corea del Sud e le organizzazioni coreane stanno preparando per l’anniversario delle relazioni diplomatiche, chiedendo anche la collaborazione della Segreteria di Stato della Santa Sede. La richiesta avviene in un momento in cui la nunziatura non ha un nunzio, dato che l’arcivescovo Alfred Xuereb ha finito il suo incarico. La nunziatura di Seoul è particolarmente importante anche perché è sede anche della nunziatura di Mongolia e per questo attualmente interessata all’organizzazione del prossimo viaggio del Santo Padre nel Paese.

Inoltre, il ministro Park Jin ha ringraziato il Papa per le sue continue preghiere per la pace nella penisola coreana. Tema della conversazione ha riguardato anche il modo di affrontare le provocazioni della Corea del Nord da parte del governo di Yoon Suk-yeol. Quest’anno, tra l’altro, è stato il 70esimo anniversario della fine della guerra tra le due Coree.

La Corea del Sud ha chiesto più volte l’interessamento vaticano in una riconciliazione, avviando anche un percorso di dialogo. Il presidente Moon, nel 2018, portò anche al Papa un invito a visitare la Corea del Nord, e nel 2019 ci furono anche degli incontri tra diplomatici sud e nord coreani, mentre il presidente dei vescovi coreani venne in Italia nel 2017, alla vigilia della visita del presidente USA Donald Trump da Papa Francesco, per chiedere che Trump avviasse un canale di dialogo con Pyongyang, cosa che avvenne. Dopo i disgeli degli scorsi anni, la situazione sembra ancora difficile, al 38esimo parallelo, e sono le organizzazioni cattoliche in prima linea nel portare aiuti verso il Nord e anche nell’organizzare gli incontri di ricongiungimento familiare, iniziati con il primo disgelo degli anni Novanta.

Sempre secondo il ministro degli Esteri di Seoul, il Cardinale Parolin ha risposto che la Santa Sede darà ogni possibile contributo per migliorare la situazione sulla penisola coreana.

Il Ministro Park e il Segretario di Stato Parolin hanno anche scambiato opinioni sulla situazione della guerra in Ucraina, Il ministro Park ha ricordato la recente visita in Ucraina del Presidente della Repubblica di Corea.

Il ministro Park ha anche incontrato il suo omologo vaticano, l’arcivescovo Paul Richard Gallagher, e ha avuto un pranzo di lavoro con il Cardinale Lazarus You Heung-sik, prefetto del Dicastero per il Clero. Quest’ultimo aveva portato un messaggio di Papa Francesco a Seoul la scorsa settimana.

Gallagher incontra il ministro degli Esteri palestinese

Il 31 luglio, Riad al Maliki, ministro degli Esteri di Palestina, è stato ricevuto in Vaticano dall’arcivescovo Paul Richard Gallagher, segretario vaticano per i rapporti con gli Stati. I temi dell’incontro sono stati sviluppati da al-Maliki in una intervista con l’Osservatore Romano pubblicata nell’edizione dell’1 agosto.

Al Maliki ha detto che i due hanno “soprattutto riflettuto insieme sul tema della sacralità di Gerusalemme e della piena agibilità e del reciproco rispetto tra le tre confessioni monoteiste che condividono la Città Sacra. Il conflitto politico negli ultimi anni ha sempre più assunto un profilo religioso”.

Questo – afferma il ministro – non va bene perché “suscitando sensibilità più radicate e profonde come quelle religiose, si determina un inasprimento e una radicalizzazione delle posizioni”.

Il ministro si è detto in particolare preoccupato “dalle gravi offese ricevute negli ultimi mesi dalle comunità cristiane di Terra Santa, e dalle violente ingerenze dei soldati israeliani alla preghiera dei musulmani durante il Ramadan. Siamo anche preoccupati delle incitazioni alla discriminazione verso cristiani e musulmani che vengono da quegli esponenti del governo israeliano che sono espressione dei movimenti nazionalisti e religiosi”.

Una condanna agli attacchi ai cristiani, l’ultimo all’abate Nikodemus Schnabel dell’Abbazia della Dormizione, era venuto anche dal ministro degli Esteri israeliano Cohen in colloquio in Segreteria di Stato lo scorso 13 luglio, e dall’ambasciatore di Israele Rafael Schutz, che in particolare aveva stigmatizzato il caso di Schnabel.

Tuttavia, il ministro degli Esteri palestinese guarda con preoccupazione all’ambiente che si è creato, e nota che le proposte del ministro Smotrich per una semplificazione procedurale di ulteriori nuovi insediamenti in territorio palestinese possono incitare ad una discriminazione.

Secondo al Maliki, le recenti proteste della società israeliana contro la legge di riforma della giustizia testimoniano una opposizione ad una deriva autocratica e teocratica. E al Maliki ha fatto riferimento anche al suo omologo israeliano Cohen, lo ha definito “un uomo di pace”, e ha ricordato che “nel futuro noi saremo due stati vicini, quindi auspichiamo fin d’ora che il nostro vicino sia un paese democratico, pacifico e stabile, con il quale collaborare su più piani”.

Al Maliki ha anche sottolineato che questa situazione infici la possibilità di una ripresa di un confronto politico per la pace, anche perché “l’Occidente, e gli Usa in particolare, sono presi da altre priorità, l’Ucraina e il confronto coi cinesi, mentre il conflitto israelo-palestinese non è più sul quadrante delle cancellerie occidentali”.

L’auspicio palestinese è quello di una “pacificazione di tutta l’area mediorientale, ma questa normalizzazione dei rapporti tra Israele e i paesi arabi non può avvenire a discapito dei legittimi diritti del popolo palestinese”, tanto più che – denuncia – “malgrado gli accordi di Abramo, Israele continua le sue politiche unilaterali nei Territori palestinesi occupati: per noi nulla è cambiato. Il problema è che anche quando si realizzassero accordi che prevedono una tutela dei nostri diritti , poi non vengono rispettati”.

Per questo motivo, la Palestina non solo auspica nuovi patti, ma pretenderà che sia assegnato agli Stati Uniti e all’Unione Europea il ruolo di garanti dell’applicazione di questi accordi, e sottolinea che “sarebbe più opportuno focalizzarci sull’Iniziativa di Pace Araba, che è stata approvata da tutti gli stati arabi ed islamici”.

Ci vuole anche “una pacificazione anche tra i nostri popoli senza la quale gli accordi tra i vertici politici contano poco. I cristiani di Terra Santa con le loro scuole lo fanno, ma comprenderete che è difficile ispirare sentimenti di pace quando ogni giorno sopporti i soprusi”.

La speranza è quello che la Santa Sede faccia da mediatore in questa situazione, ricreando il clima di dialogo che portò agli accordi di Oslo 30 anni fa.

                                                           FOCUS RUSSIA

Russia, i bambini scomparsi

Come detto, la missione del Cardinale Zuppi riguarda soprattutto i bambini scomparsi, e per questo aveva incontrato, durante la sua permanenza a Mosca, la Commissaria per i Diritti dei Bambini di Russia Maria Lvova – Belova. La Belova ha detto recentemente che la Russia ha “ricevuto” approssimativamente 4,8 milioni di residenti di  Ucraina dal febbraio 2022, inclusi più di 700 mila bambini.

Secondo Lvova-Belova, la “stragrande maggioranza dei minori è arrivata con i loro genitori o altri parenti”. Belova è tra l’altro soggetto a un mandato di cattura della Corte Penale Internazionale per un presunto ruolo nelle deportazioni di bambini dall’Ucraina alla Russia.
Secondo il “rapporto Belova”, il numero include 1500 bambini che vivevano in orfanotrofi e altre istituzioni e i cui rappresentanti legali erano i direttori delle stesse istituzioni.

Il rapporto nota anche che 288 bambini dall’autoproclamata “Repubblica Popolare di Donetsk” sono stati successivamente “posti sotto la cura di famiglie russe affidatarie”, mentre i bambini dalla Repubblica Popolare di Luhansk sono stati restituiti alle istituzioni, sebbene 92 bambini che sono rimasti senza cura genitoriale sono stati posti allo stesso modo sotto la custodia di famiglie affidatarie russe”.

La Belova ha reso anche noto che alla fine dell’estate 2022 e all’inizio dell’autunno dello stesso anno, genitori dalle regioni ucraine, tra le altre, di Kherson, Zapirzhzhia e Kharkiv  “a causa delle circostanze sulla linea del fronte” hanno deciso di “inviare volontariamente i bambini in vacanza, in alcuni casi per proteggerli dalle operazioni militari”, e sono stati dunque mandati con accompagnatori e in accordo con i loro genitori in resort e organizzazioni ricreative e riabilitative nelle regioni di Crimea e Krasnodar.

Dall’altra parte, il progetto ucraino “Bambini della guerra” ha invece documentato che ci sono circa 19.500 casi di minori che sono stati deportati forzatamente dell’Ucraina, mentre il media indipendente iStories ritiene hce le autorità russe abbiamo posto più di 1000 bambini ucraini sotto “custodia protettiva”.

Russia, spazio aperto all’ascolto di Papa Francesco

In Russia, Papa Francesco viene ascoltato, ha sottolineato l’arcivescovo Paolo Pezzi della Madre di Dio di Mosca in una intervista con il SIR in cui ha commentato le parole del Papa dopo la preghiera dell’Angelus di domenica. Il Papa aveva rivolto il pensiero, come ormai sempre dall’inizio della guerra, alla “martoriata ucraina”, nonché al ritiro dei russi dall’accordo sul grano.

Papa Francesco aveva per questo rivolte un appello “ai miei fratelli, le autorità della Federazione Russa affinché sia ripristinata l’iniziativa del Mar Nero e il grano possa essere trasportato in sicurezza”.

Parlando con il Sir, l’arcivescovo Pezzi ha fatto sapere che non si può sapere se all’ascolto del Papa segua una decisione, ma “certamente in questo momento e in passato, e come anche la visita del Cardinale Zuppi ha dimostrato, uno spazio di apertura comunque c’è”.

Pezzi, che comunque aveva parlato prima degli attacchi di droni ucraini su una base russa del Mar Nero, ma quando comunque lo stesso tipo di attacchi avveniva su Mosca, sottolineava che i droni su Mosca “non hanno incrementato quella paura che già c’è perché è chiaro che quando succede qualcosa di questo genere significa che tutto è possibile. Ora con quale entità e in che termini questo è difficile dirlo e definire. Per me il futuro è sempre nelle mani di Dio. A noi spetta di continuare a implorare la pace e non perdere la speranza”.

                                                           FOCUS CINA

La Cina contro l’Islam?

Mentre la Santa Sede prosegue un difficile dialogo con la Cina, e si attende ancora la visita del Cardinale Matteo Zuppi a Pechino, le notizie mostrano che c’è anche una persecuzione contro i musulmani. Tanto che lo scorso 8 luglio, quando tre corriere di musulmani Hui, la più grande minoranza islamica cinese, tornarono nella loro casa di Shadian per scoprire che gli officiali locali avevano chiuso la moschea per demolirne la cupola e i minareti, in una decisione che è parte di una campagna più ampia che mischia islamofobia e xenofobia.

Il restauro della Grande Moschea di Shadian era iniziato nel 2003, quando il Partito Comunista Cinese stava usando lo sviluppo delle infrastrutture come una forma di integrazione nazionale. La moschea riaprì nel 2010, senza alcun muro, cosa che la rese accessibile anche ai non musulmani.

La cultura Han, il cui entusiasmo si percepiva alla apertura della moschea, non è ben vista nella Cina odierna, dove ogni forma di espressione culturale non cinese è a rischio. Nel 2016, c’è stata una prima direttiva che indicava di “unire le dottrine religiose con la cultura cinese”, e questa direttiva è diventata nel 2018 la base ideologica di un piano politico di cinque anni che includeva anche il concetto di “persistere nella sinizzazione dell’Islam”, stabilendo che la Cina è stato la minaccia della “saudizzazione, arabizzazione e halalizzazione”.

Le politiche hanno avuto impatti molto forti anche sulle comunità islamiche minoritarie. L’Islam è penetrato in Cina circa 1500 anni fa, ed oggi è descritto – come succede anche al Cattolicesimo – come una “religione straniera”.

Prima della moschea di Shadian, la Cina ha fatto rimuovere centinaia di cupole e minareti dalle moschee Hui.

Nel frattempo, il 30 luglio il neo- vescovo di Shanghai Giuseppe Shen Bin, trasferito unilateralmente dal governo e poi sanato da Papa Francesco con la nomina ufficiale a vescovo di Shanghai, ha celebrato la sua prima liturgia solenne. Si è celebrato, anticipandone i festeggiamenti perché il 31 luglio era giorno lavorativo, Sant’Ignazio di Loyola, santo che ha una particolare importanza se si considera la tradizionale relazione tra i gesuiti e la diocesi di Shanghai.

La celebrazione è stata partecipata da oltre mille fedeli, e tutti hanno chiesto  nella preghiera che l’annuncio del Vangelo nella diocesi guidata dal Vescovo Shen Bin si sviluppi in modo intenso e costante, per opera dello Spirito Santo.
                                                           FOCUS AFRICA

Crisi in Niger, le preoccupazioni di Aiuto alla Chiesa che Soffre

La recente crisi in Niger, che ha visto le persone scendere in piazza contro l’ambasciata francese e inneggiando alla Russia, ha destato preoccupazione anche nella fondazione pontificia Aiuto alla Chiesa che Soffre, da sempre presente nel Paese. ACS ha fatto sapere che “la situazione nigerina era gravemente compromessa ben prima degli ultimi eventi, e avrebbe meritato maggiore attenzione”.

Questo perché – si legge in una nota diffusa dalla fondazione – “la popolazione vive in condizioni di estrema povertà, la spesa pubblica è insostenibile e inefficiente, l’analfabetismo è diffuso e si registra una rapida crescita demografica”, e questo accade in una situazione di “debolezza delle istituzioni, corruzione, scarse infrastrutture e fragile sistema giudiziario”, cui si aggiunge l’attuale ascesa di chierici islamici conservatori, con molta influenza in ambiti politici, che “hanno messo a dura prova le relazioni tra i nigerini, sia all’interno della comunità islamica sia tra i musulmani e altri gruppi di fede, compresi i cristiani”, mentre i gruppi islamisti armati terrorizzano la popolazione civile.

ACS nota che “sono attive formazioni jihadiste come lo Stato Islamico nel Grande Sahara (Isgs), gruppi affiliati ad Al-Qaeda e Boko Haram, con sede in Nigeria”, ognuno con una sua strategia regionale, mentre Turchia, Iran e Arabia Saudita alimentano preoccupazioni “finanziando vari progetti locali, come la ristrutturazione e la costruzione di moschee e la formazione di imam, ciascuno con la propria visione tradizionale dell’Islam”.
Anzi, “in alcuni casi, gli interessi stranieri hanno contribuito all’aumento dell’estremismo nigerino, inclusa la promozione del wahhabismo da parte dell’Arabia Saudita. I gruppi estremisti islamici sono particolarmente attivi nell’ovest e nel sud del Niger, dove le autorità hanno effettivamente perso il controllo del territorio, in particolar modo a seguito della pandemia di Covid-19”.

ACS ricorda che “Tillaberi, una regione del Niger sud-occidentale che confina con Benin, Burkina Faso e Mali, è stata un punto caldo della violenza estremista a causa della presenza di affiliati di Al-Qaeda e dello Stato Islamico nel Grande Sahara (Isgs)”, e mette in luce che  “quest’ultimo controlla ampie zone vicino ai confini con il Burkina Faso e il Mali, e i suoi combattenti sono già arrivati nei pressi della capitale Niamey”.

Qualche cifra: al 31 marzo 2023, il Niger offriva ospitalità ad oltre 700.000 persone a rischio, tra cui oltre 300.000 rifugiati stranieri e richiedenti asilo e 360.000 sfollati interni. La mancanza di sicurezza ha limitato l’accesso agli aiuti umanitari, accelerando una spirale di indigenza che colpisce la maggior parte dei nigerini, compresi i cristiani.

I cristiani sono tra i più vulnerabili, arrivano a praticare la loro fede in privato per la paura, mentre “la violenza dei gruppi islamisti, la repressione governativa e la presenza militare straniera hanno esacerbato i divari sociali esistenti, prosciugando le risorse pubbliche, che altrimenti avrebbero potuto essere investite nello sviluppo economico e sociale, oppure in mezzi per contrastare le criticità legate al clima, come la carenza d’acqua”.

La Chiesa locale è coinvolta nel processo di dialogo islamo-cristiano. Aiuto alla Chiesa che Soffre – conclude la nota – “auspica che l’interesse internazionale suscitato dal colpo di Stato nigerino non sia effimero, e induca i maggiori attori politici coinvolti e le istituzioni internazionali ad affrontare in modo più organico il problema dell’instabilità politica e della diffusione dei gruppi islamisti in Niger e nel resto del continente africano, al fine di garantire la pacifica convivenza delle popolazioni e la libertà delle comunità cristiane”.

                                                           FOCUS AMERICA LATINA

Il cardinale Ramazzini all’Organizzazione degli Stati Americani

Il Cardinale Alvaro Ramazzini ha incontrato il 3 agosto Luis Almagro, segretario generale dell’Organizzazione degli Stati Americani, per esporre la crisi politica ed istituzionale che attraversa il Guatemala.

Il cardinale Ramazzini è stato accompagnato dal giornalista Facto Mendez Doninelli, difensore dei diritti umani.

                                                           FOCUS MULTILATERALE

Santa Sede a Vienna, la non proliferazione delle armi nucleari

Il 31 luglio, si è tenuta a Vienna la prima sessione del Comitato preparatorio per la Conferenza di Revisione del 2026 del trattato di non proliferazione delle armi nucleari. Monsignor Janusz Ubranczyk, rappresentante permanente della Santa Sede all’OSCE di Vienna, ha sottolineato nel suo intervento che “ogni conflitto armato, specialmente la guerra in Ucraina, ci ricorda che la ricerca del dialogo deve essere instancabile e che il possesso di armi nucleari è “un moltiplicatore del rischio che offre solo l’illusione della pace”.

Nel percorso verso l’utopia del disarmo integrale, la Santa Sede lavora intanto per un mondo libero da armi nucleari, e nel farlo espone una serie di ragioni: che i sistemi di difesa nucleare sono ormai inadeguati a rispondere alle minacce alla sicurezza internazionale del 21esimo secolo; che gli strumenti nucleari hanno impatti umanitari e ambientali catastrofici; che le risorse vengono destinate alla modernizzazione degli arsenali nucleari e così sottratte dal complesso raggiungimento di obiettivi come pace, sviluppo umano integrale e sicurezza integrale.

E ancora, le conseguenze negative che vengono da un clima di persistente paura, mancanza di fiducia e opposizione; il rischio dell’escalation dei conflitti armati in conflitti nucleari.

La Santa Sede ricorda che c’è stata, in effetti, una escalation di una “guerra nucleare dimenticata” attraverso i test di migliaia di strumenti nucleari che “hanno colpito sia le popolazioni che l’ecosistema terrestre, causando effetti negativi per le future generazioni per centinaia e migliaia di anni a venire”.

La Santa Sede sottolinea che “le armi nucleari sono ancora un problema globale”, che riguarda non solo gli Stati che sono in possesso di armi nucleari ma anche quelli non nucleari che hanno firmato il trattato di non proliferazione, e gli Stati che non hanno firmato e che ne sono in possesso non riconosciuto.

Monsignor Urbanczyk sottolinea che “guidata dalla convinzione che un mondo libero di armi nucleari è allo stesso tempo possibile e necessario, la Santa Sede incoraggia gli Stati parte di adottare un rinnovato convincimento di urgenza e impegno in modo da raggiungere accordi concreti e durevoli riguardo la non proliferazione e disarmo nucleare”.

Secondo la Santa Sede, tra l’altro, non si può più tardare nell’implementare l’architettura legale del disarmo nucleare”.

La Santa Sede a New York, la lotta contro la carestia

Lo scorso 3 agosto, si è tenuto presso il Palazzo di Vetro di New York un dibattito del Consiglio di Sicurezza su “Carestia e Insicurezza Alimentare Globale indotta da conflitto”.

L’arcivescovo Gabriele Caccia, Osservatore della Santa Sede preso le Nazioni Unite, ha sottolineato che ogni persona umana ha diritto al cibo, eppure ci sono nel mondo un quarto di miliardo di persone che affrontano alti livelli di acuta insicurezza alimentare.

Il nunzio ha sottolineato che è importante una cooperazione multilaterale responsabile che generi una solidarietà proattiva con quanti sono affamati.

La Santa Sede ha anche chiesto a tutte le parti di ritornare a dialogare sull’Iniziativa del mar Nero, notando il bisogno di assicurare che le sanzioni economiche evitino di avere effetti negativi sulla sicurezza alimentare a livello locale globale. La Santa Sede ha anche chiesto a tutti gli Stati di proteggere la casa comune dal cambiamento climatico, anche perché questo ha effetti sul sistema alimentare locale.