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Chi non ama rimane nella morte. Solennità di Cristo Re

Il commento al Vangelo domenicale di S. E. Mons. Francesco Cavina

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Siamo giunti, carissimi fratelli e sorelle, alla fine dell’anno liturgico e per questa ragione la Chiesa celebra la solennità di Cristo Re dell’Universo. In questa domenica risuona alle nostre orecchie e dentro al nostro cuore una parola che offre una grande certezza alla nostra vita: ”Bisogna - così afferma san Paolo nella seco lettura - che Cristo regni finché non abbia posto tutti i nemici sotto i suoi piedi”. E’ come se ci venisse detto, con un linguaggio più vicino a noi: “Dio ha deciso che Cristo regni…e quindi ciò accadrà necessariamente”.

E così trova, finalmente, risposta una domanda che tutti, prima o poi ci poniamo nel nostro quotidiano faticare: verso che cosa cammina la nostra storia umana, vista la sconcertante fragilità del bene e la sua, apparente almeno, sconfitta? Nel testo di san Paolo che oggi leggiamo c’è un’altra indicazione che merita di essere presa in considerazione. Egli dice: "e poi sarà la fine". Questa parola non ha un significato prevalentemente cronologico; indica il punto di arrivo di tutta la storia umana. Esso consiste nella vittoria di Cristo sulla morte e su tutte le altre potenze nemiche e la consegna di ogni realtà al Padre perché Questi la riempia della sua stessa vita divina.

La pagina paolina, parla anche di "poteri avversi", di "ultimo nemico ad essere annientato. Questi poteri sono avversi sono nemici dell’uomo, di noi, che siamo chiamati a divenire in Cristo della stessa vita divina. Possiamo anche dire che in ultima analisi sono nemici di Cristo stesso venuto precisamente perché l’uomo abbia la vita e l’abbia in abbondanza. In questa prospettiva, il nemico che sintetizza e riassume in sé ogni inimicizia contro l’uomo è la morte, la quale distrugge, corrompe la persona umana nella sua interezza. E non a caso la morte è il male che temiamo di più. Per cui, finalmente, chiederci quale è la meta finale della storia umana è come chiederci se l’ultima parola la dirà la morte.

Ecco dunque il grande annuncio, il centro del cristianesimo: "Cristo è risuscitato …". Egli non risorge solo per sè, ma è il primo di una moltitudine di fratelli, che sono i suoi discepoli, ossia coloro che credono in Lui. Uniti a Lui anche noi vinceremo sulla morte. Cristo è causa di vita. Nel Cristo risorto, dunque, anche ciascuno di noi è stato destinato alla risurrezione.

Dentro alla nostra storia, dentro alla nostra persona è in atto un conflitto profondo fra la potenza della risurrezione di Cristo e le varie forze di morte che operano in noi e fuori di noi. E’ lo scontro fra la "cultura della vita”, generata dalla fede nella Risurrezione del Signore e la "cultura della morte”, generata da chi ritiene disperatamente che la morte sia l’inevitabile destino finale dell’uomo.

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Viene dunque da chiedersi: Come posso sapere a quale delle due culture sto dando il mio apporto? Quale è il criterio di appartenenza? Risponde la pagina evangelica.

La scelta di campo viene fatta in ragione del rapporto che si istituisce con la  persona di Cristo. Essendo Egli "primizia di coloro che sono morti", solo nell’unione con Lui noi diventiamo i viventi. Ma ciò che il Vangelo oggi ci insegna è che l’unione con Cristo o il rifiuto di Lui si realizza in modo mediato, ossia nell’accoglienza o nel rifiuto di coloro che si trovano in qualsiasi forma di necessità. L’apostolo Giovanni, ricordando questo insegnamento del Signore, scriverà poi nella sua prima lettera: "noi sappiamo che siamo passati dalla morte alla vita, perché amiamo i fratelli. Chi non ama rimane nella morte" (3,14).

Dunque, il vero conflitto che avviene nel cuore di ciascuno di noi e nella società è fra chi in Cristo diviene capace di amare e chi ritiene, invece, ogni uomo estraneo ad ogni uomo.