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Plenaria CCEE, il presidente Grušas: “La nostra priorità è evangelizzare”

Il cambio di sede. La cultura della morte. La necessità di evangelizzare. I temi europei che interrogano i vescovi

Arcivescovo Gintaras Grušas | L'arcivescovo Gintaras Grušas, presidente del CCEE, durante il discorso introduttivo della plenaria del Consiglio a Malta, 27 novembre 2023 | Archdiocese of Malta / Ian Noel Pace Arcivescovo Gintaras Grušas | L'arcivescovo Gintaras Grušas, presidente del CCEE, durante il discorso introduttivo della plenaria del Consiglio a Malta, 27 novembre 2023 | Archdiocese of Malta / Ian Noel Pace

Al termine di una plenaria densa di temi, che ha portato alla decisione storica di trasferire la sede del Consiglio delle Conferenze Episcopali di Europa a Roma, l’arcivescovo Gintaras Grušas, presidente del CCEE, fa con ACI Stampa il punto dei lavori. E sottolinea che la priorità per i vescovi di Europa è quella dell’evangelizzazione.

Eccellenza, quale è la priorità che scaturisce dalla vostra assemblea?

Non è una priorità nuova in senso assoluto, ma è di certo il nostro compito principale: l’evangelizzazione. Siamo in un continente che un tempo è stato fucina di missionari, ma dove oggi i fedeli diminuiscono. Prima l’Europa era il bastione del cristianesimo, e invia missionari in tutto il mondo. Oggi siamo chiamati ad essere missionari nei nostri Paesi. La Chiesa in altre parti del mondo, come Africa ed Asia, cresce. Nel nostro continente, invece, diminuisce. Dobbiamo ripartire da qui.

Quali sono le vostre maggiori preoccupazioni?

Da due anni siamo interrogati da una guerra che si consuma nel cuore dell’Europa, in Ucraina. Il conflitto che è scoppiato in Terrasanta a seguito degli attacchi di Hamas dello scorso 7 ottobre ci ha scioccato. Siamo preoccupati dalla situazione che vivono i cristiani in Nagorno Karabakh. Le nostre maggiori preoccupazioni arrivano, insomma, da contesti di guerra. La sfida della costruzione del miracolo della pace è, oggi, probabilmente la più grande per la Chiesa che è in Europa. Siamo non solo chiamati a denunciare le ingiustizie, ma anche ad assistere nel processo di riconciliazione e guarigione perché si ottenga una pace giusta, aiutando i popoli ad avere di nuovo fiducia gli uni degli altri. Dobbiamo costruire una Europa riconciliata, fondata sul dialogo, e radicata nella certezza che – come diceva Giovanni Paolo II nella Ecclesia in Europa – “Cristo è speranza di Europa”.

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Ma in una Europa che vede diminuire i fedeli e che si interroga su guerre che scoppiano sul suo stesso suolo, possiamo ancora dire che Cristo è speranza di Europa?

Non solo possiamo, ma dobbiamo dirlo! Siamo convinti che ripartendo da Gesù Cristo e dalla sua verità salvifica il continente europeo possa ritrovare sé stesso. L’Europa ha forti radici cristiane, che accomunano tutti i suoi popoli, anche quelli in cui la secolarizzazione sembra stia prendendo il sopravvento. La Chiesa è, tuttora, segno di speranza con le sue tante attività in favore degli ultimi, con la sua presenza in situazioni sociali difficile, con la sua prossimità. Ma il nostro impegno sarebbe nullo se non partisse dall’Eucarestia, dalla nostra fede in Gesù Cristo vero Dio o vero uomo. Non saremmo altro che una “Ong pietosa”, come ammonisce Papa Francesco. Solo se crederemo davvero in Cristo saremo in grado di costruire una civiltà dell’amore. Sì, c’è ancora la speranza di Cristo in Europa, ne siamo convinti.

Come si può trovare la speranza in Cristo?

Se cerchiamo una via d’uscita solo a livello umano, possiamo vedere solo la croce che portiamo. Dobbiamo alzare lo sguardo al Signore da cui viene la soluzione ai nostri problemi. Dovremmo fare il nostro lavoro, ma è da Lui che viene la pace, la speranza e il conforto nella sofferenza che proviamo a causa della guerra, dei problemi economici e della crisi migratoria. Dobbiamo aiutare le persone ad alzare lo sguardo verso l'alto. Ciò aiutò molti prigionieri dei campi di concentramento tedeschi a sopravvivere durante la Seconda Guerra Mondiale e dei campi sovietici dopo la guerra. Anche in una situazione così terribile, si può guardare il cielo e vedere qualcosa di più delle difficoltà quotidiane"

Perché allora l’Europa sembra andare in una direzione completamente opposta? Nella sua prolusione, lei ha citato la “cultura dela morte” che sembra prevalere in molti Paesi europei?

Radicare la nostra speranza in Cristo è il più grande antidoto alla cultura della morte che si sta diffondendo, spesso nel disinteresse nei media. L’eutanasia per i bambini recentemente approvata in Olanda, l’intenzione di inserire un presunto diritto all’aborto nella Costituzione francese, la morte di Indi Gregory raccontano che ormai si vuole decidere sulla morte, non sulla vita.

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Quale è la preoccupazione?

Dietro il tema della dignità della morte si nasconde l’idea che ci sono vite che non sono degne di essere vissute. La cultura della morte è la cultura dello scarto, che non considera le persone come persone, ma semplicemente come ingranaggi di un meccanismo da lasciare andare se non possono avere una qualche utilità. Non è accettabile che un giudice decide della vita e della morte di qualcuno. Mi aspetto, piuttosto, che un giudice legiferi per permettere a tutti di vivere la propria vita in modo degno fino in fondo, dal concepimento alla morte naturale, senza che nessuno sia discriminato in questo, nemmeno in particolari e non curabili condizioni di salute.

Buona parte dei lavori della vostra assemblea sono stati dedicati al Sinodo. Quale è il contributo della Chiesa di Europa al Sinodo?

Dobbiamo prima attendere le linee guida promesse da parte della Segreteria generale del Sinodo. Tuttavia, sappiamo che le Conferenze Episcopali saranno chiamate a muovere i primi passi.

Ci saranno sicuramente incontri di teologi e canonisti in ogni Paese per riflettere sulla sintesi finale della prima sessione, sui prossimi passi e sulle strutture a servizio di una Chiesa più sinodale. Successivamente le conferenze episcopali cederanno l'iniziativa alle diocesi.

Durante la vostra assemblea avete deliberato la decisione di spostare la sede a Roma. Perché questa scelta?

Il CCEE aveva sede a San Gallo dal 1977, e siamo grati all’arcidiocesi di San Gallo per il sostegno che ci ha dato in tutti questi anni. Tuttavia, sentivamo giunto il momento per il CCEE di muoversi vicino al Successore di Pietro. Avere una sede a Roma darà nuova centralità ai lavori del Consiglio, che – ricordo – è composto dai presidenti della Conferenza Episcopale di Europa. Il nuovo ufficio potrà essere una “casa” per i vescovi di Europa di passaggio nella capitale, e avere un luogo che i vescovi possano visitare più spesso e dove troviamo la più grande concentrazione di esperti e possibili collaboratori provenienti da ogni parte d’Europa. Siamo convinti che la sede a Roma darà un nuovo slancio all’attività del CCEE dei prossimi anni.