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Diplomazia Pontificia, verso l'Urbi et Orbi di Pasqua: i possibili temi

Di cosa parlerà Papa Francesco nell’Urbi et Orbi di Pasqua? Quale sarà il suo appello per la pace?

Urbi et Orbi di Pasqua 2023 | Alcuni momenti prima dell'Urbi et Orbi di Pasqua 2023 | Vatican Media / ACI Group Urbi et Orbi di Pasqua 2023 | Alcuni momenti prima dell'Urbi et Orbi di Pasqua 2023 | Vatican Media / ACI Group

Si parla di una iniziativa per la pace che si terrà in Vaticano nella seconda settimana dopo Pasqua, si parla di altri incontri di ambasciatori per affrontare la questione della guerra in Ucraina (ma non ci dovrebbe essere un incontro con il Papa, come si pensava all’inizio), ma la posizione di Papa Francesco sulla pace è sempre stata unica: prima si arriva al cessate il fuoco, qualunque sia la situazione oggettiva, e poi si può parlare di pace.

Su questo, Papa Francesco è stato particolarmente lineare. Ha utilizzato questa linea sul conflitto in Ucraina, al punto da chiedere all’Ucraina di considerare di arrivare ad un cessate il fuoco nonostante la situazione sul campo – in maniera, c’è da dire, abbastanza ardita, tanto da costringere il Cardinale Pietro Parolin, Segretario di Stato vaticano, a spiegare la posizione della Santa Sede in una intervista successiva. E la linea è stata sempre la medesima anche di fronte al conflitto in Terrasanta, a seguito dell’escalation causata dall’attacco di Hamas del 7 ottobre scorso.

Per questa Pasqua, Papa Francesco ha voluto lavorare personalmente sui testi della Via Crucis al Colosseo, modellandola sul tema della preghiera, in quello che sembra una sorta di testamento spirituale. Due anni fa, quando volle una donna ucraina e una donna russa insieme in una stazione della Via Crucis, forzando una riconciliazione che era ancora difficile di fronte agli orrori della guerra, si trovò le critiche di molti e fu costretto diplomaticamente a cambiare il piano, lasciando le due donne in silenzio in preghiera davanti la croce, accogliendo un suggerimento di Sua Beatitudine Sviatoslav Shevchuk, capo della Chiesa Greco Cattolica Ucraina.

L’anno scorso, decise di raccogliere testimonianze sulla guerra, divulgando i testi solo all’ultimo momento. Quest’anno, ha deciso di prendere in mano la situazione, scrivendo tutto di suo pugno. Quanto, di quelle parole del Papa, si riverbererà anche nell’urbi et orbi di Pasqua?

                                                           FOCUS URBI ET ORBI

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I temi dell’Urbi et Orbi di Pasqua

Di cosa potrebbe parlare Papa Francesco nell’Urbi et Orbi di Pasqua? Sarà immancabile il riferimento alla guerra in Ucraina, perché il Papa non ha mai dimenticato di fare un appello per la “martoriata ucraina” ogni qual volta ce ne sia stato bisogno. Il Papa potrebbe anche fare un appello per la liberazione di tutti i prigionieri di guerra, da entrambe le parti, una formula che sembra essere molto sostenuta in Ucraina.

E di liberazione degli ostaggi il Papa potrebbe parlare riferendosi alla situazione a Gaza. La situazione in Terrasanta è, da sempre, tema centrale di tutti i messaggi urbi et orbi, e la Santa Sede in più occasioni ha chiesto una risoluzione del conflitto con due Stati internazionalmente riconosciuti e una Gerusalemme a statuto speciale. Ora, la situazione che si è creata in Terrasanta dopo gli attacchi di Hamas del 7 ottobre hanno visto la Santa Sede da una parte condannare fermamente gli attacchi, dall’altro chiedere più volte il cessate il fuoco a Gaza, chiedendo agli israeliani di rivedere la loro politica – che comunque è compresa in linea di principio. Saranno da vedere i toni che userà il Papa nel messaggio urbi et orbi.

Ci sarà molto probabilmente un accenno alla situazione di Haiti, molto complessa, e uno alla situazione in Myanmar, sempre nel cuore del Papa che ha visitato il Paese nel 2017. Non dovrebbe mancare anche una menzione della “guerra dimenticata” in Yemen, senza mettere da parte la Siria, dove il Papa addirittura volle che il nunzio fosse cardinale.

Papa Francesco guarderà anche continente per continente, toccando l’Africa con la situazione in Sudan e Sud Sudan e in Mozambico, ma anche in Nigeria, senza trascurare l’America Latina, dove non dovrebbe mancare un ricordo del Venezuela. Anche la situazione nel Caucaso dovrebbe essere parte dell’urbi et orbi di Pasqua.

Ma è da pensare che il Papa voglia chiedere anche in maniera concreta la pace. Ha dedicato alla preghiera le meditazioni della Via Crucis scritte di suo pugno, e probabilmente sta pensando ad un appello per la pace che sia molto spirituale. Più volte Papa Francesco ha ribadito in quest’ultimo periodo che la guerra è sempre una sconfitta.  

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                                                           FOCUS SEGRETERIA DI STATO

La diplomazia pontificia spiegata dall’arcivescovo Gallagher

In una intervista con la rivista dei gesuiti USA America, l’arcivescovo Paul Richard Gallagher, ministro vaticano per i Rapporti con gli Stati, ha affrontato tutte le questioni che stanno a cuore alla diplomazia pontificia, partendo dalla partecipazione della Santa Sede alla Conferenza per la Sicurezza di Monaco dello scorso febbraio.

In quella conferenza, ha detto il “ministro degli Esteri” vaticano, si poteva percepire una “ansia palpabile riguardo la situazione e la sicurezza internazionale”, in particolare per le situazioni su Ucraina e Gaza. Se la situazione a Gaza, ha considerato Gallagher, è preoccupante per la “evidente gravità della situazione umanitaria”, la guerra in Ucraina “è andata avanti per lungo tempo” e sembra che non ci sia fine.

Per quanto riguarda Gaza, Gallagher concede che “la percezione della minaccia” di Hamas su Israele sia percepita diversamente in Israele che nel resto della comunità internazionale, e per questo “non vogliono fare compromessi sulla loro posizione e sulle politiche che stanno seguendo”.

Tuttavia, ha aggiunto, “come Santa Sede, non siamo d’accordo sulla reazione militare”, mentre ovviamente “Israele è moto d’accordo con gli appelli del Papa per il rilascio di ostaggi, che sono stati costanti”.

In tutto questo, il veto USA al Consiglio di Sicurezza riguardo le politiche di Israele a Gaza testimonia che “la posizione degli Stati Uniti è di continuare a insistere sulla modifica delle politiche di Israele”, mentre la Santa Sede non ha il compito di determinare se quello che succede a Gaza.

A livello personale, l’arcivescovo Gallagher dice che non si possa usare la parola genocidio perché “è un giudizio definitivo, che ha un significato preciso nella legge internazionale”, ma che molti usano l’aggettivo genocida considerando il conto di circa 32 mila morti. Ma per Gallagher la questione è “cercare di porre una fine alla situazione”.

La Santa Sede, tuttavia, ritiene preoccupante “la totale insufficienza dell’aiuto umanitaria” e i rapporti del pericolo imminente di carestia, tra l’altro continuamente denunciate dalla Santa Sede.

Gallagher sottolinea poi che la Santa Sede non appoggia la decisione di togliere finanziamenti all’UNRWA proposta da Israele, sebbene le accuse contro l’UNRWA di avere al suo interno simpatizzanti di Hamas sono “prese molto seriamente”.

Allo stesso tempo, però, la Santa Sede riconosce il contributo dato dall’UNRWA non solo a Gaza, ma anche a quattro o cinque nazioni in Medio Oriente e in Palestina.

Durante la sua recente visita in Giordania, l’arcivescovo Gallagher ha anche incontrato rappresentanti dell’UNRWA- Parlando del suo recente viaggio, Gallagher ha detto di avere avuto l’impressione che “c’è profonda tristezza e delusione che la situazione sia deteriorata nelle loro relazioni con Israele”.

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La Santa Sede punta ancora alla soluzione dei due Stati tra Israele e Palestina, con uno status speciale per Gerusalemme perché questa è capitale delle tre grandi religioni monoteiste.

Affrontando la situazione dell’Ucraina, l’arcivescovo Gallagher ha spiegato che no, il Papa non ha chiesto all’Ucraina di arrendersi, e parlando di “bandiera bianca” il Papa parlava soprattutto di “invocare protezione in un processo di negoziati, che alla fine dovrà arrivare” dato che “tutte le guerre terminano con qualche forma di negoziato”.

Insomma, il Papa non chiede all’Ucraina di arrendersi, dice piuttosto che deve trovare il coraggio “di andare avanti e invocare la protezione del negoziato”, cosa che è la posizione della Santa Sede, perché la Russia ha “molto spesso detto che intende negoziare”. Tuttavia, “la Russia non stabilisce le condizioni necessarie”, perché le condizioni necessarie in potere della Russia sono “fermare gli attacchi, fermare i missili. Questo deve fare la Russia!”.

La Santa Sede supporta “l’integrità territoriale dell’Ucraina”, perché i confini delle nazioni “non possono essere cambiati con la forza”, e la consideriamo “una posizione giusta”. Allo stesso tempo, la Santa Sede riconosce anche il diritto dell’Ucraina di “fare alcuni passi che potrebbero rendere possibile un accordo per una pace giusta, anche riguardo i suoi territori. Ma non è qualcosa che possiamo imporre o aspettarci dall’Ucraina”.

In Russia, il cardinale Matteo Zuppi, come inviato del Papa, è stato ricevuto a un livello diplomatico più basso di come ricevuto in Russia, Cina e Stati Uniti. Gallagher dice che la Russia ha sempre sostenuto di credere che far incontrare Zuppi con un consulente presidenziale è il livello adeguato, considerando il cardinale con un inviato speciale del Papa. “Lo accettiamo – ha detto il “ministro degli Esteri” vaticano – ma ci piacerebbe pensare che in futuro, se il cardinale Zuppi tornasse a Mosca, sarà ricevuto ad un livello più alto”.

Secondo Gallagher, non c’è al momento possibilità che il Papa vada a Mosca, anche se il Papa ha sempre detto di voler andare nelle due capitali – Mosca e Kyiv – nello stesso viaggio.

Capitolo Cina. L’arcivescovo Gallagher ha notato che l’accordo sulla nomina dei vescovi scade il prossimo ottobre, e dovrà essere rinnovato in caso di continuazione, considerando “l’accordo come un mezzo utile per la Santa Sede e le autorità cinesi” per affrontare la questione delle nomine dei vescovi.

Ovviamente, la Santa Sede desidera che l’accordo “funzioni meglio, con più risultati e ancora crediamo si possa migliorare”, tuttavia “non stiamo parlando della possibilità di chiuderlo, dato che crediamo che si possano e si debbano fare miglioramenti”.

Non ci sono sviluppi “su altre questioni” come le relazioni diplomatiche, ma piuttosto c’è l’idea di un ufficio della Santa Sede a Pechino, cosa su cui non c’è stata apertura cinese sulla questione.

Si sta parlando anche di “normalizzare” la situazione della cosiddetta “Chiesa sotterranea” in Cina, e la Santa Sede ha apprezzato che si è permesso ai vescovi cinesi di venire a Roma per il Sinodo – gli stessi vescovi che sono stati al Sinodo 2023 dovrebbero tornare per il “secondo tempo” del Sinodo sulla sinodalità”, anche perché “se si dicesse che ne mandano altri, questo sarebbe inaccettabile” considerando il Sinodo 2024 come composto dagli stessi membri del Sinodo 2023.

Gallagher sottolinea che ci sono stati anche buoni scambi tra il vescovo di Hong Kong e i vescovi nella Cina continentale, con uno scambio di visite.

Nel 2020, Gallagher incontrò a Monaco la sua controparte cinese. Questo incontro non si è ripetuto, nemmeno a Monaco, anche perché non richiesto dalle due parti, anche perché “la Cina vuole sviluppare le cose in maniera graduale e naturale, magari spostando il dialogo ad un livello lievemente più alto”, forse anche implicando il Cardinale Pietro Parolin (“è una possibilità, non si è pianificato nulla di concreto”) o anche l’incontro di Papa Francesco con il presidente cinese, su cui non ci sono piani perché da parte cinese si considera che i piani non siano maturi.

Rimanendo in Asia e in termini di nazioni comuniste, Santa Sede e Vietnam sono a un passo di distanza dalle piene relazioni diplomatiche, e l’arcivescovo Gallagher sarà nel Paese ad aprile. “La priorià – dice – è vedere cosa funzione, cosa sia di beneficio alla comunità cattolica, ai vescovi e ai fedeli della Chiesa, e poi che le autorità del Vietnam si abituino ad “avere qualcuno che rappresenti la Santa Sede lì”.

Si parla anche di un viaggio del Papa nel Paese, difficile senza relazioni diplomatiche piene. Gallagher concede che sarebbe “inusuale, ma non da escludere”, e che il Vietnam potrebbe essere aggiunto ad una possibile visita del Papa in Indonesia, Singapore, Timor Est e Papua Nuova Guinea.

Il Cardinal Parolin manda un videomessaggio alla rassegna “Cinema per il creato”

La scorsa settimana, il Cardinale Pietro Parolin, Segretario di Stato vaticano, ha inviato un videomessaggio alla rassegna “Cinema per il Creato” di San Giorgio in Bosco, a Padova, cominciata lo scorso 9 febbraio. Il videomessaggio è arrivato nella sessione conclusiva della Rassegna, nell’ambito della sezione “Bellezza e amore per l’Incontro”, mentre il tema di tutta la rassegna è “Nutriamoci di bellezza e amore, energie per salvare il mondo”.

Un titolo, ha detto il cardinale Parolin, “significativo e di particolare attualità nel preoccupante contesto storico in cui siamo immersi”.

Il cardinale ha detto che “non vi sono frontiere, mura politiche entro le quali potersi nascondere”, e che ci vuole “una trasformazione delle politiche internazionali così come dei nostri comportamenti quotidiani”, per favorire “in entrambi i casi un cambiamento dei modelli di produzione e di consumo degli stili di vita” per una cura della casa comune che non va considerata solo come ambiente, ma anche come “uomini e donne che in esso vivono e le generazioni future”

Il Cardinale Parolin ha sottolineato che solo tramite il riconoscimento del dono del creato “verrà spontaneo prendercene cura, e quindi passare dalla cultura dello scarto, attualmente preponderante alla nostra società, a una cultura della cura”.

                                                                       FOCUS EUROPA

Ancora sull’incontro UE – Grulac

Come riferito la scorsa settimana, il Cardinale Parolin è stato ospite di onore ad un incontro tra ambasciatore dell’Unione Europea e ambasciatori dell’area GRULAC, il cui decano è l’ambasciatore di Panama presso la Santa Sede.

Secondo informazioni diffuse dopo l’incontro, il Cardinale Parolin ha ribadito la volontà della Santa Sede di facilitare il dialogo, promuovere lo sviluppo umano integrale, supportare una rinnovata interazione politica a tutti i livelli tra le due regioni sulla base di valori e interessi comuni.

Il Segretario di Stato vaticano ha chiesto una cooperazione multilaterale su sfide come il cambiamento climatico, lo sviluppo sostenibile, le migrazioni, il traffico di droga, l’Agenda ONU 2030 e la possibilità di supportare le democrazie deboli.

Il cardinale Parolin ha anche sottolineato che la protezione dell’ambiente è una priorità per la Santa Sede. Ha fatto riferimento, in particolare, al Sinodo speciale per la Regione panamazzonica e le celebrazioni del decimo anniversario dell’enciclica Laudato Si, che cadono nel 2025, anno giubilare. Il Cardinale Parolin ha anche sottolineato che l’educazione debba essere al centro degli sforzi, anche per quanto riguarda il cambiamento climatico.

L’ambasciatore dell’UE presso la Santa Sede Alexandra Valkenburg ha sottolineato che il summit non è un evento occasionale, e che si è stabilita una road map verso il prossimo summit in Colombia del 2025, riaffermando l’impegno forte e continuato della cooperazione UE con la regione dell’America Latina.

Albania, il ministro degli Esteri Hasani in Vaticano

Lo scorso 25 marzo, Igli Hasani, ministro albanese per l’Europa e gli Affari Sociali, si è incontrato in vaticano con l’arcivescovo Paul Richard Gallagher.

Secondo un comunicato del ministero di Tirana, durante l’incontro il ministro Hasani ha enfatizzato che le relazioni dell’Albania con il Vaticano vanno oltre le relazioni istituzionali. I due “ministri degli Esteri” hanno discusso gli sviluppi nella regione, e si sono specialmente focalizzati sulla necessità di normalizzare il dialogo e sulla stabilità in funzione della integrazione europea delle nazioni nella Regione.

Partecipando alla conferenza “Dialogo e Fraternità Umana per la pace”, organizzata dall’ambasciatore di Albania presso la Santa Sede Majlinda Frangaj, Hasani ha poi sottolineato che “in un mondo caratterizzato dai conflitti, l’esperienza albanese mostra che il dialogo e la fraternità umana sono gli elementi essenziali per garantire la pace”, e che l’Albania è “la prova vivente del potere trasformativo di questi elementi, offre un esempio unico nel contesto”.

Il ministro ha anche sottolineato che “l’impegno dell’Albania al dialogo e alla fraternità umana offre speranza per un futuro pacifico, caratterizzato dalla cooperazione, la comprensione e il rispetto mutuo”.

Il primo ministro del Liechtenstein da Papa Francesco

Albert Frick, primo ministro del Liechtenstein, ha avuto un baciamano con Papa Francesco a margine dell’udienza generale del 20 marzo 2024. Lo riferisce il servizio stampa parlamentare del piccolo Stato alpino. La breve conversazione, in un momento non ufficiale, ha riguardato – riferisce sempre il servizio parlamentare – la legge sulle comunità religiose che sta per essere licenziata a Vaduz.

L’incontro ha avuto luogo poco dopo che l’amministrazione dell’arcidiocesi, il vescovo Benno Elbs, ha scritto ai membri del Parlamento regionale chiedendo di attendere la nomina del nuovo vescovo prima di mettere all’ordine del giorno la legge sulle comunità religiose.

La discussione sulla legge è stata comunque calendarizzata ad aprile.

La legge è una conseguenza del rapporto sulle comunità religiose presentato il 7 febbraio 2024 dal primo ministro di Vaduz Daniel Risch, il vicesegretario generale Eve Beck e da Emmanuel Schädler, che includeva la richiesta di una legge sulle comunità religiose.

Lo scopo della legge è quello di trasformare la situazione giuridica del Liechtenstein, passando da un Stato con una religione di Stato a una parità di trattamento giuridico tra le Chiese locali e le comunità religiose. Ci vuole, per questo, un emendamento costituzionale. Tra le comunità religiose riconosciute dalla legge figurano la Chiesa protestante e la Chiesa evangelica luterana. Grazie alla riforma ricevono il riconoscimento senza dover seguire una procedura speciale.

Il vescovo Elbs ha chiesto di rinviare la discussione a dopo la nomina dell’arcivescovo di Vaduz.

                                                           FOCUS ASIA

Myanmar, il messaggio del Cardinale Bo

Il Cardinale Charles Maung Bo, arcivescovo di Yangon e presidente della Conferenza Episcopale del Myanmar, ha chiesto, nel suo consueto messaggio di Pasqua, di unirsi “all’accorato appello di pace che emana dal profondo del cuore di Papa Francesco ed echeggia in tutto il nostro mondo ferito”.

Il messaggio è intitolato “Abbracciare l’alba della pace”, ed è l’occasione per il cardinale di ripercorrere la sofferenza del popolo birmano, che si trova da tre anni in situazione di conflitto a seguito del golpe militare del febbraio 2021.

Il cardinale ha chiesto di non trascurare, nelle preghiere, “le grida angosciate degli innocenti, le lacrime degli oppressi e i sogni infranti di coloro che si trovano nel fuoco incrociato dei conflitti, soprattutto i nostri giovani”.

L’arcivescovo ha chiesto di riflettere sugli insegnamenti di Gesù Cristo che “ha esemplificato la vera forza attraverso umili atti di servizio”, e – guardando allo scenario internazionale – esorta ad “alzare le voci in fervente preghiera per la pace”.

“Di fronte ai conflitti e ai problemi che vive oggi il mondo – scrive il Cardinale Bo - ravviviamo la nostra speranza confidando in Cristo risorto, che ha vinto la morte e ci ha donato la vera vita. Questa speranza genera luce alla vita, supera lo scoraggiamento, genera solidarietà e contrasta tutti i semi di violenza che una cultura dell’indifferenza e del confronto semina nelle nostre società e prepara il terreno alle guerre”.

Non sarà una Pasqua semplice, per la comunità cattolica birmana, mentre si aggrava la crisi umanitaria. I numeri parlano di oltre 2,6 milioni di sfollati interni, mentre 18,6 milioni di persone necessitano di assistenza umanitaria, e in aggiunta i prezzi di cibo, carburante e altri beni di prima necessità continuano a salire.

Un quarto della popolazione birmana affronta attualmente fame e malattie a causa del collasso del sistema sanitario, mentre le organizzazioni internazionali hanno denunciato che l’esercito del Myanmar limita l’accesso agli aiuti umanitari.