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Diplomazia Pontificia, Parolin in Giappone, la questione armena, gli spostamenti diplomatici

Cosa ha fatto, chi ha incontrato il cardinale Parolin in Giappone. Gli spostamenti del personale diplomatico. La questione armena

Cardinale Parolin in Giappone | Il cardinale Parolin all'Expo di Osaka, 29 giugno 2025 | Vatican Media Cardinale Parolin in Giappone | Il cardinale Parolin all'Expo di Osaka, 29 giugno 2025 | Vatican Media

Dal 28 giugno all'1 luglio, il Cardinale Pietro Parolin, segretario di Stato vaticano, è stato in viaggio in Giappone. Nel programma, la visita al padiglione della Santa Sede all’Expo di Osaka. Il cardinale ha anche incontrato il primo ministro e la principessa imperatrice del Giappone.

Ci sono stati vari spostamenti di personale diplomatico nella Santa Sede, come succede sempre in questo periodo dell’anno. Una conferenza sull’Armenia è stato motivo di interesse diplomatico allorquando è arrivata la comunicazione che la Segreteria di Stato vaticana ne avrebbe scoraggiato lo svolgimento.

All’inizio della settimana, la vicepresidente del Vietnam è stata in visita da Leone XIV, e ha portato un invito al Papa perché visiti il Paese. In questa settimana, il Papa ha ricevuto anche il primo ministro del Montenegro Milojko Spajić, che in Segreteria di Stato ha avuto un bilaterale in cui si è parlato anche dell’allargamento ai Balcani Occidentali dell’Unione Europea. Il 2 luglio, il presidente polacco Andrzej Duda è stato in visita da Leone XIV, in visita di congedo.

Si è congedato lo scorso 28 giugno l’ambasciatore di Germania presso la Santa Sede Bernard Kotsch, che dal 6 maggio ha ricevuto l’incarico di Segretario di Stato dell’Ufficio Federale degli Esteri. Il 2 luglio, la presidente del Consiglio italiano Giorgia Meloni

                                                           FOCUS GIAPPONE

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Il cardinale Parolin in Giappone, l’incontro con il primo ministro

Dal 28 giugno al 2 luglio, il Cardinale Pietro Parolin, Segretario di Stato vaticano, è stato in Giappone, per partecipare alla giornata della Santa Sede nel padiglione dell’Expo di Osaka. Il viaggio è stato anche occasione per degli incontri bilaterali.

Il 30 giugno, a partire dalle 15.40, il Cardinale Parolin ha avuto un bilaterale con il primo ministro giapponese Ishiba Shigeru. L’incontro è durato circa cinquanta minuti.

Secondo una nota della presidenza del Consiglio giapponese, il primo ministro Ishiba ha prima di tutto espresso le condoglianze per la morte di Papa Francesco e si è congratulato per l’elezione di Leone XIV.

Il primo ministro ha notato che Giappone e Santa Sede hanno sviluppato una lunga e fruttuosa amicizia a partire dallo stabilimento delle relazioni diplomatiche nel 1942. Il Cardinale Parolin, da parte sua, ha espresso la volontà di rafforzare la cooperazione tra Santa Sede e Giappone.

Nel corso dell’incontro, Ishiba e Parolin hanno sottolineato che l’occasione dell’EXPO di Osaka è una opportunità per ulteriormente rafforzare la comprensione mutua e le relazioni amichevoli tra le due nazioni.

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Durante l’incontro, c’è stato anche uno scambio di visione su varie situazioni regionali, incluso il Medio Oriente e l’Asia orientale, nonché delle politiche verso la Corea del Nord, con un focus sulle questioni nucleari e anche sulla questione del ritorno a casa dei prigionieri in Ucraina. Parolin e Ishiba hanno concluso con lo scopo di mantenere una stretta collaborazione tra Vaticano e Giappone nell’affrontare le sfide globali.

Il cardinale Parolin in Giappone, la visita all’Expo

Il 29 giugno, festa dei Santi Pietro e Paolo, è la giornata nazionale del Vaticano, e come tale è stata festeggiata all’Expo di Osaka-Kansai. Il Cardinale Parolin vi ha partecipato.

Nel corso della cerimonia sono state issate le bandiere della Città del Vaticano e del Giappone e sono stati suonati gli inni nazionali di entrambi i Paesi, seguiti da un discorso del ministro dell'Expo Yoshitaka Ito.

Nel suo discorso in occasione della Festa nazionale del Vaticano, il cardinale Parolin ha affermato: "A nome di Papa Leone XIV e a nome mio personale, porgo i miei migliori auguri allo stimato popolo giapponese e i miei più sentiti auguri di benedizioni di prosperità e pace a tutte le persone che vivono in questo Paese".

Il cardinale ha citato diversi eventi commemorati quest'anno che illustrano la lunga storia delle relazioni tra Giappone e Vaticano, tra cui il 470° anniversario della prima udienza di Bernardo di Kagoshima con un Papa nel 1555, quando incontrò Papa Paolo IV.

Il Segretario di Stato vaticano ha poi sottolineato che a marzo ricorrerà il 440° anniversario dell'arrivo a Roma dell'ambasciata Tensho, il primo inviato giapponese in Europa, e della sua udienza con papa Gregorio XIII, nonché il 410° anniversario dell'udienza dell'ambasciata Keicho con papa Paolo V nel 1615.

Il cardinale ha affermato che questi primi incontri storici hanno segnato l'inizio di una relazione tra i due Paesi che ha resistito alla prova del tempo, e ha espresso la speranza che questa relazione possa continuare ad approfondirsi in futuro. Secondo Parolin, il rafforzamento dei legami diplomatici stabilitipiù di 80 anni fa sono dovuti ai numerosi valori comuni e alla fruttuosa cooperazione.

In particolare, ha affermato che la pace e la stabilità, nonché gli sforzi comuni per frenare la diffusione disordinata degli armamenti, sono priorità per entrambi i Paesi, e ha ulteriormente approfondito il suo desiderio di pace, affermando che non dobbiamo dimenticare che quest'anno ricorrono 80 anni dai bombardamenti atomici di Hiroshima e Nagasaki.

Il padiglione vaticano ha come tema “Bellezza e Speranza”, che – ha detto Parolin – sono valori “essenziali per i cattolici, perché riflettono Cristo e la sua opera nel corso della storia”, perché Cristo “è la massima espressione della bellezza divina”, ma anche “speranza dell’umanità”.

Il cardinale Parolin ha poi presentato il tema della “speranza” come strettamente legato al significato di “bellezza”.

Per i cristiani – ha detto - la speranza - radicata nella fiducia in Dio e nell'amore per l'umanità, non si limita al desiderio di successo personale, ma si traduce in sforzi concreti per il bene comune.

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Il cardinale Parolin ha affermato che la virtù della speranza non è mai stata così necessaria come oggi, in un'epoca segnata da così tanti conflitti e da enormi problemi globali, in cui il futuro è più temuto che sperato, ed è nella speranza che possiamo trovare la libertà dalla paura e l'incoraggiamento all'impegno e all'azione.

Dopo il saluto del cardinale Parolin, si è tenuto un concerto per commemorare la Festa Nazionale del Vaticano. La Messa dell'incoronazione in Do maggiore K. 317 di Mozart è stata eseguita da oltre 150 persone, tra cui un coro composto da bambini e studenti provenienti da Nagasaki, Hiroshima e Osaka, nonché solisti e un'orchestra diretta da Tomomi Nishimoto.

Quel pomeriggio, il cardinale Parolin ha celebrato la messa con i vescovi giapponesi presso la chiesa cattolica Tamatsukuri di Osaka (cattedrale di Santa Maria, cattedrale di Osaka Takamatsu).

                                                           FOCUS VIETNAM

Un viaggio in Vietnam per Leone XIV?

Dopo che il vicepresidente del Vietnam Vo Thi Ahn Xuan ha fatto visita a Leone XIV il 30 giugno, i media vietnamiti hanno diffuso la notizia che il Papa ha intenzione di visitare il Vietnam per “mostrare la sua vicinanza alla Chiesa cattolica e ai cattolici vietnamiti, nonché per rafforzare le relazioni tra Vietnam e Vaticano”. Si tratta di un dettaglio importante, non presente nel comunicato vaticano. Il Vietnam, infatti, è uno dei pochi Paesi che ancora non ha legami diplomatici con la Santa Sede. Ma si è a un passo dallo scambio di ambasciatori, e sarebbe un punto di svolta importantissimo per il Paese.

La visita della vicepresidente Vo Thi è, d’altra parte, un segno chiaro della volontà del Vietnam di proseguire sulla strada delle buone relazioni con la Santa Sede. Negli ultimi venti anni, le visite di alto livello da parte di esponenti del Paese socialista si sono succedute. Nel 2005 era arrivato in Vaticano il vice primo ministro Vu Khoan. Nel 2007, era arrivato il primo ministro Nguyen Tan Dung.

A seguire, si erano succeduti in Vaticano una serie di altri alti dirigenti vietnamiti come il presidente Nguyen Minh Triet (dicembre 2009), il segretario generale Nguyen Phu Trong (gennaio 2013), il presidente Tran Dai Quang (novembre 2016), il presidente dell'Assemblea nazionale Nguyen Sinh Hung (marzo 2014), il vice primo ministro generale Truong Hoa Binh (ottobre 2018), e una delegazione di sedici membri del Partito Comunista del Vietnam aveva fatto visita a Papa Francesco nel gennaio 2024.

La visita cruciale era però quella del luglio 2023, quando era arrivato in Vaticano l’allora presidente del Vietnam Vo Van Thuong, per definire il regolamento che avrebbe portato la Santa Sede ad avere un rappresentante residente ad Hanoi. Fino a quel momento, il nunzio a Singapore era anche rappresentante non residente in Vietnam. La nomina di un rappresentante residente, ovvero di un rappresentante con “un indirizzo ufficiale” nella capitale vietnamita, è l’ultimo passo precedente all’instaurazione delle piene relazioni diplomatiche.

Per arrivare a questo punto, il percorso è stato lungo e, a volte, accidentato.  Dal 1975tutti i rapporti tra Vietnam e Santa Sede furono praticamente interrotti. Nel 1989, il cardinale Roger Etchegaray, al tempo presidente del Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace, visitò il Vietnam e aiutò a riprendere il dialogo. Un dialogo che andò avanti sotto traccia fino allo storico incontro tra Benedetto XVI e il primo ministro di Hanoi Nguyen Tan Dung in Vaticano nel 2007.

Un anno dopo l’incontro, fu costituito il gruppo di lavoro congiunto Vietnam e Santa Sede, che si è finora incontrato undici volte.

La grande svolta è arrivata al 10mo Ciclo di incontri tra Vietnam e Santa Sede del marzo 2023, quando sono stati presi accordi su dove sarà situata la sede, sul numero del personale, sulle attività da svolgere e sul rapporto tra il Rappresentante Residente e lo Stato

A dicembre 2023, la Santa Sede ha nominato l’arcivescovo Marek Zalewski, nunzio apostolico a Singapore e fino a quel momento rappresentante non residente della Santa Sede in Vietnam. Il 31 gennaio 2024, l’arcivescovo Zalewski ha fatto la sua visita ad Hanoi nel nuovo ruolo.

La nomina di un rappresentante residente aveva aperto alla speranza di un viaggio del Papa ad Hanoi. Ovviamente, ci sarebbero dovuti essere altri passaggi. Ad aprile 2024, c’era stata la prima, storica visita in Vietnam dell’arcivescovo Paul Richard Gallagher, ministro vaticano per i Rapporti con gli Stati. Era la prima visita della Santa Sede a livello di “ministro degli Esteri”, perché precedentemente tutte le visite vaticane ad Hanoi avevano avuto al massimo il livello del “viceministro degli Esteri”. Era attesa anche una visita del Cardinale Pietro Parolin, Segretario di Stato vaticano, che però ancora non è stata organizzata.

Nel frattempo, in occasione del viaggio di Papa Francesco in Asia nel settembre 2024, era stata lanciata l’ipotesi di un breve passaggio del volo papale ad Hanoi, per prendere contatto con la realtà vietnamita. Si trattava, tuttavia, solo di una ipotesi.

Con l’elezione di Leone XIV, subito l’opinione pubblica vietnamita ha ripreso a lanciare l’invito al Papa per una visita. Invito che è stato reiterato a Leone da parte del vicepresidente Vo Thi Ahn Xuan.

Particolarmente interessante il comunicato diffuso dal ministero degli Esteri vietnamita a seguito della visita. Si legge che “apprezzando le istruzioni, gli insegnamenti e i messaggi dei Papi alla Chiesa vietnamita, il Vicepresidente ha chiesto a Papa Leone XIV di continuare a sostenere e prestare attenzione alla promozione dei buoni rapporti tra il Vietnam e la Santa Sede; guidare e incoraggiare la comunità cattolica vietnamita a mettere in pratica le linee guida di ‘Rispettare Dio, amare la patria’, ‘vivere una buona vita, vivere una buona religione’, contribuendo attivamente alla causa dello sviluppo nazionale con lo spirito di ‘La Chiesa vietnamita accompagna la nazione’, ‘Un buon cattolico deve essere anche un buon cittadino’, ‘Vivere il Vangelo nel cuore della nazione per servire la felicità dei compatrioti’.”

Questi motti ricordano anche alcuni degli slogan che il Partito Comunista Cinese utilizza per descrivere la vita dei cattolici nel Paese. E vale la pena ricordare che anche Santa Sede e Vietnam hanno un accordo riservato sulla nomina dei vescovi. Più che di un accordo, si tratta di un modus operandi che è stato parte dei colloqui Vietnam – Vaticano.

I rapporti tra Vietnam e Santa Sede non sono comunque scevri da alcune problematiche. In fondo, si tratta di uno Stato socialista guidato da un partito unico.

Tra i temi problematici, quella della restituzione delle terre e proprietà della Chiesa nazionalizzate a Nord nel 1954 e poi a partire dal 1975 al Sud. E poi, la libertà religiosa è ancora ostacolata in molti luoghi, soprattutto negli altopiani nordoccidentali e centrali.

Non si tratta di temi insormontabili. E così, Leone XIV potrebbe davvero diventare il primo Papa a visitare Hanoi e dintorni. E il Vietnam potrebbe essere il 185 Stato con cui la Santa Sede intrattiene piene relazioni diplomatiche.

                                                           FOCUS ARMENIA

Armenia, una difficile situazione ad Etchmiadzin

In Armenia sta facendo discutere l’irruzione della polizia ad Etchmiadzin, il “Vaticano” della Chiesa apostolica armena. Il 27 giugno, la polizia ha cercato di arrestare l’arcivescovo Mikayel Ajapahyan. In centinaia hanno fatto scudo attorno all’arcivescovo, evitandone l’arresto, dopo che questi era stato accusato di aver fatto dichiarazioni pubbliche di prendere il potere e ribaltare l’ordine costituzionale in Armenia.

Ajapahyan è solo l’ultimo degli alti ufficiali della Chiesa ad essere messo sotto queste accuse. All’inizio della settimana scorsa, il Servizio di Sicurezza Nazionale di Armeno ha arrestato l’arcivescovo Bagrat Galstyan, poi posto in una detenzione pre-processo di due mesi con l’accusa di terrorismo, incitamento al disordine pubblico e pianificazione di prendere il potere. Galstyan si era messo nel 2024 alla testa di un movimento che aveva opposto il piano del governo armeno di consegnare delle regioni di confine all’Azerbaijan.

Tornando ad Ajapahyan, questi è uscito scortato dal Catholicos Karekin II circondato da manifestanti in suo favore, e ha così potuto lasciare Etchmiadzin, dove era arrivato per un incontro del clero locale.

“Non sono una minaccia per questa nazione. La minaccia è il suo governo”, ha dichiarato l’arcivescovo. Dopo alcune scaramucce, la polizia ha lasciato Etchmiadzin affermando di non voler creare una escalation.

In una dichiarazione diffusa il 28 giugno, la Chiesa Apostolica Armena ha fatto sapere che “il 27 giugno di quest’anno sarà ricordato nella storia moderna del nostro popolo come un giorno di vergogna nazionale, a causa delle azioni disgraziate portate avanti dalle autorità armene contro la Chiesa Apostolica Armena e la Chiesa Madre di Santa Etchmiadzin”.

La dichiarazione denuncia che “sulla base di un caso criminale costruito su false basi, ufficiali di polizia sono entrati nel perimetro della Santa Madre di arrestare e convocare in maniera forzata Sua Eminenza l’arcivescovo Michael Ajapahyan”, mentre “le entrate alla Santa Madre sono state bloccate da un grande spiegamento di forze, distruggendo la vita normale del centro spirituale dell’intera nazione armena”, e sono stati posti “ostacoli artificiali, incluse le ispezioni, a quanti viaggiavano verso Vagharshap e Santa Ethcmiadzin”.

La Chiesa Apostolica armena “condanna con forza queste azioni anti-Chiesa”, considerandole “non solo un insulto e una profanazione del più Santo dei Santi, la Sede Madre di Etchmiadzin, ma anche una grave offesa contro i sentimenti spirituali dei fedeli”.

E ancora, Etchmiadzin denuncia che “come è evidente dalla retorica del primo ministro e di altri rappresentanti di governo, questa operazione premeditata è un’altra espressione della politica di odio alla Chiesa dell’attuale amministrazione”, perché “è inimmaginabile che le autorità della nostra nazione possano portare avanti un attacco così traditore alla più antica istituzione nazionale del popolo armeno, una offesa che nemmeno i governanti del passato hanno mai osato commettere”.

Etchmiadzin chiede al popolo di “continuare a rimanere con devozione intatta a fianco alla Chiesa Madre e di pregare perché la Santa Etchmiadzin irradi la pace nella nostra terra”.

Il 28 giugno, un tribunale dello Stato ha deciso comunque l’arresto dell’arcivescovo Adjapahyan. In un comunicato diffuso in quello giorno, Etchmiadzin ha detto che “i fatti dimostrano che la decisione del tribunale, presa sotto direzione politica e pressione, è allo stesso tempo senza basi e illegale”, e che le azioni prese contro l’arcivescovo “costituiscono, in senso classico, un caso di persecuzione politica e una manifestazione di vendetta personale da un individuo che professa di essere cristiano e figlio della Chiesa Armena”, e che questa azione “irresponsabile costituisce un assalto al centro spirituale alla popolazione armena, al suo clero, ai suoi fedeli”.

Dal 30 giugno al 4 luglio, Karekin II ha chiesto di celebrare una divina liturgia per la liberazione dei prigionieri, la consolazione degli afflitti e la pace nella patria”.

Si può ancora parlare di genocidio armeno?

Lo scorso 18 giugno era previsto un incontro su “La Santa Sede e il genocidio degli armeni e della altre minoranze cristiane nell’Impero Ottomano” presso la Chiesa Reale Belga San Giuliano dei Fiamminghi, in collaborazione con il Centro Pro Unione. A tenere la conferenza, sarebbe stato il professor Georges Ruyssen, gesuita, curatore dei volumi “La Questione Armena 1894 – 1896 / 1980 – 1925. Documenti degli Archivi della Santa Sede ASV, ACO, SS.RR.SS.”. Si tratta di un monumentale lavoro che riproduce tutti i documenti della Santa Sede riguardanti il genocidio armeno, particolarmente centrale nello studio del metz yeghern.

Ora, la definizione di “genocidio armeno” è contestata da parte turca, che accetta che si parli di massacro, ma non di genocidio. Quando ci fu la celebrazione del centenario del genocidio in San Pietro, nel 2015, ci fu anche gelo con la Turchia, e fu poi solo il lavoro di uno storico, consegnato a Papa Francesco, a ripristinare una normalità dei rapporti.

La conferenza, però, non ha avuto luogo nei termini stabiliti. È stato comunicato dal rettore, monsignor Gabriel Quicke, che il professor Ruyssen è stato scoraggiato dalla Segreteria di Stato dal tenere la conferenza attraverso una lettera inviata dalla Segreteria di Stato alla compagnia di Gesù. Monsignor Quicke ha detto che la Segreteria di Stato è stata avvista “diplomaticamente” dall’iniziativa, che lascia pensare al coinvolgimento di qualche ambasciata, probabilmente quella turca presso la Santa Sede.

Monsignor Quicke ha comunque deciso di prendere il ruolo di moderatore e descrivere il lavoro scientifico del professor Ruyssen, che conosceva bene per aver lavorato per dieci anni al Pontificio Consiglio per la Promozione dell’Unità dei Cristiani dove era reponsabile del dialogo con i cristiani ortodossi orientali.

Tuttavia, resta da comprendere perché la Segreteria di Stato intervenga su una conferenza di tipo accademico, e perché la Compagnia di Gesù accetti di ricevere questa pressione. Va segnalato anche che il presidente di Armenia Pashinyan ha avuto pochi giorni dopo un colloquio con la controparte turca. Va segnalato anche che il Cardinale Claudio Gugerotti, prefetto del Dicastero per le Chiese Orientali, ha partecipato negli ultimi tempi ad atti accademici che spostano gli equilibri della storia, come una conferenza organizzata dalla Ambasciata di Azerbaijan presso la Santa Sede presso l’Università Gregoriana che promuoveva un dibattito sulla chiesa cristiana “albaniana” preesistente in territorio azerbaijano e in particolare in Nagorno Karabakh – da parte armena, si sono sempre invece fatte notare le radici cristiane e armene della regione, lamentando persino di un genocidio culturale ai danni dell’eredità armena.

Tuttavia, sebbene le ricostruzioni storiche possano portare a dibattiti anche accesi, e sebbene ci sia molta politica dietro ognuna di queste decisioni, è da capire il perché di interventi così forti da parte della Santa Sede per evitare questo tipo di dibattiti.

Erano presenti alla conferenza Boris Sahakyan, l'Ambasciatore Della Repubblica d'Armenia presso la Santa Sede, l'Arcivescovo Khajag Barsamian, Rappresentante della Chiesa Armena presso La Santa Sede e la prima consigliera dell'Ambasciatore della Repubblica d'Armenia in Italia Marietta Stepanyan e Padre Jim Loughran, presidente del Centro Pro Unione che ha concluso con calorosi ringraziamenti.

                                               FOCUS NUNZI

I trasferimenti nelle nunziature

In questo periodo dell’anno, c’è una carrellata di nuove nomine e spostamenti del personale diplomatico della Santa Sede. I diplomatici continuano il loro “giro” che va in almeno tre continenti e passa anche per la Seconda Sezione della Segreteria di Stato, fino, in alcuni casi, a raggiungere il grado di nunzio.

Chi è stato trasferito nel corso degli ultimi mesi?

Monsignor Roberto Lucchini è stato spostato dalla nunziatura del Congo a quello dello Sri Lanka. Cambia completamente il personale della nunziatura in Francia: arriva dalla Segreteria di Stato monsignor Janusz Blachowiak e dalla Corea Fernando Duarte Barros Reis, mentre lasciano Parigi monisgnor Marcel Šmeikal, destinato alla nunziatura di Timor Orientale, e monsignor Andrea Francia, che andrà a servire presso la “ambasciata del Papa” in India.

Al posto di monsignor Blachowiak in Segreteria di Stato arriva, direttamente da Varsavia, monsignor Pavol Talapka. Monsignor Joseph Maramreddy lascia la nunziatura apostolica in Ucraina e sostituisce monsignor Talapka in Polonia. A Kyiv invece arriva, dalla nunziatura nelle Filippine, monsignor Vjekoslav Holik.

Manila non resta sguarnita: viene trasferito lì monsignor Guilhermo De Melo Sanchez, dalla nunziatura in Burundi, mentre monsignor Pablo Cerrillos Hernández viene trasferito dalla nunziatura in India alla Segreteria di Stato.

Monsignor Giovanni Bicchierri viene trasferito da Beirut a Seoul, mentre il suo posto in Libano viene preso da monsignor Jakub Tomaszewski. Monsignor Juan Manuel Pedrera lascia la nunziatura a Washington per andare a servire alla prima sezione della Segreteria di Stato, e il suo posto viene preso da monsignor Jacek Pawel Pinocy, proveniente dalla nunziatura in Ecuador.

Monsignor Dario Paviša, della nunziatura apostolica in Sudafrica, viene trasferito in Zambia e Malawi, sostituito a Pretoria da monsignor Giacomo Antonicelli, proveniente dall’Honduras.

In Colombia va monsignor In Je Hwang, arrivando del Belgio, e in Belgio arriva Giosuè Busti, che finora ha servito in Nuova Zelanda.

Monsignor Fabrice Rivet va a servire nella nunziatura del Venezuela, lasciando Tokyo, dove viene invece inviato monsignor Giuseppe Francone, che finora lavora alla rappresentanza della Santa Sede all’OSCE a Vienna. Al posto di Francone arriverà monsignor Luca Marabese, direttamente dalla Segreteria di Stato.

Viene destinato alla Segreteria di Stato anche monsignor Federico Bruno Boni, che era nella nunziatura apostolica di Papua Nuova Guinea, mentre Gabriel Jurado Canadas viene spostato dal Pakistan al Ghana, e in Pakistan va Omar Romero Arellana, che finora aveva lavorato in Benin.

C’è anche una carrellata di nuovi addetti di nunziatura, introdotti nel servizio diplomatico dopo l’anno missionario voluto da Papa Francesco.

Così, Karoli Amani è destinato alla Costa Rica, Luis Araújo Pulido è destinato al Benin, Gianluca Casanova viene mandato in Guinea, François-Xavier Colin è destinato alla nunziatura in Thailandia e Boylle Deocampo al Burundi.

La nunziatura in Tanzania si prepara a ricevere Adrian Halún Cavazos, l’Honduras avrà un addetto tedesco, Patrick Thomas Körbs, Savio Antonio Martirés, indiano, è destinato all’Angola.

Fa il percorso dall’India all’Africa anche Elton Namory, che finisce in Ruanda, mentre Juan Carlos Navarro Carmona va in Ecuador, Edardo Obispo in Zimbabwe, Luca Sartori in Serbia, Joseph Sweiss a Papua nuova Guinea e Luca Zanotto in Ecuador.

                                               FOCUS MEDIO ORIENTE

Giordania, il nunzio Dal Toso in occasione della raccolta dei Santi Pietro e Paolo

Lo scorso 29 giugno, è comparso su Jordan Times un articolo dell’arcivescovo Giampietro Dal Toso, nunzio apostolico in Giordania. Si tratta di un segnale significativo dell’interesse che si ha per la Santa Sede in una situazione difficile. L’articolo riguardava in particolare la solennità degli Apostoli Pietro e Paolo, ricordando che il Papa, assumendo il ministero petrino, ha “ricevuto il compito di rafforzare i suoi fratelli nella fede e di guidare il Popolo di Dio”.

L’arcivescovo ha notato che le relazioni diplomatiche tra Santa Sede e Regno Hashemita di Giordania sono considerate “eccellenti”, e che anche in precedenza, pur senza pieni legami diplomatici, i Papi hanno visitato il Paese (Paolo VI e Giovanni Paolo II), riflettendo la profondità e la continuità della relazione. Il nunzio ha anche ricordato che il rapporto tra il Re Abdullah II e Papa Francesco era “delineato con un mutuo rispetto”, tanto che il Papa ha deciso di nominare un nunzio residente in Giordania, e lo scorso gennaio il Cardinale Pietro Parolin ha presieduto la dedica della Chiesa latina a Maghtas.

L’arcivescovo Dal Toso ha anche chiarito la “doppia missione” del nunzio, cioè quella di portare al Papa la preoccupazione della Chiesa locale (e, in effetti, di aiutare nella scelta dei nuovi vescovi) e di rappresentare il Papa presso le autorità civili.

L’arcivescovo ha anche messo in luce “l’eccezione” della Giordania nell’ambito di un Medio Oriente segnato da vari conflitti, e questo “in gran parte grazie alla cura e attenzione estesa dalla famiglia Hashemita a tutti i cittadini, con una cura particolare per la comunità cristiana in Parlamento”, come testimoniato anche dal discorso di Re Abdullah al Parlamento Europeo a Strasburgo il 17 giugno 2025.

Sua Maestà – ha notato il nunzio – oltre all’orgoglio per la custodia dei Luoghi Santi, ha riaffermato anche la fede nei valori della convivenza.

L’arcivescovo Dal Toso ha sottolineato che, da parte sua, la Santa Sede è “fermamente convinta che la pace non può essere raggiunta attraverso la forza, l’ideologia e il conflitto, ma debba essere fondata sul mutuo rispetto, il dialogo e la diplomazia”, e in questo senso c’è il campo comune della “dignità umana”, perché “ogni persona dovrebbe avere l’opportunità di crescere, studiare, lavorare, formare una famiglia e vivere in pace, con la libertà di credere o di culto”, e la Santa Sede, che non ha alcun tipo di interesse economico, cerca “solamente di sostenere la centralità della persona umana e la dignità inerente di ogni vita umana”.

Il nunzio ha sottolineato che la Santa Sede guarda “con particolare preoccupazione” alla tragica situazione del popolo palestinese, specialmente a Gaza, “dove non solo la violenza, ma anche le malattie continuano a chiamare vite innocenti” a causa del collasso delle infrastrutture sanitarie che va di pari passo con la mancanza di acqua pulita e medicine.

La Santa Sede – ha sottolineato il nunzio – “continua a chiedere ad Israele ed Hamas di riaprire il dialogo, con lo scopo di raggiungere un immediato cessate il fuoco a Gaza in tutti i fronti, facilitando il rilascio degli ostaggi israeliani e assicurando che l’aiuto umanitario raggiunga quelli che sono in difficoltà, in particolare la popolazione palestinese”, perché “nessuno dovrebbe morire, o essere ucciso, per un pezzo di pane per sopravvivere”.

La Santa Sede – ha continuato il nunzio – apprezza “molto gli sforzi del Regno Ashemita di portare assistenza umanitaria ai civili a Gaza e di accogliere rifugiati di varia provenienza”, e si è impegnata a contribuire a questo lavoro attraverso le sue organizzazioni caritative.

La Santa Sede – ha aggiunto il rappresentante del Papa in Giordania – sostiene come unica soluzione possibile quella dei due Stati, in modo che “israeliani e palestinesi possano vivere fianco a fianco in pace e sicurezza”, mentre Gerusalemme deve avere uno status speciale e garantito a livello internazionale per salvaguardare la coesistenza e assicurare la libertà religiosa di cristiani, ebrei e musulmani.

                                                           FOCUS DIALOGO

Tokyo, i leader religiosi si riuniscono per la pace in Ucraina e Russia

Lo scorso 1 luglio, ha avuto il via la Terza Tavola Rotonda per la Pace a Tokyo. Si tratta di una iniziativa che ha lo scopo di costruire una cornice globale per la riconciliazione e la pace, ed è coorganizzata da Religions For Peace International, Religions For Peace Giappone e l’Alleanza delle Civiltà delle Nazioni Unite.

All’incontro hanno partecipato cinquanta leader religiosi da undici nazioni differenti, provenienti dalle cinque maggiori tradizioni religiose: Buddismo, Cristianesimo, Induismo, Giudaismo e Islam. Inoltre, i leader religiosi provenivano da diversi Paesi in guerra, tra cui Russia, Ucraina e Myanmar, mentre rappresentanti di Israele e Palestina hanno contribuito con un video messaggio in cui hanno riaffermato il loro impegno al dialogo e alla costruzione della pace.

Francis Kuria, Segretario generale di Religions for Peace, ha sottolineato che “davvero, la pace non è un momento o un evento, ma una scelta persistente, rinnovata ogni giorno attraverso il dialogo, il coraggio e la cooperazione”.

Parlando dell’incontro, Kuria ha sottolineato che i leader religiosi non hanno “risposte pronte”, ma credono “che con cuore sincero e apertura al dialogo possiamo trovare e aprire nuovi percorsi che possono portare alla pace. Nuovi percorsi che possono portare al perdono. Nuovi percorsi che possono portare alla guarigione. Nuovi percorsi che possono portare alla riconciliazione. E, ancora più importante, nuovi percorsi che portino alla trasformazione dei conflitti”.

                                                           FOCUS ITALIA

La nota di Palazzo Chigi sulla visita di Giorgia Meloni a Leone XIV e sul bilaterale

La presidente del Consiglio Giorgia Meloni ha incontrato Leone XIV e ha avuto un bilaterale in segreteria di Stato con il Cardinale Pietro Parolin e il Segretario per i Rapporti con gli Stati, l’arcivescovo Paul Richard Gallagher.

Nel comunicato di Palazzo Chigi, si legge che la presidente ha “consegnato in dono al Papa una veduta seicentesca della Chiesa dei Santi Domenico e Sisto e dell’antico monastero domenicano che ospita l’Angelicum, la Pontificia Università ‘San Tommaso d’Aquino’ dove Leone XIV ha compiuto un tratto significativo della sua formazione”.

Sempre secondo Palazzo Chigi, durante il bilaterale in segreteria di Stato, “il Presidente Meloni ha ribadito l’apprezzamento per l’impegno della Sede Apostolica per la pace in Ucraina, a Gaza e in tutte le aree di crisi. Il Presidente del Consiglio si è inoltre soffermato sull’importanza della libertà religiosa e sulla tutela delle comunità cristiane in Medio Oriente, che hanno sofferto le conseguenze delle crisi e dell’instabilità dell’area”. Infine, è stata “condivisa l’ottima collaborazione con le organizzazioni cattoliche religiose per la cooperazione in Africa, nell’ambito del Piano Mattei”.

                                                           FOCUS AMBASCIATORI

Presenta le credenziali l’ambasciatore di Taiwan presso la Santa Sede

Il 2 luglio, ha presentato a Leone XIV le sue credenziali Anthony Chung-Yi Ho, Ambasciatore di Cina (Taiwan) presso la Santa Sede

Il nuovo ambasciatore di Taipei viene dalla posizione di direttore generale del Dipartimento degli Affari dell’Asia Occidentale e dell’Africa della Repubblica di Cina.

Ha studi passati ad Harvard e a Oxford, e una carriera diplomatica che lo ha portato anche come rappresentante dell’ufficio di liaison di Taipei nella Repubblica del Sudafrica, e prima ancora negli Stati Uniti, e nelle Filippine, oltre ad aver ricoperto diversi ruoli al ministero degli Esteri.

Sarà lui a dover prendere in mano le delicate contromisure che riguardano la pressione cinese sulla Santa Sede per tagliare i ponti con Taiwan.

Chung, cattolico, sposato con due figli, ha preso il posto dell’ambasciatore Matthew Lee, andato in pensione dopo dieci anni come rappresentante della Repubblica di Cina presso la Santa Sede. Lee, durante il suo mandato, ha potuto celebrare il 75esimo e l’80esimo anniversario di relazioni tra Santa Sede e Taiwan, ma ha vissuto anche momenti difficili che hanno fatto seguito all’accordo sino-vaticano per la nomina dei vescovi.

La Santa Sede è infatti l’unico partner europeo di Taiwan, che mantiene relazioni diplomatiche con soli dodici Stati nel mondo, mentre la Repubblica Popolare Cinese esercita una durissima pressione affinché gli Stati lascino ogni relazione con Taiwan se vogliono mantenere relazioni con Pechino.

                                                           FOCUS MULTILATERALE

La Santa Sede alle Nazioni Unite, il finanziamento allo sviluppo

Lo scorso 2 luglio , si è tenuta a Siviglia, in Spagna, la Quarta Conferenza Internazionale sul Finanziamento per lo Sviluppo. La Santa Sede era rappresentata dall’arcivescovo Gabriele Caccia, Osservatore della Santa Sede presso le Nazioni Unite a New York.

Nel suo intervento, l’arcivescovo Caccia ha sottolineato che lo sviluppo riguarda prima di tutto le persone e che dovrebbe servire il benessere di tutti, specialmente dei poveri e di coloro che hanno bisogno, sviluppando giustizia, solidarietà e pace.

Il nunzio ha sottolineato la necessità di un approccio integrale che permetta il fiorire di ogni persona, famiglia, comunità e nazione, senza eccezioni.

Inoltre, il nunzio ha specificato che il debito eccessivo impedisce agli Stati di investire in sanità, educazione, infrastrutture di base e resilienza climatica, tutte vitali per lo sviluppo integrale dei popoli e lo sviluppo a lungo termine degli Stati.

Per questo, si deve valutare se il debito abbia una legittimità morale, dice l’arcivescovo, che ricorda anche l’appello per la cancellazione del debito lanciato dalla Santa Sede con la bolla Giubilare.

Infine, l’Osservatore ha messo in luce che un multilateralismo “inclusivo, basato sui principi e giusto resta il mezzo più efficace per raggiungere lo sviluppo umano integrale”, e che “il tempo di agire è ora, non come entità isolate, ma come una famiglia umana”.