Roma , venerdì, 25. luglio, 2025 16:00 (ACI Stampa).
Dettava legge nel mondo dell’arte, le grandi dame del tempo si ispiravano ai suoi modelli per vestirsi ed acconciarsi, era amato, anzi adorato dai potenti e dai più ricchi. Eppure, il suo cuore, la sua attenzione più profonda era rivolta a realtà ben diverse. Intanto al piccolo paese del trevigiano in cui affondavano le sue forti radici, Possagno. E alla gente umile, accogliente e sorretta da una fede semplice quanto forte. Il nome di Antonio Canova è noto universalmente per la sua formidabile arte scultoria, le sue capacità quasi sovrumana: sembra usare il marmo, il gesso, come molle creta in cui imprimere segni, trasparenze, bellezza capaci di stupire, ammaliare. Fidia è tornato a vivere, si diceva di lui, rievocando il mitologico scultore greco termine di paragone di una maestria senza pari.
Della sua esistenza sappiamo molto, ma non tutto. La sua personalità poliedrica, ricca di sfaccettature continua a riservare sorprese, che studiosi, esperti, ammiratori (sempre moltissimi) si impegnano a restituire attraverso pubblicazioni, mostre. E scoperte. Come quella del primo, inedito testamento di Canova del 1799, recentemente rinvenuto nell’archivio parrocchiale di Possagno, offre nuove prospettive sulla dimensione civile e spirituale dell’artista. Si tratta del primo testamento finora noto, un testo inedito di grande valore.
Decisivo il ruolo del ricercatore Marcello Cavarzan cui si deve l’identificazione del testo. Alla pubblicazione del testamento stanno collaborando anche gli studiosi Giancarlo Cunial e Alberto Susin. Si tratta di un abbozzo notarile redatto da Canova a 42 anni, in un momento cruciale della sua vita: poco prima del rientro a Roma dopo la tempesta rivoluzionaria che l’aveva costretto a rifugiarsi in Veneto. Il testo, che anticipa di tre anni il testamento noto del 1802, contiene disposizioni che delineano con precisione l’intenzione dell’artista di destinare il proprio patrimonio a fini culturali e sociali. Canova afferma la volontà di creare una biblioteca artistica e una raccolta di gessi nella sua casa natale per l’esercizio del disegno, un’embrionale Gypsotheca. Stabilisce inoltre il lascito della maggior parte dei suoi beni alla comunità per garantire il funzionamento della scuola e la figura di un custode, e l’istituzione annuale di tre doti per giovani donne del paese che volessero sposarsi.
Marcello Cavarzan, scopritore del documento, ha raccontato, nella presentazione ufficiale del documento, le circostanze della scoperta con emozione: «Era nascosto tra le carte dell’archivio parrocchiale, in una cartella mai aperta. Questo testamento, stilato nell’agosto del 1799, mostra una visione contabile, politica e civile straordinaria.
Cavarzan ha anche ricordato il lungo lavoro d’archiviazione e di recupero della memoria canoviana svolto con la Consulta Canoviana e le istituzioni locali: «Questo testamento non è solo un documento storico, ma una traccia della visione universale di Canova: una bellezza che diventa bene comune, una ricchezza che si trasforma in opportunità per tutti».





