Roma , giovedì, 31. luglio, 2025 12:30 (ACI Stampa).
Ignazio, guerriero della fede. Veste l'armatura di Cristo. Personaggio così complesso, così affascinante che - a distanza di secoli - pone ogni studioso che vuole addentrarsi nella sua figura, alla ricerca continua, senza sosta, di un quid di indefinito che sembra quasi sempre sfuggire, alla fine. La sua figura, infatti, ricorda tanto un caleidoscopio fatto di sentimenti, di idee, di meditazioni, di episodi, di fatti narrati e scritti che così profondi - a volte - si sottraggono alla comprensione umana. Forse, proprio in questa sua particolare natura “misteriosa” risiede la forza della sua spiritualità, della sua fama che ancora oggi perdura.
Íñigo López nasce alla vigilia del natale del 1491 nel castello di Loyola, vicino la città di Azpeitia (Spagna). Ultimo di tredici fratelli, la madre muore quando Ignazio ha solo sette anni. Diventa pago al servizio di Juan Velázquez de Cuéllar, tesoriere del regno di Castiglia. Sono questi gli anni della sua vita cortigiana, dallo stile sregolato. Nel 1517 prende servizio nell'esercito. A seguito di una grave ferita subita durante la Battaglia di Pamplona (1521) vive un lungo periodo di convalescenza nel castello del padre. Durante la degenza ha occasione di leggere numerosi testi religiosi, molti dei quali dedicati alla vita di Gesù e dei santi. Avviene in questo periodo un incontro: quello con san Francesco d'Assisi: ammira la sua vita, la sua conversione. Comincia anche per lui un nuovo cammino, del tutto estraneo alla sua vita precedente. Decide di recarsi in Terra santa, per vivere come mendicante, ma presto è costretto a rientrare in Spagna. In questo periodo elabora un proprio metodo di preghiera e contemplazione, basato sul discernimento: gli "Esercizi Spirituali" raccoglieranno tutte queste esperienze.
Ed è proprio l'esperienza a forgiare Ignazio. Esperienze che è possibile trovare nel suo “Diario spirituale” scritto dal 2 febbraio 1544 al 2 febbraio 1545. Il santo spagnolo in queste pagine riesce a darci il ritratto di un uomo in completa adorazione e contemplazione di Dio. Il 17 febbraio 1544, Ignazio scrive: “Alzandomi e nell'andare a prepararmi per la messa, ringraziavo sua divina maestà e offrivo l'oblazione che aveva fatto, non senza devozione e movimento a lacrime; uscendo per la messa, nel preparare l'altare, nell'indossare i paramenti e dando inizio alla celebrazione, molte lacrime; durante la messa, continue lacrime e molto, spesso fino a perdere la parola”. Quelle lacrime non erano altro che espressione della sua malinconia di Dio. Ignazio si trovava in questa terra, ma la sua anima era già vicino alle stelle che contemplava, perché - come scriveva bene il teologo Romano Guardini - "le cose sono finite. Tutto ciò che è finito, è difettoso. E il difetto costituisce una delusione per il cuore, che anela all'assoluto".




