È stato il quarto blitz nel giro di un mese. Il più grave ha avuto luogo lo scorso 7 luglio quando hanno incendiato il cimitero e la chiesa bizantina di Saint George al-Khader, la più antica dei Territori, che ospitò Charles de Foucald nel 1898. L’episodio ha suscitato la condanna internazionale.
Il cardinale Pierbattista Pizzaballa, patriarca latino di Gerusalemme, è stato a Taybeh il 14 luglio insieme ai capi delle chiese di Gerusalemme, rimarcando di essere vicino alla popolazione. Il 19 luglio, Taybeh ha ricevuto Mike Huckabee, ambasciatore degli Stati Uniti in Israele, che ha definito “inaccettabile” la profanazione dei luoghi di culto.
Dopo il raid dal 27-28 luglio, Antonio Tajani, ministro degli Esteri italiano, ha chiamato il cardinale Pizzaballa per esprimere vicinanza, sottolineando che “il governo di Israele deve agire per fermare queste incursioni”.
Da oltre un decennio, la fascia tra Gerusalemme e Gerico è tra gli epicentri della “conquista” dei Territori. Un processo di appropriazione delle terre e espulsione degli abitanti locali, fatta attraverso avamposti, o outpost. Sono pascoli o campi gestiti da pochi pionieri, spesso una sola famiglia, che si espandano utilizzando milizie private di adolescenti e giovani, in genere reclutati grazie a una rete di una decina di Ong che “recuperano” ragazzi difficili attraverso programmi di lavoro volontario o quasi in campagna.
Dal 7 ottobre 2023 il fenomeno è esploso: se prima ne venivano formati sette nuovi all’anno, ora il numero la media è sette volte tanto. Insieme agli outpost sono cresciute le violenze, rivolte contro tutti i palestinesi di qualunque religione, inclusi i cristiani.
Il 4 giugno scorso, un avamposto è spuntato sulla collina orientale di Taybeh. Una costola della “Neria’s farm”, dell’estremista religioso Neri ben Pazi, sanzionato dall’Amministrazione Biden e dalla Gran Bretagna. Poco dopo sono cominciati gli attacchi, portati avanti dai “banditi ragazzini”.
FOCUS CAUCASO
Santa Sede e Azerbaijan firmano una intesa sul dialogo interreligioso
Il 28 luglio, Santa Sede e Repubblica di Azerbaijan hanno firmato un protocollo di intesa sulla collaborazione del dialogo tra le sedi diverse. A firmare per la Santa Sede, il Cardinale George Koovakad, prefetto del Dicastero per il Dialogo Interreligioso, che nel suo discorso ha ricordato il cammino lungo di collaborazione tra Santa Sede e Baku, culminato nell’accordo bilaterale del 2011 che ora viene arricchito dal protocollo sul dialogo interreligioso, “chiaro segno – dice il cardinale -
del desiderio comune di continuare a lavorare insieme per la formazione integrale di ogni persona, come credente e come cittadino”.
Nello spiegare i termini dell’accordo, il Cardinale Koovakand ha notato come negli ultimi anni Papa Francesco abbia dato un particolare valore al dialogo interreligioso, con il Documento sulla Fratellanza Umana, ma ha messo in luce come le radici del dialogo interreligioso cominciano a diffondersi a partire dalla dichiarazione conciliare Nostra Aetate sulla libertà religiosa. In questi anni, ha aggiunto il prefetto del dialogo interreligioso, sono poi “emerse nuove aree di impegno comune, come il desiderio di prendersi cura e proteggere l’ambiente e la necessità di un uso etico dell’intelligenza artificiale. Gesti concreti di cooperazione su questioni così importanti contribuiranno alla costruzione di un mondo più pacifico, desiderio che risiede nel cuore di ogni uomo e donna di buona volontà”.
Koovakand ha dunque il presidente azero Ilham Aliyev e anche Ramin Mammadov, massima autorità dello Stato per ciò che riguarda le Associazioni religiose, “per aver approvato e sostenuto questo importante Memorandum”, riconoscendo pure “l’impegno costante” messo in campo dallo Sheikh ul-Islam Allahshukur Pashazade, presidente del Consiglio dei Musulmani del Caucaso, che “sostenne - ricorda - la costruzione di una nuova chiesa cattolica a Baku dopo la distruzione di quella esistente negli anni Trenta del Novecento”.
FOCUS AMERICA LATINA
L’arcivescovo Gallagher in Messico, il discorso all’Assemblea Generale della Federazione Internazionale delle Università Cattoliche
Lo scorso 28 luglio, l’arcivescovo Paul Richard Gallagher ha tenuto un discorso alla XXVIII Assemblea Generale della Federazione Internazionale delle Università Cattoliche a Città del Messico. La partecipazione alla Conferenza era lo scopo principale del viaggio del “ministro degli Esteri” vaticano in Messico.
Nel suo discorso, Gallagher si è soffermato sul tema della Diplomazia Accademica, guardando in particolare al ruolo delle università cattoliche, le quali “possono aiutare a sviluppare la diplomazia accademica in maniera unica come un mezzo per portare avanti la pace attraverso un impegno pensato, la riflessione etica, e la conversazione rispettosa”.
L’arcivescovo Gallagher nota che, per secoli, le università cattoliche sono state “culla di conoscenza, fede e servizio all’umanità”, un servizio di cui c’è bisogno ancora oggi, allorché le università cattoliche sono chiamate a riaffermare “la nostra vocazione come costruttori di pace”.
Il “ministro degli Esteri” della Santa Sede nota che le università cattoliche hanno da sempre il compito di “armonizzare fede e ragione”, e che “una università cattolica non è semplicemente un’altra istituzione sul mercato globale delle idee”, non si chiama “cattolica semplicemente per via del numero di crocifissi nel libro e per le celebrazioni nelle sue cappelle, sebbene siano importanti”, ma si è università cattolica laddove “lo scopo della verità è armonizzato con la certezza della fede. È dove certezza e rivelazione camminano insieme. È dove la dignità della persona umana è sia un punto di partenza che un obiettivo finale”.
Secondo Gallagher, questa “identità radicata” è una “risorsa potente” in un mondo fortemente intriso di relativismo, perché “la nostra visione è universale”, e questo è un “solido fondamento su cui costruire la pace attraverso il dialogo”.
Il “ministro degli Esteri” vaticano nota che ogni università, nel momento in cui favorisce gli scambi globali, è “una missione diplomatica”, perché forma reti che “non sviluppano solo progresso scientifico, ma anche relazioni radicate nel rispetto mutuo e negli obiettivi condivisi”.
Le università “non sono torri d’avorio staccate dalla realtà”, ma sono piuttosto “soggetti attivi nel formare una cultura di pace”, e la costruzione della pace è “interdisciplinare”, necessita la comprensione di più discipline, inclusa la religione.
L’arcivescovo Gallagher sottolinea che “le università cattoliche sono chiamate a formare uomini e donne che semineranno semi di riconciliazione nelle loro comunità, professioni e vita pubblica”.
In particolare, l’arcivescovo menziona due campi vitali per la diplomazia accademica: i principi del diritto internazionale e dei diritti umani fondamentali, perché “dove sono ignorati, le situazioni già difficili possono deteriorare rapidamente e con orribili conseguenze”.
Il secondo campo è quello di studiare “temi ampi”, come per esempio “l’imperialismo”, che “può essere studiato da molti punti di vista: storici, culturali, sotto l’aspetto delle attuali situazioni geopolitiche, dal punto di vista delle vittime o dal punto di vista di imperialisti passati e presenti, e le sue implicazioni giuridiche”. Le università cattoliche, ha aggiunto, hanno “grande potenziale per guidare gli studi su questi temi così ampi e importanti” e la diplomazia “ha bisogno di specialisti, ma ha allo stesso modo bisogno di generalisti che cercano di prendere una ampia visione e articolare una visione generale”.
L’arcivescovo Gallagher nota infine che “nel clima geopolitico attuale, la diplomazia è diventata più complessa, e più necessaria che mai”, e che “la Santa Sede, con il suo unico mandato morale e spirituale, continua ad impegnarsi con la comunità internazionale nello spirito del dialogo franco, della neutralità basata sul principio, e della costruzione di ponti”.
La diplomazia oggi, tuttavia, “non è più confinata nelle cancellerie e nei corridoi di potere”, ma si estende “nella realtà della cultura, dell’educazione, della scienza e delle arti”, e dunque la diplomazia accademica “deve usare lo scambio scolastico, la ricerca collaborativa e la partnership educativa per portare avanti la comprensione internazionale e risolvere sfide comuni”, perché “le persone che non sarebbero aperte ad impegnarsi con la Chiesa in ogni altro modo, sono spesso aperte ad impegnarsi con i suoi istituti di alta formazione”.
L’arcivescovo Gallagher in Messico, la Messa a Nostra Signora di Guadalupe
Il 27 luglio, l’arcivescovo Gallagher ha celebrato la Messa nel santuario di Nostra Signora di Guadalupe, la “madre delle Americhe”, come ha ricordato nell’omelia il ministro vaticano per i Rapporti con gli Stati.
Gallagher ha ricordato la storia dell’apparizione della Vergine di Guadalupe nel 1531, ad un convertito indigeno, San Juan Diego, e la fede nella Madonna, la cui immagine apparve miracolosamente sul telo, “ha preso radici profonde. Così tanto che, di fronte alla persecuzione, i fedeli rimasero fermi”. Queste parole ricordano la Cristiada, la crociata anti-cristiana del Messico anticlericale che negli Anni Venti ha portato a diversi martiri.
Ma Guadalupe non è solo un luogo di memoria, ma anche un “avamposto missionario”, e oggi, nel mezzo delle sfide che affrontiamo, c’è bisogno prima di tutto di “pregare sinceramente Dio”, facendo “brillare il messaggio di Guadalupe di nuovo” in questi “tempi di frammentazione, in cui le barriere sono costruite più velocemente dei ponti”.
L’arcivescovo Gallagher in Messico, la “festa del Papa”
Il 26 luglio, il ministro vaticano per i Rapporti con gli Stati ha partecipato, nella nunziatura apostolica di Città del Messico, alla prima “Festa del Papa” dall’elezione di Leone XIV in quella rappresentanza diplomatica.
Parlando con i presenti, l’arcivescovo ha notato che la sua partecipazione numerosa ha testimoniato “non solo l’amicizia con la nunziatura e la fraternità tra le nazioni, ma anche il riconoscimento del ruolo unico e durevole che la Chiesa cattolica gioca in ambito internazionale”.
Nel suo discorso, Gallagher ha ricordato la storia della Chiesa in Messico, menzionato l’importanza dei primi missionari come Fray Juan de Zumárraga, e enfatizzato l’importanza dell’apparizione della Signora di Guadalupe.
Inoltre, Gallagher ha assicurato che le relazioni diplomatiche tra Messico e Santa Sede, ristabilite nel 1992, sono ora più forti, e la nazione latino-americana gioca oggi “un ruolo chiave nella promozione del dialogo e della pace”.
FOCUS AFRICA
Repubblica Democratica del Congo, strage nella chiesa. La denuncia dei vescovi
Anche Leone XIV ha fatto un appello a seguito del massacro compiuto nella chiesa parrocchiale Beata Anuarite nella notte tra sabato 26 e domenica 27 luglio a Komanda, nella diocesi di Bunia, ad Est della repubblica Democratica del Congo nell’Ituri. I vescovi della Conferenza Episcopale Nazionale del Congo (CENCO) hanno, da parte loro, rilasciato una dichiarazione in cui sottolineano che ““è paradossale che nell’Ituri dove dal 2021 vige lo stato d’assedio avvengano continui massacri”.
La settimana precedente il massacro, sempre in Ituri era stata profanata la chiesa San Giovanni Capistrano di Lopa.
I vescovi notano che in quella regione vige dal 2021 lo stato di assedio, ed è dunque paradossale che “proprio in queste province avvengano continuamente massacri e rapimenti di persone”.
Sottolineano i vescovi: “È sorprendente che dopo così tanti anni di massacri gravissimi, le autorità competenti per la sicurezza non riescano ancora a identificarne i reali responsabili. Non è stata data nessuna spiegazione plausibile per rassicurare la popolazione”.
I vescovi si chiedono poi se “questa serie di uccisioni di massa risponde a un progetto specifico? A chi profittano questi crimini commessi da diversi anni contro cittadini innocenti?”
L’assalto alla chiesa Beata Anuarite è stato rivendicato dalle Forze Democratiche Alleata (ADF nella sigla inglese), che dal 2019 ha aderito allo Stato Islamico. La profanazione della chiesa di Lopa era stata invece attribuita a un gruppo armato non jihadista, il CODECO che è appoggiato dall’esercito congolese. I Vescovi insistono infine sulla necessità di rilanciare l'iniziativa congiunta della CENCO-ECC (Chiesa di Cristo in Congo), ritenendo che potrebbe contribuire ad arginare la spirale di violenza nella regione.
FOCUS ASIA
La Santa Sede aiuta Taiwan per i disastri causati dal Tifone Danas
Leone XIV ha chiesto al Dicastero per lo Sviluppo Umano Integrale di sostenere Taiwan con una donazione d 50 mila dollari per fare fronte agli aiuti per quanti sono stati colpiti dal tifone Danas. Lo scorso 30 luglio, i vescovi taiwanesi hanno reso noto un ringraziamento ufficiale alla Santa Sede.
Gli aiuti sono stati consegnati alla parte taiwanese attraverso la nunziatura di Cina, ovvero la rappresentanza diplomatica della Santa Sede a Taipei.
Il vescovo John Lee, presidente dei vescovi di Taiwan, insieme ai vescovi di Chiayi e Tainan, le cui regioni sono state colpite dal tifone, hanno espresso la loro gratitudine per la donazione. Il tifone ha colpito la regione Sud di Taiwan il 6 luglio, causando ampi danni nell’area.
Leone XIV ha menzionato il disastro al termine dell’udienza generale il 16 luglio, e il ministro degli Esteri Lin Chia-lung e il presidente Lai Ching-te hanno chiesto all’ambasciata di Taiwan presso la Santa Sede di portare la gratitudine della popolazione per il gesto del Papa.
La Santa Sede è l’unica nazione europea che riconosce Taiwan, e una delle uniche 12 nazioni al mondo.
FOCUS MULTILATERALE
Il segretario generale della FAO da Leone XIV
L’1 agosto, Qu Dongyu, segretario generale della FAO, l’agenzia alimentare delle Nazioni Unite, è stato in udienza da Leone XIV. In un post su X, Qu ha detto di aver ringraziato il Papa per il messaggio da lui inviato alla conferenza della FAO, che metteva in luce come la pace sia un prerequisito per la sicurezza alimentare – idea condivisa da Qu. I due si sono “impegnati a lavorare insieme per un mondo pacifico, libero dalla fame”.