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Ma che vuol dire "influencer" per un cattolico? Qualche riflessione dopo il Giubileo

Ne parlano Russo, Ravagnani e Camporiondo

Il convegno dei Missionari digitali |  | pd Il convegno dei Missionari digitali | | pd

“E’ la missione che la Chiesa oggi affida anche a voi; che siete qui a Roma per il vostro Giubileo; venuti a rinnovare l'impegno a nutrire di speranza cristiana le reti sociali e gli ambienti digitali. La pace ha bisogno di essere cercata, annunciata, condivisa in ogni luogo; sia nei drammatici luoghi di guerra, sia nei cuori svuotati di chi ha perso il senso dell'esistenza e il gusto dell'interiorità, il gusto della vita spirituale. E oggi, forse più che mai, abbiamo bisogno di discepoli missionari che portino nel mondo il dono del Risorto; che diano voce alla speranza che ci dà Gesù Vivo, fino agli estremi confini della terra; che arrivino dovunque ci sia un cuore che aspetta, un cuore che cerca, un cuore che ha bisogno. Sì, fino ai confini della terra, ai confini esistenziali dove non c'è speranza”.

Con queste parole papa Leone XIV ha salutato i missionari digitali e gli influencer al primo giubileo svoltosi a Roma dal 28 al 29 luglio, che ha visto la partecipazione di quasi 1800 persone provenienti  da 75 nazioni.

Oltre le relazioni più istituzionali, interessante è ripensare al saluto di benvenuto Rosy Russo, coordinatrice del Gruppo italiano di ‘La Chiesa ti ascolta’, che ha sottolineato il valore della ‘rete’: “Noi missionari digitali siamo quindi una rete nella Rete. La Rete, da luogo potenzialmente fertile di dialogo, si è spesso trasformata in un’arena dove le parole feriscono, escludono, gridano. Per questo servono persone che abitino i social con uno spirito diverso".

Don Alberto Ravagnani, founder di ‘Fraternità’ e di ‘Laboratorium’ che ci ha spiegato quanto sono influencer i cattolici: “Sono influencer nel momento in cui riescono ad ‘influenzare’ la vita delle persone accanto a loro. Quindi essere un influencer cattolico non vuol dire essere famoso, ma essere capaci di ‘influenzare’ gli altri’ con il Vangelo.

Molti giovani di tutti i continenti: la Chiesa come risponde alle esigenze dei giovani?

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“Oggi il mondo giovanile va ascoltato, perché i ragazzi e le ragazze sono diversi rispetto agli adulti. Hanno cervello diverso da quello degli adulti per porre domande; quindi se non c’è un ascolto profondo ed una considerazione reale di quello che vivono è difficile dare loro ciò che hanno bisogno per crescere bene e per approfondire la fede. Questo raduno di giovani a Roma non debba essere la possibilità per la Chiesa di parlare a tanti, ma soprattutto la possibilità di ascoltare fino in fondo le loro esigenze. Questa è la conversione a cui siamo chiamati: passare da una Chiesa che parla ai giovani, ad una Chiesa che li lascia parlare ”.

In conclusione la testimonianza di Nicola Camporiondo, 160.000 persone che lo seguono, giovane studente in teologia, fornisce la qualità dei partecipanti: “Parlare di fede sui social è abbastanza impegnativo. Nella rete c’è molta curiosità, perché un conto è sentire parlare di fede un sacerdote, altro conto un giovane laico. I ragazzi percepiscono la Chiesa come un linguaggio non loro. Quindi come Gesù che parlava un linguaggio accessibile a tutti, così per parlare ai giovani oggi sono necessari ‘piccoli’ linguaggi capaci di far capire l’universalità e l’importanza del messaggio evangelico”.

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