“Nel dare il via al cantiere delle mostre ci siamo affacciati e poi immersi nei deserti dell’oggi. I deserti delle ingiustizie e dell’indifferenza, della paura e della solitudine esistenziale, della tristezza e del vuoto di significato di quello che abbiamo fra le mani, di tutte le situazioni che non si riescono a spiegare e ad accettare. Dentro i deserti che pervadono la cultura contemporanea e che albergano nelle pieghe della nostra esistenza abbiamo desiderato guardare e prendere sul serio la sete e il grido. Chi si accorge del deserto inizia un lavoro che già non è più deserto. Abbiamo visto l’attivarsi della vita e manifestarsi una bellezza inarrestabile, che diventa ristoro dell’infinita sete (cosciente e non) che viviamo oggi. Guardando la sete di senso e ascoltando persone rinate abbiamo compreso che stiamo costruendo non appena con mattoni ma con pietre vive, in alcuni casi pietre divenute testate d’angolo (ciò che è scartato diventa mattone nuovo) e che proprio per questo ci hanno aperto a una meraviglia”.
Una delle mostre molto interessanti si intitola 'I sentieri del sacro': in quale modo la fotografia 'immortala' la fede?
“Vedremo sequenze di foto di uomini e donne di ogni età e cultura che decidono di mettersi in una condizione di trasformazione da quello che sarà il contatto, la conoscenza, la contaminazione non solo con il luogo che si vuole raggiungere ma anche lungo il percorso e i sentieri dell’esistenza. Pellegrini che nei deserti del mondo contemporaneo portano con sé solo ciò che è essenziale, che partono dalla propria casa per iniziare un cammino verso un’altra terra che rappresenta una meta, una conquista e un approdo. È la meta che guida e sostiene e fa prendere la decisione di mettersi in cammino verso un luogo non di un singolo, ma di tutti. Vedremo infatti comunità fatte di gesti e sguardi, oggetti e riti, danze e preghiere, processioni e incontri. E questo prevede che l’altro, chiunque sia l’altro, sia comunque parte di questo processo, possa esserne parte. Non armi, non muri, non barriere, perché chiunque può entrare, può partecipare, può osservare e può ascoltare. I fotografi coinvolti colgono con il loro occhio e lo sguardo questa complessità di aspetti senza rinunciare a narrare qualcosa che attira e che ha a che fare con il sacro. Un sacro che fa parte di noi, abita in noi. La fotografia ha spesso osservato i tanti aspetti che accompagnano questi cammini fatti di spiritualità e devozione, del rapporto con la terra, con lo spazio che ci circonda, indagando il senso mistico racchiuso in un’esperienza fisica e religiosa, profonda e totale, arcaica e ancestrale, strettamente legata alle radici della storia e della memoria. Al tempo stesso lo sguardo dei fotografi è stato capace di cogliere, attraverso un approccio ora antropologico, ora visionario, ora poetico, l’emozione e la fatica, la speranza e il coraggio, del rapporto intimo e quotidiano con il sacro, i suoi luoghi, le sue testimonianze”.
E’ un percorso che sarà raccontato anche dalla mostra ‘Pietre viventi’: per quale motivo nell’anno 1000 si pensò di costruire l’Europa con mattoni nuovi?
“L’ideale di novità e di bellezza della costruzione della chiesa romanica è immagine profonda dell’edificazione della comunità cristiana attraverso ‘pietre vive’, come testimoniano numerose opere e testi medievali. Chi costruisce in Europa nell’anno 1000 sono uomini e donne che si accorgono della realtà che affiora davanti ai loro occhi, e che desiderano costruire cattedrali in cui tutti possano entrare e sentirsi parte di un abbraccio che li genera. L’impatto con la bellezza, l’architettura e l’arte romanica genera stupore e suscita domande ancora oggi come avveniva allora”.
Quindi è giusto dare spazio alle ‘profezie per la pace’, con una video intervista al card. Pizzaballa: ‘dentro questo mare di odio, di guerre, dolore e paura, serve essere capaci di vedere le realtà belle, di cercare le persone che spendono la propria vita per qualcosa di bello: sono i risorti di oggi che ti dicono che c’è ancora luce’?
“E’ proprio dentro l’inferno dell’esistenza che si possono scorgere uomini e donne che decidono di guardare e ascoltare la vita che sorge in loro. Sono volti e sguardi di persone che si sentono vive e che diventano testimoni di una mitezza che si trasforma in energia di bene. Apparentemente sembra non dare risultati immediati ma in realtà semina percorsi di riconciliazione. Ogni mostra quest’anno porta con se una profezia per la pace perché dietro a storie di paci impossibili, dietro volti di uomini impegnati con la realtà: dal lavoro alle amicizie più sincere, dalle espressioni artistiche alla passione educativa fioriscono pur dentro ai conflitti germogli di speranza”.
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