Anche le case history riguardano casi che spesso non rompono il muro del silenzio mediatico: dall’esodo forzato della comunità cristiana in Burkina Faso al lavoro della Chiesa a Cabo Delgado, in Mozambico, colpita incredibilmente dalla violenza jihadista; dalle norme che bloccano l’educazione di minori in Cina alle leggi anti-conversione in India; fino all’indebolimento del diritto all’obiezione di coscienza.
Sono due terzi dell’umanità – oltre 5,2 miliardi di persone – a vivere in contesti in cui la libertà di religione o di credo è compromessa. Violazioni sistematiche della libertà religiosa si sono verificate in 60 Paesi, e tra questi 24 rientrano nella categoria, gravissima, di “persecuzione”, mentre 36 rientrano in quella di discriminazione.
Il rapporto mette in luce una complessiva erosione dell’articolo 18 della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani. Solo due dei Paesi in cui la libertà religiosa è a rischio hanno sperimentato miglioramenti, e sono il Kazakhstan e lo Sri Lanka. Rientrano nella categoria della persecuzione Cina, India, Nigeria e Corea del Nord, e in 18 Paesi su 24 la situazione è peggiorata nel biennio in esame.
La discriminazione religiosa tocca 36 Paesi, ovvero 1,1 miliardi di persone potenzialmente a rischio. La lista include l'Egitto, l'Etiopia, il Messico, la Turchia e il Vietnam. Lì le minoranze religiose affrontano restrizioni sistematiche al culto, alla libertà di espressione e all’uguaglianza giuridica. Sebbene non siano soggette a repressione violenta, le discriminazioni comportano spesso emarginazione e ineguaglianza legale.
Poi ci sono 26 Paesi sotto osservazione. Ci sono dunque 940 milioni di persone che stanno sperimentando un aumento dell’intolleranza, un’erosione delle tutele giuridiche, l’estremismo religioso e l’interferenza statale nella vita religiosa .
La principale minaccia alla libertà religiosa è data dall’autoritarismo, sperimentato, ad esempio, in Cina, Eritrea, Iran e Nicaragua, dove lo Stato reprime la religione attraverso sorveglianza capillare, norme restrittive e la repressione del dissenso religioso. Il governo autoritario è tra i principali fattori di persecuzione in 19 Paesi e costituisce il fondamento dei modelli di discriminazione in altri 31.
La violenza jihadista si intensifica, si adatta e destabilizza su una scala senza precedenti. In 15 Paesi l’estremismo religioso rappresenta uno dei principali fattori di persecuzione, mentre in altri 10 contribuisce a forme di discriminazione. Dal Sahel al Pakistan, reti jihadiste decentralizzate colpiscono sia cristiani sia musulmani che rifiutano l’ideologia estremista. Gruppi come JNIM (Jama’at Nusrat ul-Islam wa al-Muslimin) e ISSP (Provincia del Sahel dello Stato Islamico) hanno consolidato il proprio controllo nel Sahel, mentre Ansar al-Sunna (ISCAP) in Mozambico e le Forze Democratiche Alleate (ADF) nella Repubblica Democratica del Congo mirano a stabilire un “califfato” nell’Africa centrale per legittimare la loro autorità e la loro ideologia.
Il nazionalismo religioso cresce e alimenta l’esclusione delle minoranze. L’identità nazionale è sempre più definita da forme di nazionalismo etno-religioso che erodono i diritti delle minoranze. In India e Myanmar, questo fenomeno si traduce in persecuzioni sistematiche; in Palestina, Israele, Sri Lanka e Nepal genera discriminazioni strutturali. L’India costituisce l’esempio più emblematico di “persecuzione ibrida”, dove strumenti giuridici e violenze di massa convergono contro le comunità minoritarie. Le narrazioni maggioritarie vengono utilizzate come strumenti politici, mentre sistemi legali e amministrativi consolidano condizioni di cittadinanza di seconda classe.
E c’è poi la questione delle migrazioni forzate e gli sfollamenti su larga scala. In Nigeria, gli attacchi di militanti fulani radicalizzati hanno devastato villaggi e comunità cristiane, provocando sfollamenti di massa. Nel Sahel — Burkina Faso, Niger, Mali — così come a causa della guerra civile in Sudan, intere comunità religiose sono state sradicate, i loro luoghi di culto distrutti e il loro patrimonio cancellato.
Il rapporto mette in luce anche come il crimine organizzato prende di mira sistematicamente comunità e leader religiosi, con i casi limite della Nigeria, dell'Haïti e del Messico, e con le chiese saccheggiate in America Latina e Africa subsahariana.
Ma la libertà religiosa è anche “vittima collaterale” dei conflitti, e succede in Ucraina, Sudan, Myanmar, Gaza e Nagorno Karabakh, dove ci sono stati, nota il rapporto “sfollamenti di massa, la chiusura di chiese e attacchi mirati contro comunità religiose, aggravando l’erosione della libertà di credo”.
In particolare, in seguito all’attacco di Hamas contro Israele del 7 ottobre 2023 e il conflitto a Gaza, si è registrato un forte incremento di atti antisemiti e anti-islamici in Europa, Nord America e America Latina. In Francia, gli atti antisemiti sono cresciuti del 1.000 per cento e i crimini d’odio contro i musulmani del 29 per cento. In Germania, i reati collegati al conflitto hanno raggiunto quota 4.369, rispetto ai soli 61 del 2022. Sinagoghe e moschee sono state prese di mira, individui aggrediti o minacciati e l’incitamento all’odio si è diffuso online. In molti contesti, le risposte governative sono apparse inadeguate, alimentando timori e insicurezza nelle comunità religiose.
Iscriviti alla nostra newsletter quotidiana
Ricevi ogni giorno le notizie sulla Chiesa nel mondo via email.
Nell'ambito di questo servizio gratuito, potrete ricevere occasionalmente delle nostre offerte da parte di EWTN News ed EWTN. Non commercializzeremo ne affitteremo le vostre informazioni a terzi e potrete disiscrivervi in qualsiasi momento.
Ma crescono anche gli episodi anticristiani nei Paesi occidentali. In Europa e Nord America è stato registrato un aumento significativo di attacchi contro siti e fedeli cristiani. Nel 2023, in Francia si sono contati circa 1.000 episodi anticristiani, mentre in Grecia sono stati registrati oltre 600 casi di vandalismo contro le chiese. In Canada, tra il 2021 e l'inizio del 2024, 24 chiese sono state incendiate. Incrementi simili sono stati segnalati anche in Spagna, Italia, Stati Uniti e Croazia, con profanazioni di luoghi di culto, aggressioni al clero e interruzioni di celebrazioni religiose, spesso motivate da ostilità ideologica, attivismo militante o estremismo anti-religioso.
Nei Paesi dell’area OSCE il diritto all’obiezione di coscienza subisce restrizioni crescenti. In Armenia, Azerbaigian, Ucraina e Russia, persone che hanno rifiutato il servizio militare per motivi religiosi o etici sono state incarcerate. Nelle democrazie occidentali, come il Belgio, le istituzioni ispirate alla fede sono sottoposte a pressioni legali sempre più forti per fornire servizi come l'aborto e il suicidio assistito, mettendo a rischio la libertà di agire secondo coscienza.
Un capitolo a parte meritano l’intelligenza artificiale e gli strumenti digitali, che vengono sempre più usati come arma contro i gruppi religiosi, con uno scambio di informazioni costante in Paesi come la Cina, la Corea del Nord e il Pakistan.
Ed è immancabile il tema delle donne, perché donne, ragazze e bambine appartenenti a minoranze religiose, anche di soli 10 anni, subiscono abusi sistematici. Il rapporto documenta i casi di gravi violazioni contro donne, in particolare in Pakistan, in Egitto, in Mozambico, dove le vittime sono state rapite e costrette alla conversione e al matrimonio forzato.
Ma è un rapporto che vuole anche mostrare speranza, perché “pur in un contesto di crescente limitazione alla libertà religiosa, hanno mostrato una resilienza incrollabile, operando come promotrici di pace e fornitrici di assistenza pastorale e d’emergenza”.