Eppure, nota Bartolomeo, “l'Onnipotente mostrò la sua preferenza per gli umili e gli anonimi. Esaltò la saggezza innata ma sicura dei semplici. Riconciliò anima e corpo. Parlò alle donne e ai bambini che erano allora trascurati o sfruttati. Affermò la gloria dei poveri che, senza illusioni sul mondo o su se stessi, attendono lo straordinario”.
Bartolomeo sottolinea che, tre decenni dopo la sua prima visita, lo “stato del pianeta è peggiorato”, rovinato come è da “disastri ambientali, divari tra potenti e deboli, conflitti armati tra nazioni, guerre civili e lotte intestine tra popoli, disordini e violenze all'interno di società, comunità e famiglie hanno continuato a moltiplicarsi”.
È un’“ora grave, poiché la dignità intrinseca di ogni persona umana, i diritti umani, il diritto internazionale, l'universalismo – tutto questo – è in gioco”. Bartolomeo ricorda l’impegno ecologico portato avanti con Papa Francesco, i viaggi ecumenici a Lesbo e Gerusalemme.
Ma sebbene questo impegno comune si sia concretizzato anche nella settimana per la cura del creato, col tempo – denuncia Bartolomeo – “abbiamo permesso che si sviluppasse una dolorosa frattura: la religione si è ritirata nei suoi santuari, la scienza nei suoi laboratori, ciascuna diffidente dell'altra. Ma questa separazione non è mai stata voluta da Dio”.
E, tuttavia, Bartolomeo ricorda anche “che ci sbagliamo quando chiudiamo un occhio sulla realtà. Durante la pandemia, alcuni hanno preferito le teorie del complotto alla verità scientifica; altri hanno invocato la sovranità divina trascurando le conseguenze delle loro azioni sul clima. Questa non è una testimonianza di fede, ma cecità spirituale. Non possiamo più separare la nostra preghiera dalle nostre azioni quotidiane. Il consumo eccessivo, l'inquinamento e la distruzione di foreste e mari non sono solo tragedie ecologiche: rivelano una ferita dell'anima, una crisi spirituale del nostro tempo”.
Bartolomeo chiede di “reimparare la lentezza feconda”, perché “abbiamo perso il ritmo sacro del tempo”, e lancia l’idea di “una teologia dell’interconnessione”, perché “la salute del pianeta e il benessere dei suoi abitanti sono inseparabili”, e per questo “non possiamo guarire la Terra senza guarire le nostre relazioni umane”.
Bartolomeo sottolinea che l’appello per la nostra casa comune “risuona potentemente di fronte al peso globale del nichilismo, la tentazione del nulla che cerca di impadronirsi delle menti e dei cuori dei nostri contemporanei in ogni continente”.
In questo contesto, aggiunge Bartolomeo: “La testimonianza della Chiesa cattolica in Francia è cruciale”, anche sul cammino dell’unità, una questione che “si estende ben oltre l'ambito ecumenico” e ha profondamente influenzato i dibattiti e gli orientamenti del Concilio. Perché è nel mistero dell'unità del Corpo di Cristo, che è la Chiesa, che si forgia la sua missione di insegnamento e di servizio, che rimane al centro della nostra vocazione”.
È una eredità che “può sembrare scoraggiante”, e di cui però la Francia può farsi carico, ergendosi sulle spalle di giganti della fede come Yves Congar e Henri de Lubac, i quali “hanno dimostrato che la vera tradizione non è conservatrice ma creativa, che sa tradurre l'eterno nel qui e ora. Il primo ha ammonito che "la salvezza può essere persa". E il secondo che "non si tratta di adattare il cristianesimo agli uomini, ma di adattare gli uomini a Cristo".
Bartolomeo poi ricorda che nel 1965 furono revocati gli anatemi del 1054 tra le Chiese di Roma e Costantinopoli, un “gesto profetico” che “agisce come un potente rimedio e un metodo singolare che invoca il perdono delle offese e delle ferite passate”, rimuovendo "dalla memoria e dall'ambiente della Chiesa le sentenze di scomunica che le seguirono, e il cui ricordo opera ancora oggi come ostacolo alla riconciliazione nella carità, consegnandole all'oblio".
Ma oggi, denuncia Bartolomeo, alcuni “vorrebbero ridurre la fede a mera identità, strumentalizzandola addirittura per scopi contrari alla buona novella”, arrivando a sacralizzare l’appartenenza ad un popolo che il Concilio di Costantinopoli dei Patriarchi Orientali nel 1872 definì come “etnofiletismo”, ovvero “l’eresia moderna per eccellenza”, perché “tale deviazione porta alla confusione idolatrica”.
Per questa ragione, spiega Bartolomeo, è stata concessa l’autocefalia alla Chiesa ortodossa ucraina, “garantendo così ai fedeli di quel Paese il fiorire della loro vita cristiana nella libertà di coscienza, confessione ed espressione”. Ma “attaccando Kiev, Mosca ha lanciato, per usare le sue stesse parole, una "crociata" che unisce i poteri temporali e spirituali in una guerra ingiusta di insensata crudeltà e che, purtroppo, sprofonda la Russia, nonostante la sua intrinseca pietà, in un abisso di empietà”.
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Denuncia Bartolomeo: “Questa nuova alleanza tra trono e altare è fondamentalmente contraria al Vangelo e all'Ortodossia. La tragedia delle donne e dei bambini ucraini, che subiscono quotidianamente una pioggia di bombe e missili, è anche la nostra tragedia. Consideriamo quindi un segno di risveglio il fatto che, come il Patriarcato ecumenico, lo Stato, la Chiesa e l'opinione pubblica in Francia comprendano che il futuro dell'Europa, la sua integrità – non solo territoriale ma anche morale – è in gioco”.
Il Patriarca sottolinea che “la crisi che il nostro mondo sta attraversando non si limita a tensioni politiche, guerre o squilibri economici”. È più profonda, una ferita spirituale. L'umanità ha dimenticato la sua anima. Abbiamo perso il senso del sacro e, con esso, il senso della fraternità. Quando Dio scompare dalla vista umana, la terra diventa una risorsa da sfruttare, l'altro un rivale da temere e la vita stessa una merce. La rottura con il Creatore genera la rottura tra le creature. È da questa amnesia spirituale che nascono violenza, paura e ingiustizia. Per questo noi, discepoli di Cristo, abbiamo una sacra responsabilità. Dobbiamo ricordare al mondo che la pace non si costruisce solo sulla ragione umana, ma sul riconoscimento del divino in ogni persona”.
Il Patriarca Bartolomeo sottolinea: “Crediamo quindi che la pace trovi la sua origine nella vita stessa di Dio, nella comunione delle Persone Divine. È partecipazione a questa armonia eterna in cui amore e libertà si uniscono senza confondersi. Entrare in questa pace significa entrare nel movimento stesso della Trinità: un movimento d'amore che discende sul mondo per guarirlo e santificarlo”.
Ma “il nichilismo del nostro tempo sembra duplice. Procede sia attraverso la dissoluzione fondamentale delle identità, sia attraverso la loro ricostruzione artificiale”.
Per Bartolomeo, è questa la sfida. E passa dal “rifiuto della comunitarizzazione della fede cristiana”, portando invece “l’annuncio della salvezza a tutti”.
Guardando ai giovani, Bartolomeo li definisce “il presepe vivente” della comunità ecclesiale, e “il loro impegno nelle parrocchie, nei movimenti e nelle opere di carità è un segno tangibile che la missione della Chiesa continua a dare frutti, che l'amore di Cristo continua ad attrarre e trasformare”.