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Bakhita raccontata da Veronique Olmi: una storia, un romanzo, una santa

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Per la prima volta, nella sua breve  e tragica esistenza, qualcuno le offre la possibilità di indossare un abito, una semplice tunica, è vero, ma che subito le restituisce la dignità del proprio corpo.
Bakhita, senza un vero nome, tranne questo affibiatole per scherno da un cacciatore di schiavi e che significa "fortunata", senza possedere nulla, neppure quel suo povero  corpo martoriato, sfregio, venduto come una cosa, ha quasi 14 anni (forse, perché non è neppure in grado di contare  i propri anni)  quando comincia a intravvedere la possibilità di tornare a sentirsi un essere umano, non una schiava per sempre.
 
Ed è il momento in cui il suo nuovo "padrone" diventa il console italiano in Sudan, Callisto Legnano.  Questo momento fondamentale,  in un certo senso ancora più straziante delle descrizioni delle in umane sofferenze della ragazza, viene descritto con grande sensibilità,  attraverso una scrittura a tratti poetica, dalla francese Veronique Olmi nel suo ultimo romanzo, "Bakhita", ora tradotto e pubblicato in Italia dalla Piemme editrice.
 

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Non si tratta propriamente di una biografia, ma di un romanzo verità, nel senso che racconta appunto la storia vera e straordinaria della bambina rapita e venduta in Sudan, liberata in Italia, passata dalla famiglia del console ad un'altra che la volle far diventare bambinaia, che scoprì Gesù e il Suo amore e decise di dedicarGli la sua vita, prendendo i voti e diventando suora. Non si limitò a questo, visse l'intera esistenza amando, amando senza limiti, con una grazia e umiltà capaci di conquistare.  
 
Affrontando molte difficoltà anche nella sua vita da "libera", perché in fondo la famiglia che l'aveva accolta la considerava an ora una proprietà e non voleva lasciarla andare, quando a lei fu chiara la propria  vocazione. Fu chiamato in causa il procuratore del Re e chiamato in causa il cardinale Domenico Agostini, patriarca di Venezia, per fare presente alla famiglia Michieli che non poteva pretendere di esercitare alcun possesso verso un altro essere umano: si dovette procedere a un riconoscimento legale del fatto che Bakhita era "libera", il 29 novembre 1889. 
 
La sua fu una lunga vita, perché nacque intorno al 1869 e morì nel 1947, in Veneto, che ormai considerava "casa sua". Per tutti era "Madre Moretta" , aveva imparato a parlare un simpatico miscuglio di veneto, italiano e qualche "inserto" di arabo, imparato a leggere e scrivere, imparato a pregare. Tutte cose che le erano completamente sconosciute fino al suo arrivo in Italia.  
Nel romanzo molto vivida è la descrizione delle mille tribolazioni vissute da Bakhita schiava, ma anche il non facile passaggio ad una vita totalmente diversa in Italia, mentre con grande delicatezza viene tratteggiato l'incontro con Cristo, con il Mistero, e il percorso di una vita di fede, un percorso sempre tutto in salita. Nel 2002 papa Giovanni Paolo II ha proclamato santa Bakhita e proprio di recente papa Francesco l'ha citata ad esempio per tutti nel suo cammino verso la santità. 

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Il libro della Olmi rappresenta anch'esso un "caso" particolare. Perché si tratta di uno dei romanzi francesi  di maggior successo degli ultimi mesi, vincitore di molti premi prestigiosi e accolto con grande favore dalla critica. Proprio nella laicissima Francia, dunque, ci si commuove e ci si entusiasma per  un personaggio così fuori dagli schemi, tanto vicina a quelle storie "meravigliose" e quasi paradossali che si trovavano negli exempla medievali, nelle "leggende auree". Ma anche tragicamente attuali, con le molte schiavitù,  fisiche e morali, che il nostro tempo è capace di infliggere.
 
"Mi sono avvicinata alla storia di Bakhita per caso, entrando un giorno nella chiesa di Langeois,  nella Loira, dove ho una casa", ha raccontato la scrittrice. "Ho visto il suo ritratto e sono rimasta completamente rapita da quello sguardo. C'erano poche notizie, stavo scrivendo un altro libro, ma non ho potuto fare altro che accantonarlo e dedicarmi a scoprire tutto di quella donna".