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Benedetto XV, nelle sue lettere di un secolo fa la foto di un mondo che non è cambiato

La Pacem Dei Munus Pulcherrimum ha compiuto cento anni. Ma in quel 1920, Benedetto XV inviò una serie di missive che rappresentano una delle migliori fotografie della Chiesa nel tempo

Benedetto XV | Benedetto XV | Wikimedia Commons Benedetto XV | Benedetto XV | Wikimedia Commons

Il 1920 è l’anno dell’Accordo di Trianon, che ridisegna la mappa europea, sposta interi popoli e confini, certifica il crollo dell’Impero Austro Ungarico. Ed è anche l’anno in cui Benedetto XV scrive la Pacem, Dei Munus Pulcherrimum, che delinea appunto la politica per la pace della Santa Sede. Una politica che Benedetto XV porta avanti in molti modi diversi. E uno di questo sono le epistole.

Le lettere inviate dal Papa per la pace nel 1920 dicono molto di quegli anni turbolenti. Benedetto XV scrive ai vescovi di Bergamo e Veneto per supportarli nel cosiddetto “biennio rosso”, si rivolge ai vescovi di Polonia nel momento difficile della guerra russo-polacca che porterà poi al miracolo della Vistola, affronta il problema dei vescovi boemi che chiedono che la disciplina del celibato ecclesiastico venga ridefinita. C’è un mondo che va in pezzi, un cambiamento di era, che colpisce anche la Chiesa cattolica. Rileggere le lettere aiuta a comprendere come la Santa Sede si sia posta riguardo questi problemi.

Si rivolgono a Benedetto XV i vescovi di Austria, che hanno “incessanti preoccupazioni e inquietudini”. Si trovano in un impero smembrato, in una nazione di grande povertà. Papa Dalla Chiesa scrive loro la lettere Plane Intelligimus (Comprendiamo pienamente), inviata il 26 novembre 1920, in cui sottolinea che “la nostra prima preoccupazione è per i bimbi poveri, e il nostro pensiero è di fare nuovamente qualcosa per venire in loro aiuto”.

Quindi, la questione polacca. La nazione si è ricostituita, e subito i sovietici vogliono portarla sotto il loro cono di influenza. Ne nasce un conflitto durissimo, che non manca di colpi di scena, fino al cosiddetto “miracolo della Vistola”, che porta alla vittoria delle truppe del maresciallo Pilsudski il 16 agosto 1920.

L’8 settembre, Benedetto XV scrive ai cardinali Kakowski e Dalbor e a tutti i vescovi di Polonia, sottolinea il “manifesto intervento di Dio” nei fatti che hanno mutato la situazione polacca, e ritiene che quello che è accaduto “sia da attribuire anche alle preghiere che avevamo comandato fossero levate a lui da tutto il mondo cattolico in favore della Polonia”.

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Ricorda, Benedetto XV, di aver chiesto preghiere quando “ovunque si disperava dalla salvezza della Polonia”, e per questo “il popolo polacco, nel rendere incessanti grazie a Dio per tale evento, faccia solenne promessa di difendere anche in futuro, sotto la guida dei vescovi, la fede cattolica”.

Poco prima della fine delle ostilità, il 3 agosto 1920, Benedetto XV aveva scritto infatti al suo vicario della diocesi di Roma, compiacendosi dell’iniziativa di pregare per la Polonia nella Chiesa del Gesù a Roma , auspicando che l’esempio fosse seguito anche dai vescovi del mondo cattolico, dato che era “nota la materna ansiosa sollecitudine con la quale la Santa Sede ha sempre seguito le fortunose vicende della nazione polacca”.

Non solo le situazioni della Chiesa. Il Papa che ha scritto la Maximum Illud, lanciando un nuovo modello missionario, punta anche ad una Chiesa missionaria ma con i piedi ben saldi in Roma. Sacerdoti locali, formatisi però alla scuola della cattolicità. Nasce, in quegli anni, il seminario elvetico a Roma, Benedetto XV non manca di inviare lettere ai vescovi di Svizzera compiacendosi delle iniziative. Ma ci tiene anche a scrivere ai vescovi scozzesi, per far risaltare l’importanza del Collegio Romano degli Scozzesi, fondato da Clemente VIII. Un collegio che non aveva dato i frutti sperati per diverso tempo, finché non era stato chiesto aiuto allo stesso Papa per rilanciare il collegio. “Il successo della iniziativa . scrive il Papa ai vescovi di Scozia in una lettera del 25 luglio 1920 - col favore di Dio, superò la Nostra attesa dato che, chiedendo l’obolo, fu da voi raccolta quella somma che consentì al Collegio di liberarsi dalle sovvenzioni esterne e fece sì che esso in seguito fosse autonomo”.

Al vescovo di Basilea e di Lugano Giacomo Stammler, Benedetto XV scrive la sua gioia per l’istituzione di un seminario elvetico a Roma, specialmente considerando la situazione della Chiesa svizzera, ma anche la situazione generale.

“Vedete bene voi stessi – scrive il Papa - quanto sia necessario, in tempi tanto tristi, che i Vescovi collaborino in ogni modo e uniscano i loro sforzi per contrastare le trame dei malvagi, specie quelle dei socialisti, i quali, presentando ai diseredati il miraggio fallace di una futura società, lavorano per confondere ogni cosa e per distruggere, unitamente alla civiltà, la religione e i costumi”.

Continua Benedetto XV: “A confutare simili errori sarà estremamente utile che le persone più capaci, sia del clero, sia secolari, sotto la vostra guida, si dedichino a diffondere, con parole e con scritti, gli eterni princìpi della sapienza cristiana, quei princìpi che, quando sono stati pratica di vita, hanno generato mirabili virtù e recato benessere agli Stati”.

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Sono tre le lettere che riguardano il “biennio rosso”, la serie di proteste socialiste che hanno incendiato l’Italia, e in particolare il Nord Italia, tra il 1919 e il 1920. Il 22 giugno 1920, Benedetto XV scrive al Cardinale Giorgio Gusmini, arcivescovo di Bologna, e agli altri vescovi della regione Flaminia, per chiede che le lotte sociali si svolgano nel rispetto della giustizia e dell’osservanza della pace.

“Il primo dovere – scrive Papa Dalla Chiesa – è quello di sentire ed agire correttamente”, perché “è lecito, certo, a coloro che vivono nella miseria adoperarsi per migliorare il proprio stato, però non è lecito voler raggiungere tale obiettivo attraverso il disordine e la violenza, senza fare differenza tra mezzi giusti e ingiusti”.

Il Papa quindi chiede a “a tutti coloro che sono a capo di organizzazioni operaie cattoliche” di “prestare cura e attenzione che gli operai conducano una buona lotta nel rispetto della giustizia e nel mantenimento dell’ordine”.

Il 14 giugno 1920, Benedetto XVI scrive ai Cardinali Pietro La Fontaine, arcivescovo di Venezia, Bartolomeo Bacilieri, vescovo di Verona, e a tutti i vescovi della Regione Veneta. Anche loro erano preoccupati per il conflitti sociali che turbavano la popolazione.

Nella lettera c’è un vero e proprio vademecum di applicazione della Dottrina Sociale della Chiesa. Il Papa approva la scelta di “istituire gli Uffici del Lavoro”, che possono “dirimere le controversie tra capitale e mano d’opera”, sempre che si ispirino ai principi cattolici, perché “solo la Chiesa ha sicurezza e stabilità di rimedii”.

Benedetto XV esorta quindi i ricchi ad “essere larghi nel dare e ad ispirarsi più all’equità della legge”, ma chiede anche ai proletari di “vigilare per la propria fede, la quale corre pericolo se si eccede nelle richieste”. E il tema è quello dell’odio di classe sobillato dai socialisti, che porta a disconoscere “le varie disuguaglianze sociali volute da natura pur nella stessa uguaglianza e fraternità umana, e quando infine si fa consistere tutto lo scopo della vita nella conquista dei beni terreni”.

Il timore di Benedetto XV è che quando i proletari “rivendicano i propri diritti, si lascino andare al punto di dimenticare i propri doveri e invadere i diritti altrui”. L’obiettivo è quello di evitare che i proletari si lascino prendere dalla propaganda socialista. Benedetto XV chiede loro di rimanere “fedeli alla Chiesa, quantunque sembri che essa dia meno degli avversari”, perché la Chiesa “non promette cose smodate e ingannevoli, ma soltanto giuste e durevoli”.

Benedetto XV quindi chiede ai vescovi di impegnarsi perché “il popolo lotti per i propri obiettivi pacificamente”.

L’11 marzo 1920, Benedetto XV scrive al vescovo Luigi Maria Marelli, vescovo di Bergamo sulla “necessità di diffidare della propaganda dei socialisti”.

Anche a Bergamo è stato istituito un “Ufficio del Lavoro” per provvedere ai bisogni delle diverse categorie di operai, e ci tiene a ribadire che non c’è felicità perfetta, perché quella ci sarà solo in cielo, ma si può migliorare “la nostra condizione e procurarci un maggiore benessere”, ricordando però che “per il bene comune nessuna cosa è più giovevole dell’armonia e della concordia fra tutte le classi sociali: di ciò è fautrice massima la carità cristiana”.

Insomma, fa male aizzare i poveri contro i ricchi con l’obiettivo di migliorare le condizioni dei poveri, e chiede al vescovo di ricordare ai cattolici di guardarsi bene “dall’adoperare l’intemperanza di linguaggio propria dei socialisti”, perché si tratta di una “azione e una propaganda tutta pervasa di spirito cristiano; senza questo potranno nuocere molto, certo non giovare”.

Benedetto XV sottolinea che l’elevazione degli umili debba arrivare anche attraverso l’aiuto di chi “dalla Provvidenza è stato fornito da maggiori mezzi”, chiede agli imprenditori cattolici di fare “più larghe e liberali concessioni”, ricordando che la distinzione delle classi sociali viene dalla volontà di Dio.

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Benedetto XV chiede dunque di non lasciarsi ingannare dalle promesse dai socialisti, e invita i sacerdoti a “opporsi energicamente a codesti pericolosissimi nemici della fede cattolica e della società”.

Due lettere sono inviate da Benedetto XV all’arcivescovo di Praga Francesco Kordac, per superare la richiesta di abolire o mitigare la legge sul celibato ecclesiastico. La prima per suggerire delle contromisure al movimento che vorrebbe cambiare la legge della Chiesa, la seconda per compiacersi delle misure prese, ma anche cercando di comprendere come mai “non pochi sacerdoti boemi, travolti da crisi di coscienza, avevano sciaguratamente abbandonato la chiesa di Gesù Cristo”, motivo per cui si era deciso per la scomunica latae sententiae.

“Sappiamo perfettamente – scrive Benedetto XV - che il numero dei sacerdoti che si sono separati dall’unità della Chiesa è di gran lunga inferiore al numero di coloro che restano fedeli alla loro missione; ma non ignoriamo quali e quanto gravi danni e pericoli sovrastino la compagine di tutto codesto clero”. Per questo, Benedetto XV lodava la decisione dei vescovi locali di sciogliere l’Associazione Generale del Clero e il divieto di fondare associazioni diocesane prima che siano opportunamente salvaguardati i diritti dell’autorità episcopale, dato che “affinché rimanga intatta la disciplina ecclesiastica, è strettamente necessario che il clero, anche se associato, rimanga sotto l’autorità e la vigilanza dei Vescovi che hanno il dovere di guidarlo e di governarlo”.

Tra le lettere del 1920, c’è anche una lettera a Herbert Hoover, commissario ai viveri negli Stati Uniti, per l’opera svolta a favore dei bambini europei coliti dalla guerra. È un tema che sta molto a cuore al Papa Dalla Chiesa.

Il Papa scrive ad Hoover ricordando il lavoro fatto già in favore dei bambini belgi durante la guerra e raccomanda “nel modo più insistente l’opera, che voi svolgete a questo scopo, alla generosità di tutti i cittadini dell’America, senza distinzione di religione o di partito, nella piena certezza che essi stessi — il cui cuore resta sempre aperto ad ogni nobile iniziativa — risponderanno con entusiasmo a questo appello; tanto più saranno felici di vedere che la vostra opera, estranea a qualsiasi risentimento e a qualsiasi particolarismo, ha quale scopo il soccorrere tutti gl’infelici, e con preferenza i piccoli bimbi innocenti di coloro che furono i nemici di ieri e che, attualmente, sono vittime delle maggiori sofferenze”.