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Chi sono i nuovi santi di Ungheria?

Dal Cardinale Mindszenty ai nuovi martiri, ecco le vite dei santi di Ungheria che Papa Francesco ha toccato durante la sua visita

Tomba Mindszenty | La tomba del Cardinale Mindszenty nella basilica di Esztergom | Wikimedia Commons Tomba Mindszenty | La tomba del Cardinale Mindszenty nella basilica di Esztergom | Wikimedia Commons

Nel suo viaggio a Budapest, ci sono due momenti in cui Papa Francesco ha toccato con mano la storia dei santi recenti di Ungheria. Il primo, nel discorso alle autorità. Il secondo, quando ha incontrato sacerdoti, seminaristi, religiosi e religiose nella cattedrale di St. Istvan (Santo Stefano).

Parlando con le autorità, Papa Francesco ha caratterizzato Budapest come “città dei santi”, ricordando diversi confessori della fede ungheresi, a partire da re Stefano, che rese l’Ungheria cristiana, passando per l’intera famiglia del re santo e arrivando fino al Venerabile Cardinale Jozef Mindszenty. Il nome di Mindszenty è stato citato anche dalla presidente Novak nel suo discorso.

Quindi, il pomeriggio, ha ricevuto un indirizzo di saluto da parte di Jószef Brenner, sacerdote di 88 anni e fratello di Jànos, che fu martirizzato nel 1957, a soli 26 anni, e beatificato nel 2018.

Ma la visita di Papa Francesco tocca anche, direttamente o indirettamente, la vita di altri santi di Ungheria, con storie tutte da scoprire.

Il Cardinale Mindszenty

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Per la beatificazione del Cardinale Mindszenty si attende solo il miracolo. Perseguitato dal primo governo comunista Era stato arrestato come sacerdote dai comunisti di Bela Kun già nel 1919, e fu arrestato di nuovo dai nuovi dominatori sovietici, trascorrendo in prigione tra il 1949 e il 1954.

Il cardinale Mindszenty fu poi mandato agli arresti domiciliari, e liberato dalla Guardia Nazionale durante la Rivoluzione del 1956.

Quando i sovietici ristabilirono il vecchio regime, si rifugiò nell’ambasciata USA di Budapest, e non poté partecipare ai conclavi del 1958 del 1963. Nel 1971, il Cardinale Mindszenty poté finalmente lasciare l’ambasciata USA, e andò a Roma per poi stabilirsi a Vienna. Seppure ottantenne, cominciò a girare il mondo per dare conforto alle comunità ungheresi.

Sebbene la sua sia una storia di martirio, alla fine la sua causa di beatificazione è iniziata come confessore della fede, perché non morì come martire. Gergely Kovacs, postulatore della causa di beatificazione del Cardinale, sottolinea che comunque “la storia della sua vita ci dimostra che lui è un martire bianco, perché è stato martirizzato, anche se non ucciso. Abbiamo fatto ricerche interessanti riguardo la sua vita. Negli ultimi anni di prigionia soffrì di due gravi malattie a stomaco e polmoni. Queste malattie, dopo la sua liberazione, sono tornate dopo quattro o cinque anni”.

Per questo, si poteva pensare che la sua causa fosse definita come martirio propter aerumnas, ovvvero a causa delle sofferenze, una formula già usata per la beatificazione di Teofilo Matulionis in Lituania e del vescovo greco-cattolico Iuliu Hossu in Romania.

Tuttavia, “la causa è iniziata come confessore della fede e deve terminare come confessore della fede”, spiega Kovacs. Il postulatore sottolinea anche che ci sono gruppi di preghiera per la beatificazione del Cardinale Mindszenty persino in Nigeria. Si calcola che ogni giorno vengano elevate un milione e mezzo di preghiere per propiziare la beatificazione. Tuttavia, “ci sono stati casi, ma non sono miracolosi. C’era un caso su cui avevamo riposto molte speranze, ma purtroppo nell’anno in cui questo miracolo è accaduto in Ungheria la medicina non era così avanzata da poter permettere di definire se fosse una guarigione miracolosa o meno”.

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János Benner

Padre Benner è già beato. Era un sacerdote di Szombathely, e il regime comunista lo credeva un oppositore per via della sua azione pastorale. Il vescovo gli propose un trasferimento per ragioni di sicurezza, ma lui rispose di fidarsi pienamente di Dio.

 “Si tratta – dice Kovacs – di un esempio molto bello. Era giovane. Gli avevano chiesto di andare a portare i sacramenti ad un uomo malato e lui era andato con l’Eucarestia. Durante il viaggio fu ucciso brutalmente con 32 coltellate, da un gruppo di più di dieci poliziotti. Fu trovato morto tenendo ancora in mano la teca con l’Eucarestia.”

Era chiaro che l’omicidio fosse deliberato. Si trattava, spiega Kovacs, di “un sacerdote molto bravo, stimato dai giovani, e in quegli anni dopo la rivoluzione del 1956 il partito comunista voleva rafforzare il suo potere sulla Chiesa cattolica. Il Partito Comunista diede il comando di fermarlo o di avvisarlo, ma i poliziotti andarono oltre”.

La storia del beato Batthiany, e la santità della moglie

Poi c’è una storia che il Papa incrocerà: la causa di beatificazione di Maria Teresa Coreth, la moglie del beato Batthiány-Stratman, che fu beatificato nel 2003. Al beato è intitolato l’istituto per ciechi che Papa Francesco ha visitato la mattina del 29 aprile.

László Antal János Lajos Batthyány-Strattmann era conosciuto come “il dottore dei poveri”. Era un artistocratico, un principe, che visse tra il 1870 e il 1931, e che scelse la professione civile invece di godere dei privilegi del suo status aristocratico.

Sesto di sei figli, si ritrovò presto senza padre, che abbandonò la famiglia, e senza madre, la contessa Ludovika Batthyány, che morì quando il beato aveva appena 12 anni. Ebbe una parte di vita tumultuosa, studiò all’Università di Vienna in diversi corsi, tra cui chimica, filosofia e storia della musica, ebbe una figlia illegittima di cui si prese cura fino alla fine, e solo nel 1896 scoprì la sua vocazione a studiare medicina.

Nei quattro anni che lo portarono alla laurea, incontrò la contessa Maria Theresia Coreth zu Coredo und Starkenberg, e la sposò nel 1898. Ebbero dodici figli. Il beato László non smise mai gli studi, e divenne prima chirurgo, e poi oftalmologo. Aprì il primo ospedale rurale di Ungheria a Kittsee.

Anche la moglie era in odore di santità, e Gergely Kovacs sottolinea che “c’è grande devozione per lei”, e che anzi alcuni la considerano “ancora più santa” del marito. Tuttavia, quando si aprì la causa di beatificazione per Batthyány-Strattman, si preferì non aprirne anche un’altra per la moglie, per ragioni pratiche. Non era ancora il tempo delle canonizzazioni delle coppie di sposi, che invece poi sono diventate sempre più frequenti.

I martiri francescani

C’è poi la causa dei “martiri francescani”, ovvero di Bernát Károly e compagni, tutti francescani, tutti uccisi in odio alla fede in epoca comunista.

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Padre Károly era stato addirittura in missione in Cina, tornò in Ungheria nel 1938, e poi organizzò un ospedale alla fine della Seconda Guerra Mondiale. Nel 1945 protestò contro il trattamento umiliante dei detenuti politici e fu arrestato per questo motivo. Poi fu arrestato due volte nel 1949, prima per “predicazione anti-democratica”, e poi “cospirazione anti-democratica contro la Repubblica popolare”. Per questo, fu condannato a 15 anni di galera nel 1950, e lì fu torturato. Secondo le testimonianze continuò a confessare e ad aiutare gli finché morì a causa delle sofferenze.

Padre Rafael Kriszten si distinse durante la Seconda Guerra Mondiale, salvando un gran numero di perseguitati. Nel 1950, cominciarono le deportazioni dei religiosi. Ma quando il camion della polizia si fermò davanti al convento, la folla protestò. Le proteste furono chiuse brutalmente solo nella notte, e padre Rafael e altri tre padri francescani furono picchiati e deportati. Padre Rafael fu condannato il 26 maggio 1951 all’ergastolo per cospirazione, e morì anche lui nel 1952 a causa dei maltrattamenti.

Krizosztom Körösztös era invece del convento di Novi Sad, in Serbia, che apparteneva alla provincia ungherse, e lì rimase pur sapendo di essere a rischio. Il 23 ottobre 1944 religiosi ed altri detenuti furono prelevati dalle truppe serbe, e il 28 ottobre furono uccisi.

Un altro martire del convento francescano di Novi Sad fu Padre Kristóf Kovács, che chiese il trasferimento a Vojvodina nel 1944 perché voleva morire martire per Cristo. Anche lui fu arrestato e deportato il 26 ottobre 1944.  Lui continuava a confortare i suoi compagni durante la prigionia, dopo le marce li confessava durante la notte, spesso amministrò il sacramento della penitenza a persone che non si confessavano da decenni. Così, fu separato dai compagni durante una marcia e fucilato.

Padre Szaléz Kiss fu il maestro dei chierici (direttore spirituale dei seminaristi) del convento francescano di Gyöngyös dal 1944 ed i novizi vissero l'occupazione russa sotto il suo controllo. Per riunire i giovani della città, nel 1945 organizzò la Cooperativa Cristiana Democratica dei Giovani, che i comunisti non approvavano perché indeboliva la loro attività organizzativa tra i giovani. Padre Szaléz Kiss fu arrestato il 28 aprile 1946 con la falsa accusa di aver guidato una cospirazione armata ed aver istigato i suoi alunni a uccidere soldati sovietici, promettendogli l'assoluzione in anticipo. Erano testimonianze false, perché mai – è stato poi appurato, il padre aveva violato il sigillo della confessione. Fu giustiziato il 10 dicembre 1946 a Sopronkőhida.

Padre Padre Zénó Hajnal era superiore del convento francescano di Nagyatád. La domenica di Pasqua del 1945 i soldati bulgari occuparono il villaggio e scacciarono gli abitanti, inclusi il parroco, Pál Martincsevics e Padre Zénó, che si rifugiò presso di lui, dovettero unirsi alla marcia. Quando un soldato bulgaro vide nel gruppo i sacerdoti in abito e in veste talare, li chiamò e gli sparò senza alcun motivo. Nessun altro fu ferito; il soldato li uccise per odio verso la fede.

Il processo di un membro del convento francescano di Hatvan, Pelbárt Lukács, fu unito al processo di Szaléz Kiss. Lui fu accusato di aver assicurato la comunicazione tra le città di Hatvan e Gyöngyös nella cospirazione antisovietica e di aver avuto informazioni dei preparativi dell'assassinio di soldati a Gyöngyös. Padre Pelbárt fu arrestato nei primi giorni del maggio del 1946 e le autorità ungheresi lo deferirono al tribunale sovietico di guerra. Al termine di un processo farsa fu condannato a dieci anni di lavori forzati. Padre Pelbárt morì il 18 aprile 1948 di carcinoma della laringe, tra molte sofferenze. Le autorità sovietiche l'hanno riabilitato nel 1993.

Aron Marton

È aperta dal 1992 invece la causa di beatificazione del vescovo di Alba Iulia Aron Marton, che fu perseguitato dalle autorità comuniste romene perché secondo loro sosteneva le attività irredente ungheresi. Alba Iulia era infatti in quella parte della Transilvania che era passata nella gestione romena dopo il trattato di Trianon del 1918. Giusto tra le nazioni per la sua attività in favore degli Ebrei, fervente sostenitore della libertà e dei diritti umani, fu imprigionato tra il 1949 e il 1955, e agli arresti domiciliari tra il 1957 e il 1967. Poi, tornò alla sua attività pastorale, fu nominato arcivescovo, e fu anche presidente della Conferenza Episcopale Romena.

Nel 1969, Paolo VI fu consigliato, per dare un segnale alle autorità romene, di creare cardinali Iuliu Hossu (beatificato da Papa Francesco nel 2019) e Marton. Le autorità romene dichiararono inaccettabile la nomina di Hossu, e allora Marton rinunciò al cardinalato. Paolo VI nominò Hossu cardinale in pectore, e il suo nome fu rivelato solo nel 1974, un anno dopo la sua morte.

È considerato santo ungherese, benché arcivescovo romeno, e la sua fama di santità è molto diffusa, sebbene – dice Gergely Kovacs – le procedure sono un po’ lente.

Un altro possibile santo

Infine, Gergely Kovacs segnala la causa di canonizzazione di padre Placid Olofsson, morto nel 2017. “Una storia molto bella – sottolinea – perché questo sacerdote ebbe l’ispirazione di cosa avrebbe potuto fare nel gulag ungherese, dove trascorse dieci anni”.

Padre Olafson utilizzava il canto per evangelizzare, cantavano la confessione, e fu per questo motivo che fu arrestato nel 1948. Ma lui continuava ad utilizzare il canto nel gulag, e in questo modo poteva pregare, assolvere, dare conforto. Addirittura – ricorda Kovac – “organizzava le olimpiadi della gioia nel gulag, invitando tutti a raccontare le loro situazioni concreta, e definì anche i ‘comandamenti del gulag’.”

Si tratta – conclude Kovacs – di “una vera testimonianza cristiana”.