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Dopo lo Schulerkreis. Cardinale Koch: “Non si può sostituire la teologia con la politica”

Il coordinatore del Nuovo Schuelerkreis tracci una bilancio dell’ultimo appuntamento degli ex studenti di Benedetto XVI. “Il centro di tutto deve essere Dio”

Cardinale Kurt Koch | Il Cardinale Kurt Koch al Ratzinger Schuelerkreis  | Pablo Esparza / ACI Group Cardinale Kurt Koch | Il Cardinale Kurt Koch al Ratzinger Schuelerkreis | Pablo Esparza / ACI Group

“Non possiamo sostituire la teologia con la politica”. Il Cardinale Kurt Koch, presidente del Pontificio Consiglio per la Promozione dell’Unità dei Cristiani, sintetizza così la grande questione del dibattito teologico attuale. Lo spunto di riflessione è dato dal dibattitto all’ultimo Ratzinger Schuelerkreis, il circolo di ex studenti di Benedetto XVI che recentemente si è allargato anche ad un gruppo di giovani. Una famiglia teologica, che il Cardinale coordina, e che quest’anno si è riunita per discutere della “Questione di Dio nelle sfide attuali”.

Il Cardinale Koch sottolinea il problema della secolarizzazione dell’Europa. Mette in luce che manca una fede in Dio, e dunque in Cristo, ma che non manca la religiosità in Europa. Mette in luce come l’assenza di un Dio personale è il grande problema dei nostri tempi. E critica i toni del dibattito su Dio, che spesso si colorano di un linguaggio secolare, più che teologico.

Nell’omelia finale del Ratzinger Schuelerkreis lei ha detto che il problema principale oggi non è la mancanza di fede, ma la mancanza di fede in Cristo. Perché?

Prima di tutto, direi che sperimentiamo una mancanza di fede in Dio. La questione di Dio è la questione più importante della fede cristiana, come si vede già nel Credo Apostolico: “Credo in un solo Dio”. Tutto dipende dalla fede in Dio. Noi cristiani, però, non crediamo ad un Dio qualsiasi, nel cielo. Crediamo in un Dio che parla, che si manifesta, che si rivela, e ci mostra il suo volto nel suo Figlio Gesù Cristo. In questo senso, la mancanza della fede in Cristo è la conseguenza della mancanza della fede in Dio, e perciò abbiamo deciso di portare al centro la questione di Dio nello Schuelerkreis di quest’anno.

Cosa è successo per cui la fede in Dio si è persa così tanto? Lei ha sostenuto che oggi si parla di religione, ma non si parla di fede. Cosa intende dire?

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Io penso che molti uomini di oggi credono in una forza grande, al di là della terra, ma non hanno una visione chiara della Bibbia, di come la Bibbia vede Dio, di come Dio agisce nel mondo ed è presente nella vita dell’uomo. In questo senso abbiamo una riscoperta della religione nella società di oggi, ma non della fede in un Dio personale. L’assenza di fede in un Dio personale è il grande problema di oggi. Credo che questo problema sia cominciato nel tempo moderno. Un tempo in cui crediamo in Dio, ma non siamo convinti che questo Dio sia presente ed agisca nella storia e nella nostra vita.

Già Joseph Ratzinger, nel suo saggio “I nuovi pagani e la Chiesa” del 1952, aveva visto questa situazione che lei sta descrivendo. Erano gli anni prima del Concilio Vaticano II. Se dunque si era consapevoli di questo problema già settanta anni fa, perché poi il problema è rimasto? Perché non sono state prese contromisure?

La visione che Joseph Ratzinger ha avuto alla fine degli Anni Cinquanta con il suo grande articolo sui nuovi pagani - che non sono fuori della Chiesa, ma dentro la Chiesa - non è stata presa sul serio. Questo è accaduto soprattutto dopo il Concilio Vaticano II, quando in molti si aspettavano un cambiamento della Chiesa attraverso il Concilio Vaticano II e molti si aspettavano che il centro del Concilio Vaticano II sarebbe stato la Chiesa, e per questo il Concilio sarebbe stato un Concilio della Chiesa. Joseph Ratzinger aveva però un’altra visione, come si può vedere nel testo da lui preparato per il Cardinale Frings per una conferenza a Genova: al centro del Concilio deve esserci la questione di Dio. E anche dopo il Concilio, il Cardinale Ratzinger era convinto che il questo avesse dato una nuova ecclesiologia al centro della questione di Dio. Il Concilio Vaticano II ha dato una ecclesiologia “teo-centrica”, che vuol dire che la Chiesa esiste in modo che possiamo vedere Dio. Dopo il Concilio, si è diffuso invece un altro concetto della Chiesa, e in questo senso abbiamo un po’ dimenticato l’urgenza della questione di Dio.

Questo aver dimenticato l’urgenza della questione di Dio sembra essere alla base di uno dei problemi del dibattito della Chiesa di oggi, ovvero l’uso di un linguaggio politico, secolare per raccontare la Chiesa. Come si fa ora a recuperare un linguaggio più divino, come Benedetto XVI aveva provato a fare durante il suo pontificato?

Anche io credo che oggi abbiamo soprattutto discussioni politiche. Ci si chiede sempre se si è conservatori e progressisti, ma non si parla del centro della fede. Per questo, è molto importante ritrovare la verità della fede ed approfondire il dialogo sul centro della fede. Non possiamo sostituire la teologia con la politica, e mi sembra uno dei grandi problemi di oggi.

Il nuovo Schuelerkreis sta lavorando molto in questo senso, e il tema di quest’anno, “La questione di Dio nelle sfide attuali”, lo testimonia. Quanta speranza in questa nuova generazione?

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Io sono molto contento di questi giovani studenti e anche alcuni già professori di questo circolo che hanno un grande interesse per la teologia di Benedetto XVI e di approfondirla e portarla avanti nei loro studi ed insegnamenti, per conoscerla sempre più a fondo. Soprattutto nei Paesi di lingua tedesca, dove il dibattito si concentra appunto su temi politici, e non sul primato di Dio, il pensiero teologico di Benedetto XVI non è molto conosciuto.

Lei pensa che a partire da questi giovani potrà partire un movimento di pensiero forte che possa aiutare la Chiesa a ritornare ad usare il suo linguaggio e a cambiare i toni del dibattito, a influenzarlo in maniera positivo?

Non posso esserne sicuro, perché non sono un futurologo. Ma lo spero. Io vedo anche un grande interesse per il lavoro dello Schuelerkreis e il pensiero di Benedetto XVI. In passato, le riunioni dello Schuelerkreis erano sempre private, ma c’era sempre grande interesse riguardo la nostra discussione. Vediamo che riscontriamo molta attenzione per questo simposio pubblico di un pomeriggio che facciamo una volta l’anno. C’è molta gente che mi dice o mi scrive che ha ritrovato la fede nella lettura dei libri di Benedetto XVI e questa è una bellissima notizia.

Padre Horn, raccontando della prima lezione di Joseph Ratzinger cui ha assistito, ha detto che era evidente che per Benedetto XVI non si trattava solo di trasmettere teologia, ma di evangelizzare. La teologia può essere evangelizzazione?

Sì, perché la teologia è l’approfondimento della fede. Lo ha detto anche il teologo del Medioevo Anselmo da Canterbury: “Fides quaerens intellectum” (La fede che cerca di comprendere). Vale a dire che la fede in senso cristiano ha bisogno della teologia. Benedetto XVI ha scritto una volta che la teologia anche all’università è un fenomeno esclusivamente cristiano. Le altre religioni non hanno una teologia come i cristiani. In questo senso va visto il rapporto tra fede e ragione, che per Benedetto XVI significa sempre anche il rapporto tra la fede biblica e il pensiero greco. Questo rapporto è particolare e specifico per la fede cristiana. In questo senso la fede ha bisogno della filosofia, del pensiero e della ragione, ma d’altra parte la teologia ha bisogno della fede, perché presuppone la fede. La teologia è la riflessione, l’approfondimento della fede. Se la teologia aiuta i credenti ad andare più a fondo nella loro fede, allora in questo senso la teologia può essere un metodo di nuova evangelizzazione. E questo è evidente dai libri di Joseph Ratzinger / Benedetto XVI.

A Vienna dal nuovo Schuelerkreis è nato un centro di dialogo ecumenico con il mondo ortodosso. Nello Schuelerkreis, ci sono anche studenti di altre confessioni cristiane. Come spiega questa apertura ecumenica?

Perché il pensiero teologico di Benedetto XVI è molto aperto verso l’ecumenismo. La sua teologia è una teologia ecumenica, perché è così aperta nell’approfondimento della fede. In più, Benedetto XVI guardava con attenzione alla teologia ortodossa, ed è dunque molto importante fare da ponte tra la Chiesa in Oriente e la Chiesa in Occidente. La particolarità dell’ecumenismo di Benedetto XVI è la concentrazione sulla fede. L’ecumenismo non è questione di fare compromessi, ma di approfondire la verità. Non c’è ecumenismo senza verità.

Mi viene in mente uno dei discorsi di Benedetto XVI in Germania nel 2011, quando, a Erfurt, disse che il dono ecumenico che portava non era tanto una azione, un gesto, come poteva essere la revoca della scomunica, ma piuttosto la fede comune in Dio. Anche adesso ci si aspettano grandi doni ecumenici, ma in fondo il dialogo va approfondito passo dopo passo…

Questo discorso ad Erfurt era una sintesi del pensiero ecumenico di Benedetto XVI. Ma forniva anche un’altra prospettiva, perché in quel discorso ha fatto riferimento a Martin Lutero, la cui questione era proprio la questione di Dio: come posso avere un Dio misericordioso? Benedetto XVI ha detto che oggi non c’è più questa domanda, perché abbiamo perso la realtà del peccato. Ma la questione di Dio è presente, e Benedetto XVI ha detto che la sfida principale dell’ecumenismo oggi è la testimonianza comune della fede in Dio. La centralità della questione di Dio è anche una questione ecumenica.

Effettivamente c’è ancora molto da fare nel dialogo, per comprendere prima di tutto quali erano le ragioni di Lutero, ma anche delle altre confessioni cristiane. Forse questo Schuelekreis può aiutarci a comprendere meglio le ragioni delle altre confessioni cristiane, proprio a partire dalla centralità di Dio…

Sì. È chiaro che quando si mettono al centro la questione di Dio e Cristo possiamo entrare in dialogo con gli altri. Anche il dialogo con le comunità ecclesiali che vengono dalla Riforma stava molto a cuore di Benedetto XVI, che ha sempre cercato una unità con gli altri. Ma noi non possiamo fare l’unità: quella è sempre un dono dello Spirito Santo. Noi uomini possiamo piuttosto creare divisioni, come abbiamo fatto, anche nella storia presente. L’unità è sempre un dono … e la migliore preparazione per ricevere questo dono è la preghiera. Al centro dell’ecumenismo, c’è l’ecumenismo spirituale. L’inizio del movimento ecumenico è caratterizzato dall’introduzione della Settimana di Preghiera per l’Unità dei Cristiani. Era un movimento di preghiera. Senza questo movimento di preghiera non possiamo andare in futuro.

Cosa porta con sé da questo incontro dello Schuelerkreis?

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È stato molto importante discutere e presentare la questione della centralità di Dio e guardare al futuro, per avere nuova forza per annunciare questa bella notizia nella visione biblica di Dio e così avere il contenuto centrale della nuova evangelizzazione. Ed è questo il cuore del messaggio di Papa Francesco al popolo in pellegrinaggio in Germania.

Anche in quel cammino sinodale in Germania, la questione di Dio sembra messa da parte, a favore di un dibattito centrato su altri temi, come la sessualità, il ruolo delle donne… sarà questa la soluzione ai problemi della Chiesa tedesca?

Io penso e spero che in Germania prendano sul serio la visione di Papa Francesco, che al centro di qualunque discussione ci deve essere la fede e la nuova evangelizzazione. Se guardiamo alle cose attraverso questi occhi, possiamo discutere di molte cose, ma non possiamo farlo senza gli occhiali della fede.

Dove pensa che l’assenza della questione di Dio sia più un problema. È solo l’Europa ad essere secolarizzata o ci sono situazioni analoghe in altri continenti?

Penso che si tratti soprattutto di un problema europea e che l’Europa sia oggi il continente più secolarizzato. Questo mi sembra un grande problema. Abbiamo una situazione multireligiosa. Ma le altre religioni non hanno problemi con la presenza del cristianesimo. Il problema principale delle altre religioni in Europa è la non presenza della dimensione religiosa in pubblico. Ho conosciuto, nella mia già diocesi, famiglie musulmane che mandavano i bambini al catechismo cattolico, perché vogliono che ci sia una dimensione religiosa nella vita. Io credo che una società che vuole dimenticare la dimensione religiosa non è pronta per un dialogo interreligioso. C’è bisogno di un dibattito aperto, pubblico sull’impatto della dimensione religiosa nella vita della società.

Questo grande dibattito deve essere portato avanti in grandi arene pubbliche o da famiglie teologiche come il Ratzinger Schuelerkreis?

Tutte e due. Ma sappiamo che le buone cose cominciano sempre in piccolo. È questo il mistero del granello di senape: una realtà piccolissima che diventa un grande albero. È una immagine che Benedetto XVI ha usato sempre. Ed è anche quello che spera di essere lo Schuelerkreis.