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Ecumenismo del sangue: sarà questa la frase chiave del Papa in Armenia?

La questione armena | I volumi sulla questione armena curati da padre Georges-Henri Ruyssen  | news.am La questione armena | I volumi sulla questione armena curati da padre Georges-Henri Ruyssen | news.am

La parola chiave è “genocidio”. Così dovrebbe essere definito il massacro degli armeni, che furono deportati dalla parte orientale della Turchia e uccisi in massa durante la I Guerra Mondiale. Gli armeni lo chiamano “il Grande Male”, la Turchia rifiuta la definizione tanto che ogni volta che uno stato la usa, c’è crisi diplomatica. Ma Papa Francesco non ha avuto paura a dirlo. E lo potrebbe dire ancora, secondo padre Georges-Henry Ruyssen, gesuita, canonista, che si è avvicinato alla questione armena grazie ad un incontro, e che ha curato sette volumi fitti di documenti, dispacci diplomatici, lettere che dimostrano come la Santa Sede non solo fosse al corrente, ma fosse anche l’unica potenza ad essersi davvero attivata per fermare quel massacro dimenticato. Papa Francesco sarà in Armenia dal 24 al 26 giugno, e per padre Ruyssen è possibile che il Papa userà di nuovo il termine genocidio. Come è anche possibile che il Papa parlerà di ecumenismo del sangue, un tema che a lui sta molto a cuore. Perché in fondo la storia si ripete sempre. E sono molti i punti in comune con i fatti di cento anni fa.

Cosa dirà Papa Francesco in Armenia? Userà il termine “genocidio”?

Lo ha già fatto, alla celebrazione con i fedeli di rito armeno il 12 aprile 2015, e credo lo farà di nuovo. Ma sono convinto che, sul sagrato del Memoriale del Genocidio parlerà di ‘ecumenismo del sangue’, e potrebbe anche fare il parallelo tra le persecuzioni che ebbero luogo 100 anni fa e quello che accade oggi.

Davvero la storia si sta ripetendo?

Le somiglianze con l’epoca del genocidio sono impressionanti. Allora, c’era la persecuzione delle minoranze cristiane, soprattutto quella dei fedeli armeni, oggi c’è la persecuzione dei cristiani in generale. In alcuni casi, queste persecuzioni hanno luogo negli stessi luoghi in cui avvenivano cento anni fa, come Dei-el-Zor. Allora, c’era un flusso di profughi, soprattutto cristiani, che sfuggivano alla persecuzione: c’era anche cento anni fa. Allora, le potenze tradizionalmente cristiane sono rimaste indifferenti o in silenzio: Francia, Inghilterra, Germania, l'Italia stessa non hanno parlato, erano in guerra, avevano altri problemi. Anche oggi, le potenze cristiane sembrano stare a guardare. Allora, l’unica voce che si levava nel cercare di fermare il genocidio era quella della Santa Sede (il Papa inviò persino due lettere personali al sultano). Anche oggi, la Santa Sede è tra le poche a levare la voce per fermare il massacro dei cristiani in Medio Oriente.

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Quando si parla di genocidio degli armeni si pensa ai fatti accaduti durante la I Guerra Mondiale. Eppure, la documentazione che lei ha raccolto dimostra che il massacro degli armeni ha le sue radici già nel XIX secolo?

Sì, la persecuzione inizia nel 1894-1896, portata avanti dal sultano Ahmid. La ragione era l’ottomanismo, ovvero la turchizzazione della società, che portava alla scelta di eliminare tutti gli elementi non turchi, soprattutto quelli cristiani. È nel XIX secolo che entra in crisi la convivenza tradizionale che c’era tra cristiani e musulmani che vivevano in Turchia. Sebbene ci fossero anche dei rivoluzionari armeni, il sultano agì usando la forza contro l'intero popolo armeno senza fare distinzioni.

E perché invece gli armeni vengono perseguitati nel XX secolo?

La posizione ufficiale della Turchia risale all’epoca stessa del 1915-1916. Gli armeni erano presenti in Anatolia, ovvero nella Turchia Orientale, dove c’era il fronte con la Russia. E i russi erano cristiani, come gli armeni. Si temeva, dunque, che altre minoranze cristiane – tra le quali quella armena, la più numerosa – facessero causa comune con il nemico e combattessero contro i turchi, nonostante fossero sudditi ottomani. Con questo si può giustificare una certa deportazione, ma non quella di tutto il popolo armeno: non solo uomini, ma anche donne, vecchi, bambini, malati…

Perché la Turchia è così restia ad accettare la qualifica di genocidio?

Innanzitutto, si deve dire che il termine genocidio è un termine forte, non neutro, e ha una precisa valenza legale. Fu coniato da uno studioso polacco, Raphael Lemkin, e fu poi adottato da una convenzione delle Nazioni Unite nel 1948, entrando così a far parte del diritto internazionale come crimine contro l’umanità. Per genocidio si intendono una serie di atti commessi con l’intenzione di distruggere in parte o in toto un gruppo nazionale, razziale, etnico o religioso. È una parola molto forte del diritto internazionale penale. Qualificare questi eventi come genocidio non è un esercizio neutrale. Da parte sua, la Turchia riconosce che ci sono stati dei massacri, che degli armeni sono morti in questi anni. Ma subito sottolinea che anche i turchi sono stati vittime dei fatti di quegli anni. E per questo rifiutano la qualifica di genocidio.

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Secondo lei, si deve usare la parola massacro o genocidio?

Genocidio, senza ombra di dubbio, sebbene in Armenia si usi anche un altro termine per descrivere i fatti di quelli anni: “Medz Yeghern”, ovvero il grande male. Ma dal punto di vista tecnico del diritto internazionale, rileggendo la convenzione del 1948, la convenzione corrisponde.

Essendo una definizione così legale, non c’è bisogno di un riconoscimento internazionale per utilizzare il termine genocidio?

No, ci sono associazioni di diritto internazionale, ricercatori di diritto internazionale che hanno descritto già questi eventi come genocidio, come il  il Tribunale permanente dei Popoli, che è un tribunale d'opinione, il quale ha già dato questa qualifica al massacro degli armeni nella sua 11esima sessione a Parigi nel 1984.