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Finanze vaticane, un protocollo anti-corruzione per rispettare gli obblighi internazionali

Firmato da Segreteria per l’Economia e Revisore, il protocollo è un passo ulteriore di un lungo percorso della Santa Sede di adesione alle norme internazionali

Basilica di San Pietro | La Basilica di San Pietro  | CNA Basilica di San Pietro | La Basilica di San Pietro | CNA

Un protocollo anti-corruzione tra Segreteria per l’Economia e Ufficio del Revisore Generale della Santa Sede è stato firmato lo scorso 18 settembre. Ne ha dato notizia la Sala Stampa della Santa Sede, specificando che le due autorità “collaboreranno in maniera ancora più stretta nell’identificazione dei rischi di corruzione e per una efficace attuazione delle norme sulla trasparenza, il controllo e la concorrenza dei contratti pubblici della Santa Sede e dello Stato di città del Vaticano recentemente approvate”.

Ma perché la firma di questo protocollo? Significa che prima del protocollo la Santa Sede non controllava gli episodi di corruzione? È un segno di un rinnovato impegno per la trasparenza? In realtà, il protocollo è il termine di un lungo percorso della Santa Sede cominciato con l’adesione alla Convenzione di Merida nel 2003.

La Convenzione è lo strumento multilaterale delle Nazioni Unite per la lotta alla corruzione. Significa che tutte le nazioni che aderiscono alla convenzione si impegnano a rispettarne i principi e a svilupparli nel loro quadro legislativo, ciascuno ovviamente seguendo anche la particolarità del proprio sistema giuridico.

Gli Stati che vi aderiscono sono tenuti a perseguire e punire la corruzione attiva e passiva dei pubblici ufficiali nazionali, la corruzione attiva dei pubblici ufficiali stranieri e la corruzione nel settore private.

La convenzione di Merida, in particolare, si applica alla prevenzione, alle indagini e ai procedimenti giudiziari per corruzione, nonché al congelamento, al sequestro, alla confisca e al rendimento dei ricavi provenienti dai reati e comprende norme volte a prevenire e combattere il riciclaggio. La Convenzione stabilisce anche standard relativi alla contabilità nel settore privato, alla trasparenza e alla parità di accesso di tutti i candidati a contratti di fornitura e servizio per opere pubbliche.

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Da qui, una serie di obblighi internazionali: ogni Stato che aderisce deve includere nel suo ordinamento giuridico i crimini di appropriazione indebita, abuso di ufficio, riciclaggio di denaro e falsa testimonianza. La Convenzione prevede anche una cornice giuridica che agevola estradizioni, rogatorie, restituzioni di beni, assistenza tecnica e scambio di informazioni.

La Santa Sede ha aderito alla Convenzione il 29 settembre 2016, con due riserve e tre dichiarazioni interpretative dovute proprio alla peculiarità dello Stato vaticano. La Convenzione è in vigore per la Santa Sede e per lo Stato di Città del Vaticano dal 19 ottobre 2016.

Già prima della adesione alla Convenzione di Merida, la Santa Sede aveva cominciato ad adeguare il suo sistema giudiziario agli standard internazionali per la lotta alla corruzione.

Un passo fondamentale era stata la riforma del Codice Penale vaticano e del codice di procedura penale dell’11 luglio 2013, in cui veniva data una definizione precisa sia dei pubblici ufficiali che dei reati di corruzione, appropriazione indebita e i crimini correlate.

La riforma del codice penale era anche il culmine di un percorso di un triennio, che era cominciato il 30 dicembre 2010 con il motu proprio di Benedetto XVI per la prevenzione e il contrasto delle attività illegali in campo finanziario e monetario.

Da lì, era nata una legge antiriciclaggio riformata a più riprese fino alla legge n. XVIII dell’8 ottobre 2013 sulle norme in materia di trasparenza, vigilanza ed informazione finanziaria.

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Quindi con il motu propri Fidelis Dispensator et Prudens, del 24 febbraio 2014 è stato inserito anche un Revisore generale dei conti, il cui Statuto è stato approvato il 22 febbraio 2015.

Dopo l’adesione alla convenzione nel 2016, c’era stata, nel 2019, la riforma dell’ufficio del Revisore Generale, cui veniva attribuito anche il compito di vigilare su eventuali “irregolarità nella concessione di appalti o nello svolgimento di transazioni o alienazioni; atti di corruzione o frode”.

Infine, l’1 giugno 2020, Papa Francesco ha promulgato la legge sulla trasparenza degli appalti – richiesta dall’articolo 9 della stessa convenzione di Merida – che ha fornito una cornice legale e procedure certe.

Il protocollo firmato il 18 settembre da padre Juan Antonio Guerrero, prefetto della Segreteria per l’Economia, e Alessandro Cassinis Righini, revisore generale ad interim, si inserisce in questa ampia cornice, e sono una ulteriore applicazione delle richieste della convenzione.

Commentando il protocollo d’intesa, Alessandro Cassinis Righini ha detto a Vatican News che “si tratta di un ulteriore concreto atto che dimostra la volontà della Santa Sede di prevenire e combattere il fenomeno corruttivo all’interno e all’esterno dello Stato Città del Vaticano, e che ha già portato ad importanti risultati nei mesi passati”.

Padre Guerrero ha invece sottolineato che “la lotta alla corruzione, oltre a rappresentare un obbligo morale e un atto di giustizia, permette anche di combattere sprechi in un momento così difficile a causa delle conseguenze economiche della pandemia, che investe tutto il mondo e colpisce in particolare i più deboli, come ha ricordato più volte Papa Francesco”.