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Fondarsi, crescere, maturare. I consigli di Papa Francesco ai Gesuiti

Papa Francesco      |  | Vatican Media - ACI Group Papa Francesco | | Vatican Media - ACI Group

“Dio vi ha fondati come Gesuiti: questo giubileo è un momento di grazia per fare memoria e sentirvi con la Chiesa, in una Compagnia e in un’appartenenza che hanno un nome: Gesù. Fare memoria vuol dire fondarsi nuovamente in Gesù, nella sua vita. Significa ribadire un no chiaro alla tentazione di vivere per sé stessi; riaffermare che, come Gesù, esistiamo per il Padre; che, come Gesù, dobbiamo vivere per servire, non per essere serviti. Fare memoria è ripetere con l’intelligenza e la volontà che alla vita del gesuita basta la Pasqua del Signore. Non serve altro. Farà bene riprendere la seconda settimana degli Esercizi Spirituali, per rifondarsi sulla vita di Gesù, in cammino verso la Pasqua. Perché formarsi è anzitutto fondarsi. Gesù si annientò fino alla morte, imitate Gesù”. Lo ha detto il Papa ai suoi confratelli gesuiti della Collegio Internazionale del Gesù di cui ricorre il 50/mo anniversario della fondazione.

Come fa spesso, il Papa nel suo discorso punta l’attenzione su alcune determinate parole. La prima di oggi è fondarsi: “Voi abitate la casa - ha ricordato - dove Sant’Ignazio visse, scrisse le Costituzioni e inviò i primi compagni in missione per il mondo. Vi fondate sulle origini. È la grazia di questi anni romani: la grazia del fondamento, delle origini. E voi siete un vivaio che porta il mondo a Roma e Roma nel mondo, la Compagnia nel cuore della Chiesa e la Chiesa nel cuore della Compagnia”.

La seconda parola è crescere. E bisogna farlo come una pianta che “cresce dalle radici, che non si vedono ma sostengono l’insieme. E smette di dare frutto non quando ha pochi rami, ma quando si seccano le radici. Avere radici è avere un cuore ben innestato, che in Dio è capace di dilatarsi. A Dio si risponde con entusiasmo limpido e prorompente, col fuoco che divampa dentro, con quella tensione positiva, sempre crescente, che dice no ad ogni accomodamento. Il cuore, se non si dilata, si atrofizza. Se non si cresce, si appassisce. Non c’è crescita senza crisi”.

“Crescere - ha aggiunto Francesco - significa lottare senza tregua contro ogni mondanità spirituale, che è il male peggiore che ci può accadere. Se la mondanità intacca le radici, addio frutti e addio pianta: questo è il pericolo più forte in questo tempo. Se invece la crescita è un costante agire contro il proprio ego, ci sarà molto frutto”.

Una crescita positiva - ha detto ancora il Pontefice - si manifesta nella libertà e nell’obbedienza, “due virtù che avanzano se camminano insieme. Vi auguro di essere figli liberi che, uniti nelle diversità,  lottano ogni giorno per conquistare la libertà più grande: quella da sé stessi. La preghiera vi sarà di grande aiuto, da non trascurare mai: è l’eredità che ci ha lasciato alla fine Padre Arrupe: il canto del cigno di Arrupe! E l’obbedienza: come per Gesù, anche per noi il cibo della vita è fare la volontà del Padre e dei padri che la Chiesa dona”. 

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Terza ed ultima parola proposta dal Papa è maturare. “Qui entra in gioco la missione, il porsi a tu per tu con le situazioni di oggi, il prendersi cura del mondo che Dio ama. Negli snodi più intricati, nelle terre di confine, nei deserti dell’umanità: qui il gesuita è chiamato ad esserci”. Francesco esorta poi i suoi confratelli a unire al “ministero della Parola il ministero della consolazione. Lì toccate la carne che la Parola ha assunto: accarezzando le membra sofferenti di Cristo, aumenta la familiarità con la Parola incarnata. Le sofferenze che vedete non vi spaventino. Portatele davanti al Crocifisso. Si portano lì e nell’Eucaristia, dove si attinge l’amore paziente, che sa abbracciare i crocifissi di ogni tempo. Così matura pure la pazienza, e insieme la speranza, perché sono gemelle: crescono insieme. Non abbiate paura di piangere a contatto con situazioni dure: sono gocce che irrigano la vita, la rendono docile. Le lacrime di compassione purificano il cuore e gli affetti”.

Infine l’auspicio ad essere “una palestra attiva nell’arte del vivere includendo l’altro. Non si tratta solo di capirsi e volersi bene, magari a volte di sopportarsi, ma di portare i pesi gli uni degli altri”.