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Giovanni Paolo II, quella atmosfera del Concilio Vaticano II che viaggia nel mondo

Il Papa racconta come il Concilio sia stato l'incontro con il mondo che poi ha voluto visitare

L'arcivescovo Karol Wojtyła nel 1963 al Concilio Vaticano II |  | CPP/ Giancarlo Giuliani
L'arcivescovo Karol Wojtyła nel 1963 al Concilio Vaticano II | | CPP/ Giancarlo Giuliani
L'arcivescovo Karol Wojtyła nel 1963 al Concilio Vaticano II |  | 30 Giorni
L'arcivescovo Karol Wojtyła nel 1963 al Concilio Vaticano II | | 30 Giorni

Il modo di Giovanni Paolo II di intendere la collegialità nasce dal Concilio Vaticano II.

Giovane vescovo, che durante le sessioni diventa arcivescovo e trova posto meno lontano dalla porta come racconta lui stesso, Wojtyła impara a vedere il mondo come una grande cattedrale.

E’ per questo che per il papa polacco visitare le diverse Chiese non significa solo aiutare a puntare i riflettori della stampa sulle realtà sociali, economiche, politiche, a volte molto critiche di un paese. Per il Papa la parte più importante della visita è la preparazione. Ogni comunità locale prende al volo l’occasione della visita per “tirare a lucido” catechesi, liturgia, e pastorale giovanile, del lavoro, della famiglia. Per questo le visite vengono programmate in grande anticipo. In alcuni casi le Chiese locali hanno anche un anno di tempo per svolgere una pastorale mirata.

La preparazione di un viaggio richiede molto impegno anche per il Papa. Giovanni Paolo II non solo impara un po’ la lingua del posto per potere celebrare la messa, almeno in parte, in lingua locale ( applicando così la riforma liturgica conciliare), ma prepara dei discorsi totalmente centrati sui temi caldi del momento in quel particolare paese o comunità visitata.

Questo gli permette di conoscere a fondo la storia di un popolo, ma anche di ritrovare gli amici del Concilio. Tra i più di 2500 padri sinodali ci sono dei veri testimoni della fede.Vescovi che hanno fatto lo storia. Wojtyła ne ha conosciuti alcuni. E ritrovarli nei suoi viaggi significa vivere di nuovo quella esperienza non solo di “collegialità”, ma di vera comunione, che è stato il Concilio.

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É lui stesso a ricordarlo, ad una cena con i vescovi della Guinea Konakry nel 1992. Perché al Concilio aveva incontrato un personaggio che ha fatto la storia dalla Chiesa in Africa. Una storia che ha come protagonista il vescovo Raymond-Marie Tchidimbo.

Siamo nel 1992, Giovanni Paolo II è per la ottava volta in Africa. Un viaggio che tocca tre paesi: Senegal, Gambia e Guinea Conakry.

Ex colonia francese, indipendente dal 1958 la Guinea Conakry ha una situazione politica che oscilla tra dittatura e colpi di stato. Il Papa visita la Chiesa, è invitato dai vescovi. Il programma è intenso, ma il pranzo con l’episcopato è ormai un appuntamento consueto che diventa per il papa polacco l’occasione di aprire il cuore ai ricordi. Non tanto per pensare al passato. Ma per indicare ai vescovi in quella precisa situazione quale sia la strada da seguire. Oltre al ricordo del Concilio come grandiosa esperienza di comunione, c’è nel pensiero del papa anche quel rapporto tra generazioni episcopali e sacerdotali che crea e segna la universalità della Chiesa.

Vi devo raccontare come sono arrivato in Guinea Conakry. E’ stato un lungo cammino che è iniziato nel 1962. La prima sessione del Concilio Vaticano II, ero un giovane vescovo. In quell’epoca ero vicario capitolare di Cracovia. Ed ero situato piuttosto alla fine della basilica, vicinissimo della “porta di bronzo”, più facile da cacciare!

Allora un giorno un vescovo nero si avvicina e mi dice: “lei è il vescovo di Cracovia?”

Io rispondo: “sì!”

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E lui: “Sono monsignor Tchidimbo sono il vescovo di Conakry. E vi volevo trovare perché una sorella che è a Cracovia mi ha raccontato di voi e mi ha obbligato a trovarvi.”

Allora lui è venuto e si è presentato, e il colloquio si è facilitato da quel momento. Io non sapevo molto della Guinea Conakry. Tutta la prima sessione del Concilio, la prima sessione e le sessioni ulteriori sono state una grande rivelazione della Chiesa, dell’episcopato mondiale e soprattutto dell’episcopato africano. Vedendo i vescovi africani come monsignor Tchidimbo o gli altri, si vedeva che non ci sono differenze, è la stessa Chiesa, è la stessa formazione. E quando si tratta di lingue, parlano meglio di noi. Monsignor Tchidimbo parlava francese meglio di me. E se si studia un po’ la sua biografia si capisce bene perché. Così abbiamo passato quattro anni di Concilio incontrandoci più volte. E devo aggiungere che monsignor Tchidimbo come arcivescovo era seduto molto più avanti di me, poi sono avanzato anche io, dopo la nomina ad arcivescovo di Cracovia sono avanzato. Ma ero sempre vicino al mio collega disagiato l’arcivescovo Kominek che dopo é diventato cardinale, il primo arcivescovo polacco di Breslavia, eravamo uno accanto all’altro. Era il Concilio...

Dopo il Vaticano II ci siamo incontrati ancora durante i sinodi. Ad esempio nel sinodo del 1969, il sinodo straordinario, e dopo qualche tempo ho saputo la triste e preoccupante notizia: monsignor Tchidimbo era stato arrestato. Sapevo bene che il sistema politico che si era installato dopo la indipendenza qui in Guinea Conakry era un sistema comunista. Comunismo africano. Allora ci siamo trovati sempre ancora più vicini, perché dopo il Concilio siamo tornati a casa. Io sono tornato in Polonia e lui è tornato qui, ma siamo tornati un po’ in situazioni simili. Situazione simili, evidentemente con delle differenze. Differenze specifiche ma in tutti i casi situazioni similari. Io feci allora una po’ di rumore da noi a proposito di monsignor Tchidimbo, che era stato imprigionato dal suo presidente Sékou Touré, un uomo un po’ leggendario. Voi sapete che era un fanatico marxista. Un uomo che non so se si possa dire normale, era straordinario, ma nel senso piuttosto peggiorativo. E con lui monsignor Tchidimbo è dovuto restare come vescovo e poi come testimone di Cristo in prigione. Era un vescovo imprigionato e sappiamo che in quella epoca il numero dei preti cattolici è diminuito a circa nove persone. Sono stati cacciati tutti i missionari europei, e si è cercato di distruggere la Chiesa cattolica. E’ un po’ la stessa lezione che abbiamo conosciuto da noi in Europa in Polonia e nei paesi vicini, in Cecoslovacchia, Ungheria, Ucraina, Lituania.

In tutti i casi ci sentivamo molto più fratelli per questo. E io ho camminato con monsignor Tchidimbo ogni giorno. Ho accompagnato la sua via crucis che mi ha portato qui a Conakry. Mi hanno fatto vedere ieri la prigione dove era stato imprigionato. Gli avvenimenti sono passati ed è arrivato il momento che questo vescovo di Cracovia, poi cardinale, è diventato Giovanni Paolo II, è un po’ la Provvidenza che scrive sempre sulle righe storte. E così finalmente, era il 1979, Tchidimbo viene liberato dopo 10 anni di prigionia ed è venuto a visitarmi a Castelgandolfo. E ci siamo rincontrati una domenica di agosto, era stato liberato da pochissimo. Io l’ho riconosciuto, era sempre la stessa persona, lo stesso uomo, un vescovo, ma era differente. Prima lo conoscevo come un uomo molto allegro, gioioso, pieno di umore. Aveva perso tutto, e si vedeva bene che questi dieci anni di prigione pesavano su di lui anche fisicamente.

Allora in questi giorni a Conakry sentivo la necessità, l’obbligo di raccontare tutto questo, quale era stato il mio cammino, anzi il nostro cammino per arrivare alla giornata di oggi e di ieri, perché la Guinea Conakry lo merita per molti motivi ed uno di questi motivi è esattamente la sofferenza, questa testimonianza il martirio di questo suo primo arcivescovo africano, monsignor Tchidimbo che ha inaugurato la vita della Chiesa africana in Guinea Conakry. L’ha inaugurata come pastore e come prigioniero. Sono convinto che la Chiesa che è stata costruita da queste sofferenze, è costruita attraverso questa via crucis che voi avete vissuto, questa Chiesa ha un avvenire...

Poi una volta si è presentato da me un giovane uomo, un “ragazzo”, e mi ha detto: io sono il nuovo arcivescovo di Conakry.

Era l’ultimo sacerdote ordinato da monsignor Tchidimbo. E questo era molto significativo, il legame tra il vescovo martire e prigioniero e il suo giovane successore che era l’ultimo sacerdote che aveva ordinato che ha vissuto ancora qualche anno qui con il dittatore. Ma è passato il tempo della dittatura, è arrivato il tempo della liberazione, è arrivato anche il momento della visita del papa. Ed è bene che questa si faccia tra voi e monsignor Tchidimbo che è presente qui. La sua presenza è piena di significato. E devo ancora aggiungere, oggi abbiamo ordinato tre sacerdoti perché ci sono tre diocesi e ci sono solo due vescovi. Allora faccio un piccolo appello alla Congregazione di Propaganda: bisogna cercare il terzo vescovo!

Io so che mi state per dare dei regali e vi ringrazio in anticipo. Ma il il regalo più grande è quello che ho ricevuto attraverso monsignor Tchidimbo e la sua via crucis!

 

Da: 

Il mistero dei Dodici, I vescovi del mondo a tavola con Giovanni Paolo II

Tau Editrice - a cura di Angela Ambrogetti

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