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I salesiani di Don Bosco in Congo, un valido contributo alla costruzione della pace

Intervista a Don Piero Gavioli, missionario salesiano in Congo dal 1966

Don Piero Gavioli in Congo |  | “Missioni Don Bosco” Don Piero Gavioli in Congo | | “Missioni Don Bosco”

Dopo l'uccisione di Luca Attanasio, ambasciatore italiano in Congo, il paese africano è al centro di tante discussioni e riflessioni. I salesiani di Don Bosco, a Goma, a Bukavu, a Uvira, nella Repubblica del Congo, da tanti anni provano a dare il loro aiuto alla popolazione stremata da conflitti e tensioni. I missionari salesiani accolgono nelle loro scuole professionali ragazzi vulnerabili che potrebbero essere attirati o recuperati da gruppi armati. Offrono loro un mestiere e una prospettiva di avvenire, un vero contributo alla costruzione della pace all’Est del Congo. La pace nella Repubblica del Congo è davvero possibile? ACI stampa ne ha parlato con Don Piero Gavioli, missionario salesiano in Congo dal 1966.

Don Piero qual è la situazione in Congo? E precisamente a Goma e nelle zone limitrofe proprio dove sono stati uccisi l’ambasciatore Luca Attanasio, la sua scorta Vittorio Iacovacci e l’autista Mustapha Milambo?

E’ difficile rispondere in breve. Forse l’aggettivo più azzeccato sarebbe: situazione confusa. Dal punto di vista economico, stagnazione: il governo (caduto e non ancora rinnovato) sembra avere tanti altri problemi, non si occupa molto dell’Est del Congo. C’è quindi tantissima miseria, che spinge giovani e adulti che non trovano lavoro ad ingaggiarsi nei vari gruppi armati. Per la stessa ragione in città il banditismo è cresciuto. Ci sono circa 6 milioni di rifugiati o sfollati interni, molti dei quali nella nostra regione. Vuol dire che non possono più lavorare nei campi, a causa dell’insicurezza. Quindi il cibo che dovrebbe essere per tutti in questa terra vulcanica fertilissima, con acqua e sole abbondanti, viene a mancare o a costare troppo.

Ci sono pure le malattie...

Si, esatto, ci sono pure le malattie. L'Ebola, che si è manifestata di nuovo nel Nord Kivu, poi il Covid-19 che c’è ancora, anche se i contagiati sono pochi; abbiamo la malaria onnipresente e micidiale (i morti di malaria – o di conseguenze di malaria – sono più numerosi che per la altre malattie). Poi vorrei aggiungere anche il problema delle strade: all’interno sono disfatte, fare i 120 km da Bukavu a Uvira richiede tanto coraggio e pazienza (quando tutto va bene, 5 ore): alcuni ponti sono crollati, bisogna trasbordare da un minibus a un altro, in tanti tratti di strada c’è solo la moto che può passare. La mancanza di strade è forse il freno più grande allo sviluppo del paese. Ma vorrei correggere l’impressione troppo negativa di queste note frettolose. La gente, nonostante la miseria, ha un coraggio formidabile e un morale altissimo: riesce a sopravvivere in condizioni che scoraggerebbero tanti occidentali. Speriamo che il prossimo governo sia capace di sfruttare questo potenziale umano, prima ricchezza del paese.

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Voi missionari salesiani come operate lì esattamente? Quali attività svolgete?

Scuole professionali e tecniche, attività sociali. I salesiani sono stati chiamati a Bukavu da un missionario saveriano di Parma, padre Giovanni Querzani. Nel 2008, ha fondato una scuola professionale per dare una formazione professionale pratica a ragazzi che aveva aiutato a finire la scuola elementare in un'altra delle sue istituzioni. A Bukavu, i salesiani stanno finendo il 4° anno di questa scuola di mestieri TUWE WAFUNDI. È un centro di apprendistato informale, riconosciuto dalla Divisione degli affari sociali (DIVAS). La scuola è completamente gratuita, dato che si rivolge a ragazzi di strada o in strada che non sono mai stati a scuola o che ne sono stati cacciati, spesso molto presto, perché le loro famiglie non erano in grado di pagare le tasse scolastiche. Accogliamo ragazzi (e qualche ragazza) tra i 17 e i 22 anni: la formazione dura solo un anno, alla fine devono essere abbastanza grandi per iniziare a lavorare. A Bukavu, ci sono migliaia di bambini "a rischio di strada": se i loro genitori non sono in grado di pagare le tasse scolastiche, vengono cacciati da scuola e la strada diventa il loro ambiente di vita. Poiché prevenire è meglio che curare, abbiamo avviato progetti di sostegno a distanza per aiutare i genitori a pagare le tasse scolastiche: quest'anno sosteniamo l'istruzione di oltre 800 bambini.

Don Piero, lei conosceva Luca Attanasio, che ricordo ha e avrà di lui?

Ricorderò la semplicità, la disponibilità al servizio, l’interesse per noi e il nostro lavoro. Posso invece dire qualcosa sul mio ultimo incontro con l’ambasciatore. Sabato 20 febbraio, Luca Attanasio è arrivato a Bukavu proveniente da Goma con lo stesso convoglio di due macchine del PAM. abbiamo partecipato insieme a un rinfresco, l’ho salutato, mi ha promesso che la prossima volta sarebbe venuto a visitare la nostra scuola di mestieri... Ci siamo lasciati, l'indomani è ripartito a Goma dove doveva incontrare la comunità italiana. Penso che il lunedì fosse diretto a visitare altri centri assistiti dal PAM a Nord di Goma. Sulla strada, è stato intercettato e ucciso.

Cosa possiamo fare noi da qui per il Congo e il suo popolo?

Dare un’informazione onesta e continua. C’è voluta la morte dell’ambasciatore perché in Italia si parli del Congo. All’Est, i morti di guerre e guerriglie sono decine tutti i giorni. Sostenere l’educazione dei ragazzi e dei giovani, vero cammino verso lo sviluppo e la pace.

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La pace sarà mai possibile un giorno in Congo?

Paolo VI ha scritto: lo sviluppo è il nuovo nome della pace. Aggiungiamo: Education changes the world, è lo slogan di una ONG che ci sostiene. In questi giorni molti Congolesi, adulti e giovani, mi hanno presentato le condoglianze come “rappresentante del popolo italiano”. Abbiamo pregato insieme per le tre persone uccise e per tutte le altre vittime della violenza nel nostro paese. E abbiamo rinnovato il nostro impegno perché, attraverso l’educazione dei giovani vulnerabili, il Congo trovi la strada della giustizia e della pace.