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L'Anno di Giovanni Paolo II, riconciliazione e penitenza nel primo testo post-sinodale

Una Esortazione sulla misericordia e la riconciliazione perfetta ancora oggi

Giovanni Paolo II in confessionale  |  | Vatican Media
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In un mondo frantumato c’è una nostalgia di riconciliazione. Da questo parte la riflessione della sesta assemblea ordinaria del Sinodo dei Vescovi. Era il 29 settembre del 1983. Il 29 ottobre l’Assemblea si chiude con una Via Crucis di tutti i padri Sinodali che come ricorda Giovanni Paolo II nella messa finale fa si che “Mediante la meditazione della Passione di Cristo ci siamo inseriti nella corrente dell’Anno della Redenzione, che si va manifestando nelle singole Chiese. In Roma ci incontriamo con essa nelle parrocchie, nelle singole Basiliche della città, e in particolare in San Pietro”.

Il 25 marzo si era aperto l’ Anno Santo della Redenzione, indetto con poco tempo di anticipo e dopo la decisione del tema del sinodo, spiega Giovanni Paolo II: “L’idea dell’Anno della Redenzione è posteriore alla decisione di convocare il Sinodo sul tema: “Riconciliazione e penitenza nella missione della Chiesa”. In pari tempo è difficile non osservare che queste due iniziative si completano vicendevolmente in modo particolare. L’incontro di esse deve essere riconosciuto come una circostanza provvidenziale. In questo modo il Sinodo scaturisce in un certo senso da ciò di cui, nell’Anno della Redenzione, cerca di vivere la Chiesa, e al tempo stesso il Giubileo straordinario trova nei lavori del Sinodo un particolare approfondimento teologico e pastorale”.

Un anno dopo, il 2 dicembre del 1984 per la prima volta nel tempo dei sinodi moderni, il Papa firma un documento chiamato Post- sinodale. Una Esortazione Apostolica Reconciliatio et pænitentia, che mette insieme il materiale del Sinodo.

221 padri Sinodali erano stati guidati nel lavoro da tre Presidenti Delegati: il cardinale Joseph Cordeiro, Arcivescovo di Karachi in Pakistan; il cardinale Timothy Manning, Arcivescovo di Los Angeles  e il Cardinale Joseph Ratzinger, Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede Segretario Generale del Sinodo era  Jozef Tomko, Arcivescovo tit. di Doclea e Relatore generale Iil cardinale Carlo Maria Martini, S.I., Arcivescovo di Milano, infine Segretario Speciale Padre José Saraiva Martins, C.M.F., Rettore della Pontificia Università Urbaniana. Nomi che hanno segnato il pontificato di Giovanni Paolo II e anche la sua successione.

Riconciliazione era una parole significativa per il Papa che in quel periodo viaggiava moltissimo e portava il tema nei paesi dilaniati della guerre.

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Dall’attentato erano passati pochi anni e in Giovanni Paolo II c’era la consapevolezza che la sua missione non poteva fermarsi.

l Papa parte dalla parabola del Figliol prodigo per la sua riflessione, e poi porta lo sguardo alla crocifissione: “ E proprio dinanzi al quadro doloroso delle divisioni e delle difficoltà della riconciliazione fra gli uomini, invito a guardare al «mysterium crucis» come al più alto dramma, nel quale Cristo percepisce e soffre fino in fondo il dramma stesso della divisione dell'uomo da Dio, sì da gridare con le parole del salmista: «Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?» (Mt 27,46; Mc 15,34; Sal 22,2), e attua, nello stesso tempo, la nostra riconciliazione”.

C’è il ruolo della Chiesa, riconciliata e riconciliatrice: “Comunità riconciliata e riconciliatrice, la Chiesa non può dimenticare che alle sorgenti del suo dono e della sua missione di riconciliazione si trova l'iniziativa, piena di amore compassionevole e di misericordia, di quel Dio che è amore e che per amore ha creato gli uomini: li ha creati, affinché vivano in amicizia con lui e in comunione fra di loro”.

Inizia il cammino della riflessione sulla Divina Misericordia di cui il  Papa è stato apostolo, di quell’amore più grande del peccato che chiede però di allontanarsene: “riconciliarsi con Dio suppone e include il distaccarsi con lucidità e determinazione dal peccato, in cui si è caduti. Suppone e include, dunque, il fare penitenza nel senso più completo del termine: pentirsi, manifestare il pentimento, assumere l'atteggiamento concreto del pentito, che è quello di chi si mette sulla via del ritorno al Padre. Questa è una legge generale, che ciascuno deve seguire nella situazione particolare in cui si trova. Il discorso sul peccato e sulla conversione, infatti, non può essere svolto solo in termini astratti”. 

Il Papa riflette anche sulla natura del peccato, quello personale e quello sociale, quello mortale e quello veniale, il peccato come” un rifiuto dell'amore di Dio verso l'umanità e tutta la creazione: l'uomo allontana se stesso da Dio e perde la carità”.

Giovanni Paolo II parla della perdita del senso del peccato tanto che “Persino nel campo del pensiero e della vita ecclesiale alcune tendenze favoriscono inevitabilmente il declino del senso del peccato. Alcuni, ad esempio, tendono a sostituire esagerati atteggiamenti del passato con altre esagerazioni”.

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E c’è poi il mistero della pietà divina e una lunga parte è dedicata alla pastorale della riconciliazione. E si parte dal dialogo ecumenico alla scuola di Paolo VI e del Concilio Vaticano II. Un dialogo che porti alla riconciliazione.

E poi la catechesi sulla penitenza, quanto più necessaria in un mondo in cui “l'uomo contemporaneo sembra far più fatica che mai a riconoscere i propri sbagli e a decidere di tornare sui suoi passi per riprendere il cammino dopo aver rettificato la marcia”. Invece “Fare penitenza vuol dire, oltre tutto, ristabilire l'equilibrio e l'armonia rotti dal peccato, cambiare direzione anche a costo di sacrificio”.

Ampia la parte sul rito, la remissione dei peccati, fino ad alcuni casi che il Papa definisce “delicati” e “inestricabili”. Situazioni, scrive il Papa “in cui vengono a trovarsi cristiani desiderosi di continuare la pratica religiosa sacramentale, ma che ne sono impediti dalla condizione personale in contrasto con gli impegni liberamente assunti davanti a Dio e alla Chiesa”. 

I principi da seguire sono compassione e misericordia, verità e coerenza. E scrive il Papa. “la Chiesa non può che invitare i suoi figli, i quali si trovano in quelle situazioni dolorose, ad avvicinarsi alla misericordia divina per altre vie, non però per quella dei sacramenti della penitenza e dell'eucaristia, finché non abbiano raggiunto le disposizioni richieste”.

E chiede che nessuno “deve sentirsi abbandonato dalla Chiesa. Per tutti coloro che non si trovano attualmente nelle condizioni oggettive richieste dal sacramento della penitenza, le dimostrazioni di materna bontà da parte della Chiesa, il sostegno di atti di pietà diversi da quelli sacramentali, lo sforzo sincero di mantenersi in contatto col Signore, la partecipazione alla santa messa, la ripetizione frequente di atti di fede, di speranza, di carità, di dolore il più possibile perfetti, potranno preparare il cammino per una piena riconciliazione nell'ora che solo la Provvidenza conosce”.