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Leone XII, quando in Europa e a Roma si censuravano le incisioni "oscene"

L'opera di moralizzazione alla Calcografia Camerale

G.B. Costantini (dis. e inc.), Guido Reni (inv.), Baccanale, 1619, Roma, Istituto centrale per la grafica |  | Per gentile concessione del Ministero per i Beni e le Attività Culturali e per il Turismo G.B. Costantini (dis. e inc.), Guido Reni (inv.), Baccanale, 1619, Roma, Istituto centrale per la grafica | | Per gentile concessione del Ministero per i Beni e le Attività Culturali e per il Turismo

Quello di Leone XII fu un pontificato di riformismo spirituale. Almeno nelle intenzioni del Papa marchigiano che mise mano anche alla censura della Calcografia Camerale.

Fu Clemente XII nel 1738 a comprare la ricca raccolta di matrici incise della storica stamperia De Rossi, istituendo la Calcografia Camerale con l’obiettivo di ‘promuovere magnificenza e splen-

dore di Roma appresso le Nazioni straniere, come pure l’avanzamento della gioventù studiosa dell’arti liberali’, spiega Ilaria Fiumi Sermattei nel volume dedicato al governo di Leone XII da lei curato con Roberto Regoli.

La Calcografia raccoglieva un ricco repertorio di vedute della città e cartografie del territorio, ritratti di pontefici e cardinali, monumenti antichi e moderni, dipinti e sculture dei maggiori maestri de Rinascimento e dell’età barocca. Nell’età della Restaurazione, e in particolare nel terzo decennio

del XIX secolo, la Calcografia Camerale divenne oggetto della crescente attenzione del tesoriere generale, monsignor Belisario Cristaldi. A contraltare cifu l’incipiente censura di immagini, nudità femminili e scene di promiscuità, che nell’età della Restaurazione iniziarono a essere percepite come «oscene» da una nuova, diusa sensibilità.

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Di questa “moralizzazione” tratta il saggio della Sermattei pubblicato nel volume “La religione dei nuovi tempi. Il riformismo spirituale nell’età di Leone XII” edito dal Consiglio regionale delle Marche.

“Tra le prime voci che esortano a una moralizzazione della cultura figurativa romana- scrive la Fiumi Sermattei- è l’anonimo Piano Istruttivo di Riforma, presentato a Pio VII nel 1814, che propone di segregare in sale riservate dei musei le opere d’arte di soggetto licenzioso, riservandone la vista solo agli studiosi, e coprire le nudità dei monumenti conservati nelle chiese”.

Non si tratta della volontà di una persona, ma di una nuova sensibilità che si diffonde. “La censura è un fenomeno che si afferma sì a Roma, ma in risposta a sollecitazioni che muovono da lontano, in un ambito internazionale”, si legge,” sono frequenti le voci forestiere che si levano scandalizzate per immagini ora percepite come oscene, conservate in luoghi privati o esposte in sedi pubbliche. È oggetto di critica perfino l’effetto pagano involontariamente sortito dagli apparati effimeri nelle feste religiose, come la croce luminosa in San Pietro”.

E del resto il problema non è solo religioso basti pensare all’imbarazzo per la nudità della Venere vincitrice dei Borghese di Canova espresso tra il 1816 e il 1820 e legato alla riconoscibilità del soggetto raffigurato, l’ancora vivente Paolina Borghese Bonaparte”.

In questa atmosfera generale si mette in atto la censura di alcune matrici parte della collezione originale della Calcografia Camerale. Di fatto le distruzioni avvennero perché c’era pochissima richiesta di alcuni soggetti.

Negli anni precedenti il pontificato di Leone XII già molte matrici non più utilizzate per stampare copie da vendere non sono utilizzate. “Analizzando gli elenchi - scrive la Fiumi Srmattei- ciò che emerge con chiarezza è la grande eterogeneità delle immagini condannate alla distruzione, sorprendentemente assimilate in un medesimo destino. Se è comprensibile l’imbarazzo per gli Scherzi di Venere di Agostino Carracci, Venere e Vulcano di Andrea Vico dal Parmigianino e l’analogo soggetto di Giorgio Ghisi da Perin del Vaga, che appaiono scopertamente scabrose, in altri casi la scelta risulta meno scontata”.

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Uno studio archivistico fa comprendere che rinascimento e barocco non sono più adatti all’ 800 romantico e decisamente più moralista. In pratica poi la condanna dell’arte profana romana di età rinascimentale e barocca non è  innescata semplicemente, dai soggetti raffigurati, ma anche dall’imbarazzante legame, di proprietà o committenza, con quei principi della Chiesa che in passato avevano mostrato più mondane ambizioni che aneliti spirituali”.

C’è da considerare anche che nella Curia romana vanno sparendo i rappresentati  dell’aristocrazia, la moralizzazione così è anche “sociale”. Cala la committenza e cala il gusto anche rispetto alla stagione moralizzatrice del post Concilio di Trento. Spiega Fiumi Sermattei: “Si assiste infatti a una moralizzazione intesa in senso più ampio, che trascende la sfera sessuale ed erotica per allargarsi a quella politica e sociale. Nell’età della Restaurazione si prende coscienza di una responsabilità tanto istituzionale quanto spirituale che grava sulla corte romana, alla quale è richiesto di smarcarsi nettamente dall’ambito mondano e principesco”.

Si censura perfino la matrice di Raffaello fatta per  la loggia di Psiche a Villa Farnesina. 

Quello che ne nasce anche con un nuovo stile di committenza è “una significativa riconversione della produzione artistica e della cultura figurativa. Un esito di quel sentito anelito di riforma spirituale che investe la Chiesa nell’età della Restaurazione, con ricadute di ampia e duratura portata anche nell’ambito della politica culturale” conclude Ilaria Fiume Sermattei.